La storia di Atena Farghadani, un’artista iraniana di 28 anni, inizia il 23 agosto 2014. Le Guardie rivoluzionarie irrompono nella sua abitazione di Teheran, perquisiscono tutto, confiscano suoi oggetti personali e la portano via, bendata.
Atena Farghadani |
La tengono in isolamento per cinque giorni, nella sezione 2A della prigione di Evin. Poi la trasferiscono nella cella di Ghoncheh Ghavani, all’epoca in carcere per aver protestato contro l’esclusione del pubblico femminile in occasione della partita di pallavolo Iran – Italia.
Atena inizia uno sciopero della fame. Per punizione, le vengono inflitti altri 10 giorni d’isolamento.
Per un mese e mezzo, viene interrogata (a volte nove ore al giorno) sui suoi rapporti con le famiglie dei manifestanti uccisi nelle proteste del 2009 contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad e su una sua mostra, intitolata “Uccelli della Terra”, che era stata visitata da parenti di prigionieri politici e membri della comunità Baha’i.
Chiedono ad Atena anche cosa avesse voluto dire con una vignetta pubblicata sul suo profilo Facebook.
La vignetta mostra un gruppo di parlamentari con teste animali intenti a deporre una scheda nell’urna per approvare un progetto di legge per introdurre nel codice penale il reato di sterilizzazione volontaria, nell’ambito di una politica volta a limitare l’accesso alla contraccezione e ai servizi di pianificazione familiare.
Il 6 novembre Atena viene rilasciata su cauzione, non prima di essere stata incriminata per “riunione e collusione con individui controrivoluzionari e sette deviate”.
Dopo il rilascio, alla fine di dicembre, pubblica un videomessaggio in cui denuncia di aver subito maltrattamenti e perquisizioni degradanti per aver continuato a dipingere in cella, usando bicchieri di carta recuperati nei cestini dell’immondizia dei gabinetti del carcere (in cui erano state installate telecamere) e fiori raccolti nel cortile destinato alle attività fisiche.
Inizia il 2015. Il 10 gennaio, Atena viene nuovamente arrestata. In tribunale viene picchiata, le chiedono di quel video. La trasferiscono alla prigione Gharchak, situata a Varamin, 50 chilometri a sud della capitale.
Stavolta le accuse sono ancora più gravi: “diffusione di propaganda contro il sistema”, “offesa a rappresentanti del parlamento” e “offesa alla Guida suprema” attraverso mostre d’arte, disegni, vignette e altre attività pacifiche, tra cui gli incontri coi parenti dei prigionieri politici.
Il 9 febbraio, Atena inizia un nuovo sciopero della fame. Dopo tre settimane ha una crisi cardiaca e il 26 febbraio viene trasferita in ospedale. Inizialmente rifiuta di essere alimentata via flebo. Chiede di essere riportata a Evin.
Il 2 marzo la sua richiesta viene accettata e lo sciopero della fame termina.
Atena è una prigioniera di coscienza. Amnesty International continua a chiedere alle autorità iraniane il suo rilascio immediato.
Riccardo Noury
Atena inizia uno sciopero della fame. Per punizione, le vengono inflitti altri 10 giorni d’isolamento.
Per un mese e mezzo, viene interrogata (a volte nove ore al giorno) sui suoi rapporti con le famiglie dei manifestanti uccisi nelle proteste del 2009 contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad e su una sua mostra, intitolata “Uccelli della Terra”, che era stata visitata da parenti di prigionieri politici e membri della comunità Baha’i.
Chiedono ad Atena anche cosa avesse voluto dire con una vignetta pubblicata sul suo profilo Facebook.
La vignetta mostra un gruppo di parlamentari con teste animali intenti a deporre una scheda nell’urna per approvare un progetto di legge per introdurre nel codice penale il reato di sterilizzazione volontaria, nell’ambito di una politica volta a limitare l’accesso alla contraccezione e ai servizi di pianificazione familiare.
Il 6 novembre Atena viene rilasciata su cauzione, non prima di essere stata incriminata per “riunione e collusione con individui controrivoluzionari e sette deviate”.
Dopo il rilascio, alla fine di dicembre, pubblica un videomessaggio in cui denuncia di aver subito maltrattamenti e perquisizioni degradanti per aver continuato a dipingere in cella, usando bicchieri di carta recuperati nei cestini dell’immondizia dei gabinetti del carcere (in cui erano state installate telecamere) e fiori raccolti nel cortile destinato alle attività fisiche.
Inizia il 2015. Il 10 gennaio, Atena viene nuovamente arrestata. In tribunale viene picchiata, le chiedono di quel video. La trasferiscono alla prigione Gharchak, situata a Varamin, 50 chilometri a sud della capitale.
Stavolta le accuse sono ancora più gravi: “diffusione di propaganda contro il sistema”, “offesa a rappresentanti del parlamento” e “offesa alla Guida suprema” attraverso mostre d’arte, disegni, vignette e altre attività pacifiche, tra cui gli incontri coi parenti dei prigionieri politici.
Il 9 febbraio, Atena inizia un nuovo sciopero della fame. Dopo tre settimane ha una crisi cardiaca e il 26 febbraio viene trasferita in ospedale. Inizialmente rifiuta di essere alimentata via flebo. Chiede di essere riportata a Evin.
Il 2 marzo la sua richiesta viene accettata e lo sciopero della fame termina.
Atena è una prigioniera di coscienza. Amnesty International continua a chiedere alle autorità iraniane il suo rilascio immediato.
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