Blog Diritti Umani - Human Rights
Su invito di alcuni lettori del Blog, partendo dalla vicenda dei due pescatori prigionieri in Gambia, pubblichiamo un articolo del giornale "Vita" del 12 Luglio 2014 che denuncia la situazione di Roberto Berardi prigioniero dal gennaio 2013, in condizioni penose nel carcere Bata in Guinea Equatoriale.Vita
Si trova da gennaio 2013 nella putrida galera di Bata dove subisce ogni giorno maltrattamenti, pestaggi, vessazioni; riceve un solo, misero, pasto al giorno, dorme su un materasso di gommapiuma. Ha contratto più volte la malaria, un enfisema polmonare, la febbre tifoide ed ha perso circa una trentina di chili
Roberto Berardi, 49enne di Latina, ha lavorato in Africa una vita: nella culla dell'umanità Berardi, che di mestiere ha sempre fatto l'imprenditore, ha trovato la “sua America”. In Africa ha costruito palazzi, strade, ponti, dighe, in Africa ha creato società e dato lavoro; lo sviluppo infrastrutturale del continente è stato, in parte, anche merito suo e delle persone come lui che hanno deciso di investire energie, soldi, tempo, la propria vita professionale, per questo continente.
Berardi si trova da gennaio 2013 nella putrida galera di Bata, una piccola città della Guinea Equatoriale: qui l'imprenditore subisce ogni giorno maltrattamenti, pestaggi, vessazioni; riceve un solo, misero, pasto al giorno (finesettimana esclusi, durante i quali digiuna), dorme su un materasso di gommapiuma buttato in terra, vive in una cella di due metri per tre con una minuscola finestra troppo alta per essere raggiunta e in regime di isolamento totale da oltre 7 mesi.
In quella cella Berardi ha contratto più volte la malaria, un enfisema polmonare, la febbre tifoide (giunta al quarto stadio) ed ha perso circa una trentina di chili, ma non la speranza di tornare libero, un giorno.
Era in Camerun fino a un paio di anni fa: qui entrò in contatto con Teodoro Nguema Obiang Mangue, detto Teodorin “il Principe” (immagine in copertina), figlio di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, Presidente della Guinea Equatoriale dal 1979. Un paese in rapida crescita, nonostante l'80% della popolazione viva con meno di 2 dollari al giorno: la fortuna di “galleggiare” sopra ingenti risorse naturali (petrolio e gas) è anche la fortuna della famiglia Obiang, che utilizza il Paese come proprio bancomat personale.
Ma di questo Berardi non era al corrente, come non era al corrente delle indagini dell'Interpol e della Corte americana della California proprio su Teodorin Obiang, accusato di appropriazione indebita di denaro e riciclaggio internazionale. Quando Teodorin (che è anche vicepresidente) gli propone di creare una società per realizzare grandi opere in Guinea Berardi accetta: si crea così la Eloba Construccion SA, avente come soci Berardi (40%) e Obiang (60%), come da prassi nel continente africano.
Gli affari sembravano procedere, fino a quando l'imprenditore italiano non scopre, nel dicembre 2013, ammanchi milionari dalle casse della società: mette a disposizione i propri averi, paga fornitori e dipendenti e chiede delucidazioni al socio africano, il quale per tutta risposta gli manda la polizia a casa e lo fa arrestare nel gennaio 2013.
Il processo è una farsa: testimoni dell'accusa che scompaiono dopo la deposizione contro Berardi, nessun documento, accuse montate sul nulla, una condanna a due anni e mezzo di carcere e 1,5 milioni di dollari da restituire. Grazie ad alcune relazioni di una Corte penale americana però sappiamo con certezza che fu Teodorin “il Principe” a sottrarre quei soldi dalle casse della Eloba, soldi “investiti” nell'acquisto di memorabilia di Michael Jackson (tra cui il guanto tempestato di brillanti del video di “Bad”) ed altre amenità extralusso per appagare i vezzi del “Principe”. Sembra incredibile, ma le prove ci sono.
Meno di un anno fa un tribunale francese ha sequestrato il pied-à-terre parigino di Teodorin Obiang, assieme a conti correnti e una collezione di auto da fare invidia ad un rapper americano; gli Stati Uniti hanno emesso un mandato di cattura internazionale per Teodoro e Teodorin e l'Interpol studia minuziosamente i loro rapporti inconfessabili con aziende e politici occidentali.
Dal momento dell'arresto la vita di Berardi diventa un vero inferno: pestato quotidianamente, costretto a subire vessazioni, umiliazioni e torture, la storia di Berardi comincia faticosamente a permeare le mura del carcere e dell'informazione misteriosamente reticente solo a novembre 2013, quando i familiari, gli amici e gli ex dipendenti dell'imprenditore pontino cominciano a manifestare pubblicamente per chiederne la liberazione.
Ovviamente l'Unità di Crisi della Farnesina è attiva da tempo, anche se (fino ad oggi) senza alcun risultato: l'Italia, che ufficialmente non ha rapporti con la Guinea (ma è il terzo maggior importatore), non ha un'ambasciata sul luogo, la più vicina si trova in Camerun, ma l'ambasciatore non è ancora stato nominato, e può avvalersi unicamente degli sforzi del console Massimo Spano, al quale viene impedito l'ingresso nell'inferno del carcere di Bata.
Un luogo che la famiglia Obiang utilizza per commettere i peggiori crimini contro l'umanità, contro il loro stesso popolo: Radio Macuto, una radio indipendente equatoguineana, ha recentemente trasmesso alcuni audio registrati nel carcere di Bata, grazie ai quali ha documentato le torture quotidiane che subiscono i detenuti. Detenuti che, spesso, diventano desaparecidos.
La famiglia Berardi si è così rivolta anche al Vaticano affinchè facesse pressioni sul regime degli Obiang, cattolici osservanti nonostante le pratiche criminali e le condizioni di vita drammatiche cui costringono l'intero popolo guineano. Ma il nunzio apostolico in Guinea Equatoriale, mons. Piero Pioppo, ha detto chiaramente loro di non poter fare nulla per aiutarli.
Nel frattempo la detenzione di Berardi si fa drammatica: tenta la fuga grazie ad alcuni complici ma viene catturato mentre implora invano all'ambasciata spagnola di Bata di aprirgli il cancello per salvarlo. Spedisce drammatiche fotografie alla famiglia nelle quali documenta le torture che subisce; di recente Berardi, dopo giorni di febbre alta tenuta a bada con le aspirine, è stato ricoverato presso un malconcio ospedale pubblico, dove gli è stata diagnosticata la febbre tifoide. Ritradotto in carcere con l'inganno (la promessa era trasferirlo in una clinica per fargli effettuare alcune analisi), solo da tre giorni Berardi si trova nuovamente in clinica: lavato (“un sogno”) e fotografato. Sembra però, dalle indicrezioni di queste ore, che purtroppo ancora una volta gli Obiang lo abbiano fatto tornare in cella. Proprio oggi.
La diplomazia, ovviamente, fa il suo corso: il Presidente Obiang, nel dicembre scorso, sembrava propenso a concedere la grazia a Roberto Berardi (le autorità equatoguineane sostengono di averla concessa, ma siccome l'imprenditore è stato condannato al pagamento di un risarcimento da 1,5 milioni lo tengono dentro: un vero e proprio sequestro di persona) ma quell'atto istituzionale fu strappato dal figlio Teodorin. Sempre il Presidente Obiang, in visita a Bruxelles, promise “l'imminente liberazione” di Roberto Berardi all'allora Commissario Europeo Antonio Tajani, come la promise un'altra volta in occasione della sua visita a Roma da Papa Francesco per la recente canonizzazione dei due papi. In quell'occasione nessuno della Farnesina si fece vivo con Obiang, che ebbe un colloquio con il Papa, il quale a dicembre invocò la liberazione di Berardi durante la recita dell'Angelus.
La volontà di liberare Berardi è stata inoltre manifestata di recente dall'ambasciatrice della Guinea Equatoriale a Roma, sorella del Presidente Obiang, alla moglie di Berardi ed al senatore Luigi Manconi del PD, unico nello scibile politico italiano a prendersi a cuore la drammatica vicenda dell'imprenditore pontino. Ma a quella manifestazione di belle intenzione non è seguito nulla; i fatti smentiscono clamorosamente le parole degli Obiang: il console Spano ha dovuto lottare non poco per il ricovero di Berardi, come ha dovuto lottare per fargli pervenire le medicine quando fu ritradotto in carcere con l'inganno (un inganno non solo a Berardi ma anche al console ed alla Croce Rossa Internazionale), come ha dovuto lottare per un suo nuovo ricovero, presso la clinica La Paz di Bata (dove si trova in questo momento e dove tutto è a pagamento).
Secondo Human Rights Watch il regime di Obiang (“il più sanguinario d'Africa” ora che Gheddafi non c'è più) detiene Berardi per paura che egli possa rivelare cose che non si devono sapere (le colpe di Teodorin, le torture subite dai detenuti equatoguineani, i rapporti inconfessabili degli Obiang).
Di fatto Roberto Berardi è da 20 mesi prigioniero di un regime sanguinario in terra straniera, trattato come un animale e in condizioni fisiche estremamente precarie. Uno dei circa 3000 italiani detenuti all'estero il cui caso è formalmente seguito anche dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica: l'obiettivo è riportare a casa Roberto Berardi, detenuto ingiustamente nell'inferno africano del carcere di Bata.
Berardi si trova da gennaio 2013 nella putrida galera di Bata, una piccola città della Guinea Equatoriale: qui l'imprenditore subisce ogni giorno maltrattamenti, pestaggi, vessazioni; riceve un solo, misero, pasto al giorno (finesettimana esclusi, durante i quali digiuna), dorme su un materasso di gommapiuma buttato in terra, vive in una cella di due metri per tre con una minuscola finestra troppo alta per essere raggiunta e in regime di isolamento totale da oltre 7 mesi.
In quella cella Berardi ha contratto più volte la malaria, un enfisema polmonare, la febbre tifoide (giunta al quarto stadio) ed ha perso circa una trentina di chili, ma non la speranza di tornare libero, un giorno.
Era in Camerun fino a un paio di anni fa: qui entrò in contatto con Teodoro Nguema Obiang Mangue, detto Teodorin “il Principe” (immagine in copertina), figlio di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, Presidente della Guinea Equatoriale dal 1979. Un paese in rapida crescita, nonostante l'80% della popolazione viva con meno di 2 dollari al giorno: la fortuna di “galleggiare” sopra ingenti risorse naturali (petrolio e gas) è anche la fortuna della famiglia Obiang, che utilizza il Paese come proprio bancomat personale.
Ma di questo Berardi non era al corrente, come non era al corrente delle indagini dell'Interpol e della Corte americana della California proprio su Teodorin Obiang, accusato di appropriazione indebita di denaro e riciclaggio internazionale. Quando Teodorin (che è anche vicepresidente) gli propone di creare una società per realizzare grandi opere in Guinea Berardi accetta: si crea così la Eloba Construccion SA, avente come soci Berardi (40%) e Obiang (60%), come da prassi nel continente africano.
Gli affari sembravano procedere, fino a quando l'imprenditore italiano non scopre, nel dicembre 2013, ammanchi milionari dalle casse della società: mette a disposizione i propri averi, paga fornitori e dipendenti e chiede delucidazioni al socio africano, il quale per tutta risposta gli manda la polizia a casa e lo fa arrestare nel gennaio 2013.
Il processo è una farsa: testimoni dell'accusa che scompaiono dopo la deposizione contro Berardi, nessun documento, accuse montate sul nulla, una condanna a due anni e mezzo di carcere e 1,5 milioni di dollari da restituire. Grazie ad alcune relazioni di una Corte penale americana però sappiamo con certezza che fu Teodorin “il Principe” a sottrarre quei soldi dalle casse della Eloba, soldi “investiti” nell'acquisto di memorabilia di Michael Jackson (tra cui il guanto tempestato di brillanti del video di “Bad”) ed altre amenità extralusso per appagare i vezzi del “Principe”. Sembra incredibile, ma le prove ci sono.
Meno di un anno fa un tribunale francese ha sequestrato il pied-à-terre parigino di Teodorin Obiang, assieme a conti correnti e una collezione di auto da fare invidia ad un rapper americano; gli Stati Uniti hanno emesso un mandato di cattura internazionale per Teodoro e Teodorin e l'Interpol studia minuziosamente i loro rapporti inconfessabili con aziende e politici occidentali.
Dal momento dell'arresto la vita di Berardi diventa un vero inferno: pestato quotidianamente, costretto a subire vessazioni, umiliazioni e torture, la storia di Berardi comincia faticosamente a permeare le mura del carcere e dell'informazione misteriosamente reticente solo a novembre 2013, quando i familiari, gli amici e gli ex dipendenti dell'imprenditore pontino cominciano a manifestare pubblicamente per chiederne la liberazione.
Ovviamente l'Unità di Crisi della Farnesina è attiva da tempo, anche se (fino ad oggi) senza alcun risultato: l'Italia, che ufficialmente non ha rapporti con la Guinea (ma è il terzo maggior importatore), non ha un'ambasciata sul luogo, la più vicina si trova in Camerun, ma l'ambasciatore non è ancora stato nominato, e può avvalersi unicamente degli sforzi del console Massimo Spano, al quale viene impedito l'ingresso nell'inferno del carcere di Bata.
Un luogo che la famiglia Obiang utilizza per commettere i peggiori crimini contro l'umanità, contro il loro stesso popolo: Radio Macuto, una radio indipendente equatoguineana, ha recentemente trasmesso alcuni audio registrati nel carcere di Bata, grazie ai quali ha documentato le torture quotidiane che subiscono i detenuti. Detenuti che, spesso, diventano desaparecidos.
La famiglia Berardi si è così rivolta anche al Vaticano affinchè facesse pressioni sul regime degli Obiang, cattolici osservanti nonostante le pratiche criminali e le condizioni di vita drammatiche cui costringono l'intero popolo guineano. Ma il nunzio apostolico in Guinea Equatoriale, mons. Piero Pioppo, ha detto chiaramente loro di non poter fare nulla per aiutarli.
Nel frattempo la detenzione di Berardi si fa drammatica: tenta la fuga grazie ad alcuni complici ma viene catturato mentre implora invano all'ambasciata spagnola di Bata di aprirgli il cancello per salvarlo. Spedisce drammatiche fotografie alla famiglia nelle quali documenta le torture che subisce; di recente Berardi, dopo giorni di febbre alta tenuta a bada con le aspirine, è stato ricoverato presso un malconcio ospedale pubblico, dove gli è stata diagnosticata la febbre tifoide. Ritradotto in carcere con l'inganno (la promessa era trasferirlo in una clinica per fargli effettuare alcune analisi), solo da tre giorni Berardi si trova nuovamente in clinica: lavato (“un sogno”) e fotografato. Sembra però, dalle indicrezioni di queste ore, che purtroppo ancora una volta gli Obiang lo abbiano fatto tornare in cella. Proprio oggi.
La diplomazia, ovviamente, fa il suo corso: il Presidente Obiang, nel dicembre scorso, sembrava propenso a concedere la grazia a Roberto Berardi (le autorità equatoguineane sostengono di averla concessa, ma siccome l'imprenditore è stato condannato al pagamento di un risarcimento da 1,5 milioni lo tengono dentro: un vero e proprio sequestro di persona) ma quell'atto istituzionale fu strappato dal figlio Teodorin. Sempre il Presidente Obiang, in visita a Bruxelles, promise “l'imminente liberazione” di Roberto Berardi all'allora Commissario Europeo Antonio Tajani, come la promise un'altra volta in occasione della sua visita a Roma da Papa Francesco per la recente canonizzazione dei due papi. In quell'occasione nessuno della Farnesina si fece vivo con Obiang, che ebbe un colloquio con il Papa, il quale a dicembre invocò la liberazione di Berardi durante la recita dell'Angelus.
La volontà di liberare Berardi è stata inoltre manifestata di recente dall'ambasciatrice della Guinea Equatoriale a Roma, sorella del Presidente Obiang, alla moglie di Berardi ed al senatore Luigi Manconi del PD, unico nello scibile politico italiano a prendersi a cuore la drammatica vicenda dell'imprenditore pontino. Ma a quella manifestazione di belle intenzione non è seguito nulla; i fatti smentiscono clamorosamente le parole degli Obiang: il console Spano ha dovuto lottare non poco per il ricovero di Berardi, come ha dovuto lottare per fargli pervenire le medicine quando fu ritradotto in carcere con l'inganno (un inganno non solo a Berardi ma anche al console ed alla Croce Rossa Internazionale), come ha dovuto lottare per un suo nuovo ricovero, presso la clinica La Paz di Bata (dove si trova in questo momento e dove tutto è a pagamento).
Secondo Human Rights Watch il regime di Obiang (“il più sanguinario d'Africa” ora che Gheddafi non c'è più) detiene Berardi per paura che egli possa rivelare cose che non si devono sapere (le colpe di Teodorin, le torture subite dai detenuti equatoguineani, i rapporti inconfessabili degli Obiang).
Di fatto Roberto Berardi è da 20 mesi prigioniero di un regime sanguinario in terra straniera, trattato come un animale e in condizioni fisiche estremamente precarie. Uno dei circa 3000 italiani detenuti all'estero il cui caso è formalmente seguito anche dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica: l'obiettivo è riportare a casa Roberto Berardi, detenuto ingiustamente nell'inferno africano del carcere di Bata.
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