La tragedia in corso nel Mediterraneo sta mettendo alla prova i valori umanitari occidentali, come mai era accaduto nelle ultime due generazioni. Dall’inizio dell’anno, oltre 1.700 vite umane sono già state perse in mare. Solo questo mese, sono annegate il doppio delle persone che hanno perso la vita in mare nell’intero 2013. La scorsa settimana abbiamo assistito al più drammatico naufragio mai registrato dalla mia organizzazione nel Mediterraneo fino ad oggi.
È tempo che noi europei abbandoniamo l’illusione di poterci isolare da questa crisi. La prima cosa che dobbiamo fare è riconoscere che si tratta di qualcosa di più di una questione migratoria: molte delle persone che salgono su queste barche sono rifugiati, in fuga da conflitti e persecuzioni. Ciò significa che abbiamo l’obbligo giuridico di proteggerli. Chiedere asilo non è solo un diritto umano universale, è anche un principio politico che ha guidato le nazioni per migliaia di anni ed è alla base stessa dei valori su cui l’Europa moderna è stata costruita.
PROTEZIONE E GARANZIE
Alcune persone sostengono che il fatto di lasciar entrare rifugiati e altri stranieri costituisce una minaccia per il nostro modello di vita, ma non è tenendo fuori le persone che gli europei proteggeranno la loro identità. Al contrario, è proprio attraverso il riconoscimento ai rifugiati di protezione e garanzie per il futuro, che noi preserviamo ciò che ci rende veramente come siamo. Per fare questo, dobbiamo prendere una nuova direzione. Le conclusioni del vertice di giovedì a Bruxelles hanno mostrato che l’Europa riconosce la necessità di un’azione collettiva per rispondere alla tragedia in corso ai suoi confini.
L’Unione Europea deve riavviare immediatamente un’adeguata operazione di ricerca e soccorso, sulla linea di Mare Nostrum, per salvare le persone in pericolo in mare. Il rafforzamento delle operazioni navali congiunte Triton e Poseidon è il benvenuto, e grazie a queste operazioni molte altre vite saranno salvate. Tuttavia, sappiamo per esperienza che il solo controllo delle frontiere non è una risposta a una crisi che coinvolge i rifugiati. La verità è che non possiamo scoraggiare delle persone che sono in fuga per salvarsi la vita. Arriveranno. Possiamo però scegliere se gestire bene il loro arrivo, e con quanta umanità.
ALLA RICERCA DI ALTERNATIVE LEGALI
Le nazioni occidentali devono anche impegnarsi nella creazione di ulteriori alternative legali per permettere ai rifugiati di trovare protezione, tra cui un programma ampliato di reinsediamento, schemi di ammissione umanitaria, maggiori opportunità di ricongiungimento familiare, accordi di sponsorizzazione privata, e visti di studio e lavoro. Senza reali canali alternativi, che permettano alle persone di raggiungere la sicurezza, è improbabile che il tanto necessario incremento dell’impegno internazionale nella lotta a contrabbandieri e trafficanti sia efficace.
Alcune delle più recenti proposte di condivisione delle responsabilità in Unione Europea, tra cui ulteriore supporto ai Paesi che ricevono il maggior numero di arrivi, il ricollocamento di emergenza dei rifugiati tra gli Stati membri, e un progetto pilota che preveda maggiori quote di reinsediamento, rappresentano un punto di partenza. Ma molto di più deve essere fatto. Dobbiamo dividere adeguatamente le responsabilità in Europa, perché un sistema in cui due Paesi — Germania e Svezia — accolgono la maggior parte dei rifugiati non è sostenibile. Non possiamo più far fronte ai nostri obblighi semplicemente finanziando programmi in altri Paesi. Le comunità che ospitano rifugiati in Medio Oriente e Africa sono già sopraffatte. In Libano, ad esempio, più di un quarto della popolazione è attualmente composta da rifugiati. È chiaro che la crisi nel Mediterraneo non finirà fino a quando non saranno affrontate le cause profonde che spingono le persone a fuggire. Ciò implica un impegno reale a risolvere i conflitti in corso in tutto il mondo e a prevenire l’insorgerne di nuovi.
LA CRISI NON SI NASCONDE, SI GESTISCE
È necessario inoltre ripensare il modo in cui progettiamo e forniamo assistenza allo sviluppo, e garantire la mobilità umana è parte integrante di questo paradigma. Piuttosto che limitarsi a scaricare il problema sui Paesi più poveri, come quelli di transito in Nord Africa, l’Europa deve aiutare i governi a proteggere più efficacemente i rifugiati e gli altri migranti. Se le nazioni occidentali continueranno a rispondere chiudendo le porte, continueremo a condurre migliaia di persone disperate nelle mani di reti criminali, rendendoci tutti meno sicuri.
Dopo l’ultima crisi di così ampia portata, alla fine della Seconda guerra mondiale, i leader mondiali trovarono un accordo su un sistema di riferimento per la condivisione delle responsabilità di protezione di chi è costretto a fuggire dalle proprie case. La Convenzione sui Rifugiati del 1951 non ha visto la luce grazie a un idealismo romantico. Dopo anni di conflitto, e con l’instaurarsi di una nuova Guerra fredda, si trattava di un documento profondamente pragmatico. Ciò che avevano allora compreso i leader era che, anche nel peggiore dei casi, la sicurezza arriva non nascondendosi dalla crisi, ma gestendola.
Solo la solidarietà e una risposta autenticamente collettiva possono fermare la sofferenza su scala globale. Dobbiamo prestare attenzione a quella lezione. Il momento di darsi da fare è arrivato per tutti noi, non solo per quelli che si trovano in prima linea. Dobbiamo trasformare i nostri valori in azioni concrete, poiché i valori a cui rinunciamo quando la situazione si fa più dura, non possono essere nemmeno chiamati valori. È per momenti come questi che abbiamo creato il sistema umanitario. Non dobbiamo abbandonarlo proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno.
di António Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati
PROTEZIONE E GARANZIE
Alcune persone sostengono che il fatto di lasciar entrare rifugiati e altri stranieri costituisce una minaccia per il nostro modello di vita, ma non è tenendo fuori le persone che gli europei proteggeranno la loro identità. Al contrario, è proprio attraverso il riconoscimento ai rifugiati di protezione e garanzie per il futuro, che noi preserviamo ciò che ci rende veramente come siamo. Per fare questo, dobbiamo prendere una nuova direzione. Le conclusioni del vertice di giovedì a Bruxelles hanno mostrato che l’Europa riconosce la necessità di un’azione collettiva per rispondere alla tragedia in corso ai suoi confini.
L’Unione Europea deve riavviare immediatamente un’adeguata operazione di ricerca e soccorso, sulla linea di Mare Nostrum, per salvare le persone in pericolo in mare. Il rafforzamento delle operazioni navali congiunte Triton e Poseidon è il benvenuto, e grazie a queste operazioni molte altre vite saranno salvate. Tuttavia, sappiamo per esperienza che il solo controllo delle frontiere non è una risposta a una crisi che coinvolge i rifugiati. La verità è che non possiamo scoraggiare delle persone che sono in fuga per salvarsi la vita. Arriveranno. Possiamo però scegliere se gestire bene il loro arrivo, e con quanta umanità.
ALLA RICERCA DI ALTERNATIVE LEGALI
Le nazioni occidentali devono anche impegnarsi nella creazione di ulteriori alternative legali per permettere ai rifugiati di trovare protezione, tra cui un programma ampliato di reinsediamento, schemi di ammissione umanitaria, maggiori opportunità di ricongiungimento familiare, accordi di sponsorizzazione privata, e visti di studio e lavoro. Senza reali canali alternativi, che permettano alle persone di raggiungere la sicurezza, è improbabile che il tanto necessario incremento dell’impegno internazionale nella lotta a contrabbandieri e trafficanti sia efficace.
Alcune delle più recenti proposte di condivisione delle responsabilità in Unione Europea, tra cui ulteriore supporto ai Paesi che ricevono il maggior numero di arrivi, il ricollocamento di emergenza dei rifugiati tra gli Stati membri, e un progetto pilota che preveda maggiori quote di reinsediamento, rappresentano un punto di partenza. Ma molto di più deve essere fatto. Dobbiamo dividere adeguatamente le responsabilità in Europa, perché un sistema in cui due Paesi — Germania e Svezia — accolgono la maggior parte dei rifugiati non è sostenibile. Non possiamo più far fronte ai nostri obblighi semplicemente finanziando programmi in altri Paesi. Le comunità che ospitano rifugiati in Medio Oriente e Africa sono già sopraffatte. In Libano, ad esempio, più di un quarto della popolazione è attualmente composta da rifugiati. È chiaro che la crisi nel Mediterraneo non finirà fino a quando non saranno affrontate le cause profonde che spingono le persone a fuggire. Ciò implica un impegno reale a risolvere i conflitti in corso in tutto il mondo e a prevenire l’insorgerne di nuovi.
LA CRISI NON SI NASCONDE, SI GESTISCE
È necessario inoltre ripensare il modo in cui progettiamo e forniamo assistenza allo sviluppo, e garantire la mobilità umana è parte integrante di questo paradigma. Piuttosto che limitarsi a scaricare il problema sui Paesi più poveri, come quelli di transito in Nord Africa, l’Europa deve aiutare i governi a proteggere più efficacemente i rifugiati e gli altri migranti. Se le nazioni occidentali continueranno a rispondere chiudendo le porte, continueremo a condurre migliaia di persone disperate nelle mani di reti criminali, rendendoci tutti meno sicuri.
Dopo l’ultima crisi di così ampia portata, alla fine della Seconda guerra mondiale, i leader mondiali trovarono un accordo su un sistema di riferimento per la condivisione delle responsabilità di protezione di chi è costretto a fuggire dalle proprie case. La Convenzione sui Rifugiati del 1951 non ha visto la luce grazie a un idealismo romantico. Dopo anni di conflitto, e con l’instaurarsi di una nuova Guerra fredda, si trattava di un documento profondamente pragmatico. Ciò che avevano allora compreso i leader era che, anche nel peggiore dei casi, la sicurezza arriva non nascondendosi dalla crisi, ma gestendola.
Solo la solidarietà e una risposta autenticamente collettiva possono fermare la sofferenza su scala globale. Dobbiamo prestare attenzione a quella lezione. Il momento di darsi da fare è arrivato per tutti noi, non solo per quelli che si trovano in prima linea. Dobbiamo trasformare i nostri valori in azioni concrete, poiché i valori a cui rinunciamo quando la situazione si fa più dura, non possono essere nemmeno chiamati valori. È per momenti come questi che abbiamo creato il sistema umanitario. Non dobbiamo abbandonarlo proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno.
di António Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.