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giovedì 30 aprile 2015

Centrafrica, cristiani riparano una moschea distrutta. Una luce nel mezzo di una tragedia dimenticata

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Hanno estirpato le erbacce, raccolto le macerie, eretto una palizzata per riparare i muri danneggiati. Una quindicina di cristiani del Centrafrica, aiutati da alcuni musulmani, hanno proposto e portato a termine il restauro di una delle moschee devastate nella capitale Bangui durante le violenze che hanno sconvolto uno dei paesi più poveri del mondo.

CRISI POLITICA. La Repubblica centrafricana è piombata nella guerra civile il 24 marzo 2013 quando i ribelli islamici Seleka, sotto la guida di Djotodia, hanno deposto con un colpo di Stato il presidente Bozizé. Dopo circa otto mesi di torture e violenze terribili perpetrate da parte dei Seleka contro i cristiani, che rappresentano il 90 per cento della popolazione, le milizie animiste anti-balaka hanno reagito contro i Seleka e cominciato a perseguitare tutti i musulmani del paese con altrettante violenza e crudeltà.

L’INTERVENTO INTERNAZIONALE. Nonostante le missioni internazionali di Onu, Ue, Ua e Francia abbiano fermato i massacri indiscriminati, placando in parte gli anti-balaka e trasferendo i musulmani dalle zone più pericolose a quelle più sicure del paese, la violenza stenta a fermarsi. Nella capitale Bangui, ad esempio, i pochi musulmani rimasti vivono solo nel quartiere “Km 5″, dal quale non osano uscire per paura di essere uccisi.

MOSCHEA RESTAURATA. È in questo clima che un gruppo di cristiani ha voluto dare il proprio contributo «alla costruzione della pace», restaurando una moschea nel quartiere “Km 5″ distrutta nel giugno 2014. «Così come noi possiamo andare a Messa la domenica, vogliamo che i nostri fratelli musulmani abbiano i loro luoghi di culto dove possano pregare», spiega Lazare N’Djader, presidente del gruppo cristiano “Collettivo 236″. «Questa iniziativa è di matrice assolutamente volontaria. Abbiamo voluto contribuire al clima di riconciliazione e di coesione sociale e siamo fieri di vedere quanta gente ha partecipato». Quindici persone possono sembrare poche per parlare di «successo dell’iniziativa», ma bisogna considerare che nella terribile spirale di violenza che ha investito il Centrafrica, molti dei musulmani perseguitati erano stati fino a pochi mesi prima i persecutori dei cristiani.

«PAURA ESTIRPATA». Issani Maga, membro del comitato di gestione della moschea, ha ringraziato i giovani: «Questo gesto estirpa dai nostri cuori la paura». Non è la prima che i cristiani si muovono per promuovere la riconciliazione nazionale: a Bangui, l’arcivescovo Dieudonné Nzapalainga ha visitato in carcere due leader anti-balaka arrestati e ha spinto i cristiani della capitale a visitare e aiutare materialmente i ribelli Seleka rinchiusi nel campo Beal in stato di estrema miseria. Gesti simili di speranza sono stati promossi anche nella città di Bozoum.

TRAGEDIA DIMENTICATA. Il paese ha estremo bisogno di riconciliazione. Nel paese di circa 5 milioni di abitanti, mezzo milione è in fuga, 436 mila sono ancora sfollati e ben 2,7 milioni di persone necessitano aiuti umanitari. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha lanciato ieri un allarme, chiedendo l’invio di nuovi aiuti per evitare che il Centrafrica diventi la più grande emergenza umanitaria dimenticata del nostro tempo.

ELEZIONI E DIALOGO. Nei prossimi mesi sono in programma due appuntamenti cruciali per il processo di pace. A maggio ci sarà il Forum di Bangui sulla riconciliazione nazionale, che riunirà tutti i partiti politici per affrontare la crisi. Ad agosto invece gli abitanti saranno chiamati a votare per eleggere il governo che sostituirà quello provvisorio attuale, guidato da Catherine Samba-Panza. Non è chiaro però se gli sfollati e i rifugiati potranno partecipare a entrambi gli eventi.


Leone Grotti

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