Pagine

domenica 5 aprile 2015

Mons. Zuppi, violenze anticristiane, non si può stare a guardare: "Costruire ponti e non alzare muri"

Radio Vaticana
Il Papa, dunque, alla Via Crucis al Colosseo, ha denunciato il “silenzio complice” di fronte alle persecuzioni che stanno subendo i cristiani nel mondo. Cosa ci dice questa affermazione? 

Ascoltiamo mons. Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, al microfono di Antonella Palermo:

R. – Ci aiuta a capire che di fronte alla Passione, come di fronte a queste notizie, si deve stare da una parte: non si può stare a guardare, non si può essere spettatori, vediamo tutto e non facciamo niente! Questo è complice. Ma poi, Papa Francesco continuamente parla, ci ricorda, proprio per evitare complicità, ci ricorda la sofferenza di tanti cristiani: lo aveva fatto l’ultima volta mercoledì – forse in molti si ricordano – citando un altro martire, peraltro a noi molto caro, qui a Roma, che è don Andrea Santoro; ha proprio citato sue parole, quando diceva che “si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato, il dolore va condiviso assorbendolo nella propria carne fino in fondo, come ha fatto Gesù”. E questo è quello che ha fatto don Andrea Santoro ed è quello che ci chiede Papa Francesco per non rimanere indifferenti – e quindi complici.

D. – Che cosa fare per loro, oltre che pregare, ovviamente?

R. – Credo che ci sia una pressione da esercitare: c’è una responsabilità internazionale e una pressione da esercitare sui vari Stati, perché poi è una violenza che raggiunge i nostri fratelli in situazioni diversissime: dal Pakistan a quell’ultimo, terribile evento in Kenya che in realtà è legato alla situazione della Somalia. E quindi, in realtà, bisognerebbe avere un’attenzione, esercitare una pressione perché siano più protetti, anzitutto, e poi perché si percorrano tutte le vie possibili per porre fine ai conflitti.

D. – Perché come ci rivela un dossier curato da “Aiuto alla Chiesa che soffre”, ci sono ogni mese 322 vittime: i cristiani sono i più perseguitati in un mondo intollerante. Insomma ci si chiede, anche tra gli stessi cattolici, in che modo oggi parlare di dialogo, di dialogo con l’islam …

R. – Purtroppo, ho l’impressione che ancora si pensi che il dialogo sia “cedevolezza”: cioè, ho paura che ancora sia questo. Papa Francesco l’ha scritto nella “Evangelii Gaudium”, San Giovanni Paolo II nel 1986 iniziò quello straordinario evento di Assisi con l’incontro tra tutte le religioni per la pace, di cui si capisce oggi quanto sia stato profetico, con quello “spirito di Assisi” che la Comunità di Sant’Egidio ha portato avanti in questi anni nella convinzione che l’unico modo per affrontare il problema sia il dialogo, che è esattamente quello che invece i terroristi – o qualunque fondamentalismo di qualunque parte – non vuole, aborre, perché – appunto – vuole il nemico, cerca il nemico. Noi non dobbiamo cadere in questa tentazione. Certamente questa è un’altra cosa che tutti possiamo fare: costruire ponti e non alzare muri. Questo possiamo farlo tutti a tanti livelli. E’ un modo comunque per dissociarci dalla tentazione di rispondere alla violenza con la violenza. Per questo credo che la riflessione sul dialogo non sia affatto scontata: ho l’impressione che ancora debba essere molto assimilata da noi, dalle nostre comunità perché la tentazione, invece, è quella di credere che il dialogo significhi quasi fare entrare il nemico in casa, sostanzialmente. E questo, purtroppo, è proprio quello che cerca chi vuole soltanto lo scontro.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.