Venturina: Romano Busdraghi spiega la scelta di aderire al progetto della cooperativa Odissea di Lucca, che gli versa 350 euro di affitto al mese. "Tutta la storia della mia famiglia è segnata dall'emigrazione"
Quando ha sentito l'appello del presidente Enrico Rossi per l'accoglienza dei profughi dall'Africa, a Romano Busdraghi è risuonato in testa il fragore delle bombe di quando era bambino, durante la seconda guerra mondiale. Si è ricordato di quando, nel podere di famiglia vicino al ponte di Cornia che fu minato dai tedeschi, sua madre e suo padre ospitarono cinque famiglie sfollate da Piombino. Gli è tornata in mente quella bambina con cui divideva il pane: «Ormai sarà vecchietta anche lei».
Questi ricordi lo hanno aiutato: pochi giorni fa, infatti, ha fatto la scelta importante di ospitare nella sua casa di via Puccini, a Venturina, 7 ragazzi africani sbarcati a Reggio Calabria su un barcone insieme a tanti altri. Hanno tra i 17 e i 21 anni e vengono dall'Eritrea e dalla Somalia. «Per me e mia moglie sono diventati come degli amici: abbiamo regalato loro dieci quaderni, le matite e i libri per imparare l'italiano». Romano Busdraghi ha 82 anni, compiuti da poco, è un signore arzillo che con la moglie Luana possiede un'edicola a Venturina, «la bottega» la chiama lui. «Passano a salutare e a ringraziarci, noi cerchiamo di fare quello che possiamo. Ogni tanto gli diamo anche un po' di schiacciata a metà mattina».
Parla della sua decisione come se non avesse avuto scelta: «Tutta la storia della mia famiglia è stata segnata dall'emigrazione – racconta - i miei bisnonni arrivarono sulla costa da Firenze con cinque figli e morirono giovani per colpa della malaria; i miei nonni hanno vissuto nell'indigenza per anni. I miei genitori, che erano contadini, trovarono spazio nel casolare dove vivevamo per ospitare gli sfollati da Piombino che veniva bombardata. Io non potevo fare altro che raccogliere l'appello della cooperativa Odissea di Lucca e aiutare questi poveretti che sono scappati dalla fame e dal conflitto».
Davanti alla casa che ospita i migranti, Romano ricorda i sacrifici fatti per tirarla su: «Incominciammo a costruirla io e mio cognato nel 62 e ci abbiamo vissuto per decenni». Fuori, nel piccolo giardino, ci sono qualche sedia di plastica bianca, il bucato ad asciugare e un paio di scarpe da ginnastica proprio davanti alla porta. «Non possiamo entrare perché ora è casa loro e a me non va di essere invadente». Busdraghi, infatti, l'ha affittata alla cooperativa Odissea per un anno, la quale l'ha affidata ai migranti; riceverà, come canone d'affitto, 350 euro netti al mese.
Ci raggiunge Giulia Veracini, la psicologa della cooperativa, incaricata di seguire il percorso dei richiedenti asilo: «Sono dei ragazzi davvero in gamba e il loro inserimento, per il momento, è un successo; i vicini li hanno accolti molto bene e loro hanno voglia di farsi accettare: il pomeriggio vanno ai campetti e giocano con i ragazzi del posto. Vogliono solo lasciarsi alle spalle l'orrore della guerra. Stiamo risolvendo tutta la parte burocratica per l'accettazione – dice la psicologa - poi partiremo con un percorso di aiuto e di integrazione sia linguistico che lavorativo». Uno dei ragazzi si avvicina, ha voglia di chiacchierare: «Ça va?” (tutto ok?, ndr); «Ça va. C'è un bel tempo - dice - Dopo andremo a giocare a pallone. Ora però devo andare a comprarmi delle ciabatte nuove, queste le ho pagate 3 euro ma si sono già rotte. Au revoir».
Questi ricordi lo hanno aiutato: pochi giorni fa, infatti, ha fatto la scelta importante di ospitare nella sua casa di via Puccini, a Venturina, 7 ragazzi africani sbarcati a Reggio Calabria su un barcone insieme a tanti altri. Hanno tra i 17 e i 21 anni e vengono dall'Eritrea e dalla Somalia. «Per me e mia moglie sono diventati come degli amici: abbiamo regalato loro dieci quaderni, le matite e i libri per imparare l'italiano». Romano Busdraghi ha 82 anni, compiuti da poco, è un signore arzillo che con la moglie Luana possiede un'edicola a Venturina, «la bottega» la chiama lui. «Passano a salutare e a ringraziarci, noi cerchiamo di fare quello che possiamo. Ogni tanto gli diamo anche un po' di schiacciata a metà mattina».
Parla della sua decisione come se non avesse avuto scelta: «Tutta la storia della mia famiglia è stata segnata dall'emigrazione – racconta - i miei bisnonni arrivarono sulla costa da Firenze con cinque figli e morirono giovani per colpa della malaria; i miei nonni hanno vissuto nell'indigenza per anni. I miei genitori, che erano contadini, trovarono spazio nel casolare dove vivevamo per ospitare gli sfollati da Piombino che veniva bombardata. Io non potevo fare altro che raccogliere l'appello della cooperativa Odissea di Lucca e aiutare questi poveretti che sono scappati dalla fame e dal conflitto».
Davanti alla casa che ospita i migranti, Romano ricorda i sacrifici fatti per tirarla su: «Incominciammo a costruirla io e mio cognato nel 62 e ci abbiamo vissuto per decenni». Fuori, nel piccolo giardino, ci sono qualche sedia di plastica bianca, il bucato ad asciugare e un paio di scarpe da ginnastica proprio davanti alla porta. «Non possiamo entrare perché ora è casa loro e a me non va di essere invadente». Busdraghi, infatti, l'ha affittata alla cooperativa Odissea per un anno, la quale l'ha affidata ai migranti; riceverà, come canone d'affitto, 350 euro netti al mese.
Ci raggiunge Giulia Veracini, la psicologa della cooperativa, incaricata di seguire il percorso dei richiedenti asilo: «Sono dei ragazzi davvero in gamba e il loro inserimento, per il momento, è un successo; i vicini li hanno accolti molto bene e loro hanno voglia di farsi accettare: il pomeriggio vanno ai campetti e giocano con i ragazzi del posto. Vogliono solo lasciarsi alle spalle l'orrore della guerra. Stiamo risolvendo tutta la parte burocratica per l'accettazione – dice la psicologa - poi partiremo con un percorso di aiuto e di integrazione sia linguistico che lavorativo». Uno dei ragazzi si avvicina, ha voglia di chiacchierare: «Ça va?” (tutto ok?, ndr); «Ça va. C'è un bel tempo - dice - Dopo andremo a giocare a pallone. Ora però devo andare a comprarmi delle ciabatte nuove, queste le ho pagate 3 euro ma si sono già rotte. Au revoir».
di Cesare Bonifazi Martinozzi
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