“Alcuni sono stati rapiti che avevano tre anni; non sanno qual è il loro villaggio, non ricordano i nomi delle famiglie”: monsignor Stephen Mamza, vescovo di Yola, condivide con la MISNA i racconti delle donne e dei bambini giunti in questa città del nord-est della Nigeria dopo essere stati prigionieri di Boko Haram.
In più di 300 hanno viaggiato per tre giorni a bordo dei pick up dell’esercito nigeriano. Sono stati accolti nei campi allestiti dal governo a Yola dopo essere stati liberati nella Foresta di Sambisa, la roccaforte degli islamisti presa d’assalto dai militari il mese scorso. Molti sarebbero originari di Gumsuri, un villaggio non distante dalla cittadina di Chibok, divenuta nota nel mondo per il rapimento di oltre 200 liceali la notte tra il 14 e il 15 aprile 2014. “Le donne e i bambini – dice monsignor Mamza – sono denutriti, deperiti, sofferenti: dovranno essere alimentati e curati, fisicamente prima ancora che psicologicamente”.
Alcune giovani hanno raccontato di compagne lapidate perché si rifiutavano di seguire i carcerieri braccati dall’esercito. Altre di violenze sessuali e di nozze forzate con gli islamisti. Tra gli ex ostaggi, però, sono in molti a non parlare e non ricordare. “Ricongiungere le vittime con le famiglie sarà difficile – sottolinea il vescovo – perché molte di loro sono sotto shock e non sanno nemmeno dire dove e quando sono state catturate”. Secondo monsignor Mamza, la riabilitazione fisica sarà solo la prima parte di un impegno di assistenza che dovrà essere portato avanti dallo Stato con il sostegno delle organizzazioni umanitarie e religiose.
Il reinserimento in una vita sociale, l’istruzione e il lavoro saranno sfide complesse, sottolinea il vescovo. Ma questi, aggiunge, sono anche giorni di speranza: “Da settembre nei campi di accoglienza della diocesi abbiamo assistito tra i 3000 e i 3500 sfollati che avevano dovuto lasciare i loro villaggi a causa dell’avanzata di Boko Haram, ma la maggior parte di loro ha già potuto far ritorno a casa”. Nelle settimane a cavallo delle elezioni politiche, vinte dal generale in pensione Muhammadu Buhari e dal suo partito di opposizione, gran parte della regione inghiottita dal “califfato” è passata nuovamente sotto il controllo dei militari. Mentre la violenza finiva, forse paradossalmente, anche per favorire la solidarietà.
“Nei nostri campi – dice monsignor Mamza – musulmani e cristiani hanno vissuto gli uni accanto agli altri, nel rispetto e nella pace, combattendo a modo loro il fondamentalismo”. Un esempio sul quale costruire, confida il vescovo. Sperando che possano tornare presto libere anche le ragazze di Chibok, forse anch’esse ostaggio nella Foresta di Sambisa.
[VG]
Alcune giovani hanno raccontato di compagne lapidate perché si rifiutavano di seguire i carcerieri braccati dall’esercito. Altre di violenze sessuali e di nozze forzate con gli islamisti. Tra gli ex ostaggi, però, sono in molti a non parlare e non ricordare. “Ricongiungere le vittime con le famiglie sarà difficile – sottolinea il vescovo – perché molte di loro sono sotto shock e non sanno nemmeno dire dove e quando sono state catturate”. Secondo monsignor Mamza, la riabilitazione fisica sarà solo la prima parte di un impegno di assistenza che dovrà essere portato avanti dallo Stato con il sostegno delle organizzazioni umanitarie e religiose.
Il reinserimento in una vita sociale, l’istruzione e il lavoro saranno sfide complesse, sottolinea il vescovo. Ma questi, aggiunge, sono anche giorni di speranza: “Da settembre nei campi di accoglienza della diocesi abbiamo assistito tra i 3000 e i 3500 sfollati che avevano dovuto lasciare i loro villaggi a causa dell’avanzata di Boko Haram, ma la maggior parte di loro ha già potuto far ritorno a casa”. Nelle settimane a cavallo delle elezioni politiche, vinte dal generale in pensione Muhammadu Buhari e dal suo partito di opposizione, gran parte della regione inghiottita dal “califfato” è passata nuovamente sotto il controllo dei militari. Mentre la violenza finiva, forse paradossalmente, anche per favorire la solidarietà.
“Nei nostri campi – dice monsignor Mamza – musulmani e cristiani hanno vissuto gli uni accanto agli altri, nel rispetto e nella pace, combattendo a modo loro il fondamentalismo”. Un esempio sul quale costruire, confida il vescovo. Sperando che possano tornare presto libere anche le ragazze di Chibok, forse anch’esse ostaggio nella Foresta di Sambisa.
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