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sabato 2 maggio 2015

Siria, il “buco nero” dimenticato. UNICEF: focus su bambini e minori

UNIMONDO
Mentre le organizzazioni umanitarie internazionali si concentrano sugli aiuti alle popolazioni del Nepal, la Siria rimane un buco nero che travolge e assorbe tutto. Ci siamo abituati a una situazione che ormai ricorda da molto vicino la guerra civile di Spagna del 1936. Qualcuno vuole rompere il muro della assuefazione. Lo ha fatto qualche giorno fa l’Unicef del Trentino che ha organizzato un incontro proprio sulla situazione siriana, con un focus particolare sui bambini.
Andrea Iacomini, portavoce per la stampa di Unicef Italia, usa parole dure soprattutto nei riguardi dei mezzi di comunicazione, attenti principalmente alle notizie che destano l’attenzione del pubblico (cronaca nera, gossip), oppure che sono, in maniera spesso effimera e superficiale, all’ordine del giorno del momento. Come l’immigrazione: “È successo di tutto. Purtroppo siamo impegnati a raccontare alla stampa di questo dramma senza precedenti” dice riferendosi all’ultima strage di cui stavano arrivando proprio in quelle ore le prime notizie. “Siamo abituati a sentire frasi come: “Mai più”; “Dove eravamo”; “Come è potuto accadere tutto questo”; ma questa è retorica. I giornalisti chiedono come mai si verificano queste situazioni, com’è la situazione sbarchi. Le frasi che si sentono sono: “Frontex non va bene”; “Mare nostrum era meglio”. Ho sentito molte cose. Ma non ho sentito altre cose. Nessuno ha scritto che ci sono guerre che durano da anni e nessuno dice niente al riguardo. Ieri sono morte 700 persone di cui 50 bambini. Molti di questi bambini provengono dalla Siria”.

Così arriviamo al nucleo dell’incontro: “In Siria da 5 anni c’è la più grande emergenza post seconda guerra mondiale. Ci sono 4.000.000 di persone che sono dovute scappare. I bambini vivono in campi profughi dopo essere fuggiti dalla peggior guerra esistente. In Siria da 5 anni si assiste a un movimento di popolazione spaventoso. Ce la prendiamo col mondo intero senza sapere che la massa delle persone che sbarcano arrivano da li. Qualcuno ha detto Yarmuk come Srebrenica”.

Yarmuk è un campo profughi palestinese situato in Siria alle porte di Damasco. La situazione lì è disperata La gente che abita nel campo profughi di Yarmuk è tra due fuochi, come del resto tutto il territorio siriano da più di tre anni. Una morsa micidiale. Non viene consentito l'ingresso di aiuti umanitari, come invece ha chiesto il Comitato di sicurezza dell'Onu. E anche 3.500 bambini restano intrappolati insieme a migliaia di adulti e anziani inermi. Continua il racconto di Iacomini: “Di Yarmuk, città/campo profughi, nessuno conosceva l’esistenza. Ho fatto un paragone forte come Srebrenica per poter parlare della Siria. All’interno di questo campo la gente è costretta a mangiare cani e gatti per non morire di fame, e a bruciare vestiti per avere un fuoco. Si parla di 5000 donne yazide rapite, violentate, sulle quali viene messo un cartellino col prezzo e vengono vendute ai mercati”.

La violenza dell’ISIS si è innestata in un quadro bellico già terribilmente cruento. In luglio circa 700 civili appartenenti alla minoranza turcomanna sciita, tra cui "bambini, donne e vecchi", sono stati massacrati dai jihadisti dello Stato islamico (Isis) nel villaggio di Beshir, nel nord dell'Iraq. In agosto sono stati uccisi 500 yazidi, donne e bambini sono stati sepolti vivi.

Iacomini sottolinea però la gravità generale della situazione, partendo dai bambini rifugiati: “In Iraq abbiamo 2.000.000 di sfollati. Il Libano ospita 1.000.000 di siriani. Poter parlare di questa Siria non è facile. Abbiamo 32.000.000 di bambini colpiti dai conflitti nel mondo, 15.000.000/20.000.000 sono in Siria, seguita dell’Iraq e dal Centroafrica con 2.000.000. La guerra è iniziata con pochi bambini uccisi, 1 al giorno. Poi sono arrivate 1000 persone al campo profughi, poi 2000. Poi… Damasco: Partita di pallone fra bambini, 11 contro 11, morti tutti. In Giordania ci sono 800.000 rifugiati di cui la metà sono bambini. Cerchiamo di dare aiuto ai bambini con traumi psicologici. I bambini che vanno a scuola hanno visto di tutto. Le tende in cui vivono sono nel deserto, fissate con dei sassi. Si passa attraverso la melma e si vedono condutture che si rompono, fogne ed escrementi. C’è chi è nato in questi campi profughi. Vivono dentro queste tende, a terra i loro tappeti, hanno anche 5 figli, e ti offrono the da bere. I bambini vanno a scuola. I grandi si attrezzano. Hanno creato vie di negozi all’interno dei campi. La gente attraversa il confine camminando anche per 10 giorni per raggiungerlo. Arrivano con le carriole che usano per trasportare le poche cose che hanno. Queste vengono poi utilizzate per spostare sassi. Uno dei grossi problemi è proprio il lavoro minorile. I bambini vengono mandati nei campi per 1 dollaro al giorno. L’altro, i matrimoni precoci. Ragazzine dai 6 ai 20 anni , per disperazione, vengono date in sposa per 1000 euro. Violentate, stuprate e commercializzate. La vita lì funziona così da 5 anni”.

Per destare attenzione dobbiamo forse usare frasi zeppe di retorica. Ma piuttosto che il silenzio tombale è meglio esagerare – anche se in realtà non tanto – per eccesso. In questi casi però ci sono centinaia di bambini che muoiono per colpe non loro. La Siria è il luogo peggiore per essere un bambino. Il terrore della morte e delle bombe spinge a diventare profughi, a incominciare una vita di stenti dentro un futuro incertissimo.

L’incontro si conclude con parole politicamente scorrette di Iacomini: “Dicono tutti che è in corso una guerra contro i cristiani. Non lo nego. Però è anche vero che Isis si inserisce dopo. In realtà assistiamo al più grande genocidio di musulmani. Non dovrebbe esserci disuguaglianza quando ci sono queste cose. Chiedete a questi bambini cosa ne sanno o che colpa ne hanno. Come a suo tempo in Ruanda o in Bosnia. Oggi invece questo conflitto viene dimenticato. Essere indifferenti… Questo è il vero problema. Le grandi manifestazioni non si vedono più. Abbiamo perso la voglia di manifestare. Questa guerra è figlia dell’indifferenza. È un crimine contro l’umanità”.

A cura di Lucia Pergher

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