La data era fissata per lo scorso 31 marzo. A partire da quel giorno gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari avrebbero dovuto chiudere. L'annuncio fu dato con molta enfasi, si stava per compiere un evento storico. Con le strutture che in modo del tutto inappropriato contenevano follia e delinquenza, si chiudeva una pagina controversa e talvolta drammatica del sistema penale del nostro Paese.
Oggi, a distanza di ottanta giorni, il clima di euforia è improvvisamente svanito. La realtà è del tutto diversa da quella auspicata e gli Opg non si sono affatto svuotati. In Campania attualmente sono presenti 122 internati, 67 ad Aversa e 55 a Secondigliano. Di questi circa la metà sono campani, gli altri provengono da altre regioni. Anche le Rems, le Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza che avrebbero dovuto sostituire gli Opg, non sono ancora pronte. Sempre in Campania ne erano previste due, a Calvi Risorta e S. Nicola la Baronia da 20 posti ciascuna. Se tutto andrà secondo i programmi stabiliti saranno completate entro l'estate, e saranno le prime funzionanti a livello nazionale. Nel frattempo sono state individuate tre Rems provvisorie, in totale 38 posti letto, di cui solo due sono già aperte, con una grande corsa ad accaparrarsi i posti disponibili.
A Mondragone dove possono essere ospitati 8 internati, sono state fatte ben 15 assegnazioni, con un evidente scollegamento tra la magistratura e i servizi sanitari. Per di più le Rems non sono come il carcere che può contenere un numero di detenuti superiore alla soglia prevista. In queste strutture ulteriori ricoveri rispetto al tetto prestabilito determinerebbero di fatto una situazione di illegalità. Al momento regna una grande confusione che coinvolge gli operatori sanitari, quelli penitenziari e la magistratura.
Cos'è allora che non ha funzionato? E se pensiamo che solo pochi anni fa gli internati ospitati negli istituti campani erano quasi 500, non ci troviamo tutto sommato in una situazione migliore?
Indubbiamente sono stati fatti molti passi in avanti. Tuttavia la chiusura degli Opg, principio sacrosanto, non è stata accompagnata da azioni adeguate che avrebbero reso possibile questo delicato passaggio. Finito l'effetto spot dell'annuncio, emerge con grande chiarezza che il sistema Italia non era preparato. Basti pensare che la Campania che è forse la regione più virtuosa, si è trovata proprio per la sua efficienza in una situazione di grande difficoltà, dovendo assorbire nelle proprie Rems anche ricoverati non campani.
Se alcune regioni scaricano su altre il peso delle loro inadempienze si creano quei corti circuiti che rischiano di rendere ingestibile questa svolta epocale. E a farne le spese sono soprattutto gli internati, come quel campano che per mancanza di posti è finito in una struttura della Sicilia, aggiungendo alla complicata condizione della malattia psichiatrica il disagio dell'allontanamento dal proprio territorio.
La legge 81 del 2014 che definiva la chiusura degli Opg, se aveva l'intento di dare una decisa sterzata, palesava alcuni evidenti limiti, come il commissariamento previsto per le Regioni inadempienti. Con questo provvedimento, del resto non attuato pur talvolta essendoci le condizioni, il commissario avrebbe dovuto predisporre in un tempo ragionevole i piani per la definizione delle Rems, per riorganizzare i Dsm (dipartimenti di salute mentale) e avviare i progetti terapeutici individuali. E nel frattempo che fine far fare agli internati?
Poi emerge un'altra criticità, la difficoltà dei Dsm a prendere in carico i pazienti più problematici, quello zoccolo duro che sono gli internati rimasti in Opg e quelli per cui fallisce la licenza finale di esperimento. Ma le incognite sul futuro riguardano soprattutto i nuovi ingressi che nel frattempo continuano ad essere predisposti nelle Rems, con un intasamento che nei prossimi mesi diventerà ingestibile.
In questa situazione caotica sarebbero auspicabili protocolli di collaborazione tra magistratura e le Asl come previsto dalla legge 81 e, laddove possibile, l'adozione di misure di sicurezza non detentive come la libertà vigilata. Solo così si potrà cercare di attenuare il disagio che è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, resta sullo sfondo una grande domanda: come è possibile pensare di superare gli Opg senza modificare il codice penale e le misure di sicurezza?
di Antonio Mattone
A Mondragone dove possono essere ospitati 8 internati, sono state fatte ben 15 assegnazioni, con un evidente scollegamento tra la magistratura e i servizi sanitari. Per di più le Rems non sono come il carcere che può contenere un numero di detenuti superiore alla soglia prevista. In queste strutture ulteriori ricoveri rispetto al tetto prestabilito determinerebbero di fatto una situazione di illegalità. Al momento regna una grande confusione che coinvolge gli operatori sanitari, quelli penitenziari e la magistratura.
Cos'è allora che non ha funzionato? E se pensiamo che solo pochi anni fa gli internati ospitati negli istituti campani erano quasi 500, non ci troviamo tutto sommato in una situazione migliore?
Indubbiamente sono stati fatti molti passi in avanti. Tuttavia la chiusura degli Opg, principio sacrosanto, non è stata accompagnata da azioni adeguate che avrebbero reso possibile questo delicato passaggio. Finito l'effetto spot dell'annuncio, emerge con grande chiarezza che il sistema Italia non era preparato. Basti pensare che la Campania che è forse la regione più virtuosa, si è trovata proprio per la sua efficienza in una situazione di grande difficoltà, dovendo assorbire nelle proprie Rems anche ricoverati non campani.
Se alcune regioni scaricano su altre il peso delle loro inadempienze si creano quei corti circuiti che rischiano di rendere ingestibile questa svolta epocale. E a farne le spese sono soprattutto gli internati, come quel campano che per mancanza di posti è finito in una struttura della Sicilia, aggiungendo alla complicata condizione della malattia psichiatrica il disagio dell'allontanamento dal proprio territorio.
La legge 81 del 2014 che definiva la chiusura degli Opg, se aveva l'intento di dare una decisa sterzata, palesava alcuni evidenti limiti, come il commissariamento previsto per le Regioni inadempienti. Con questo provvedimento, del resto non attuato pur talvolta essendoci le condizioni, il commissario avrebbe dovuto predisporre in un tempo ragionevole i piani per la definizione delle Rems, per riorganizzare i Dsm (dipartimenti di salute mentale) e avviare i progetti terapeutici individuali. E nel frattempo che fine far fare agli internati?
Poi emerge un'altra criticità, la difficoltà dei Dsm a prendere in carico i pazienti più problematici, quello zoccolo duro che sono gli internati rimasti in Opg e quelli per cui fallisce la licenza finale di esperimento. Ma le incognite sul futuro riguardano soprattutto i nuovi ingressi che nel frattempo continuano ad essere predisposti nelle Rems, con un intasamento che nei prossimi mesi diventerà ingestibile.
In questa situazione caotica sarebbero auspicabili protocolli di collaborazione tra magistratura e le Asl come previsto dalla legge 81 e, laddove possibile, l'adozione di misure di sicurezza non detentive come la libertà vigilata. Solo così si potrà cercare di attenuare il disagio che è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, resta sullo sfondo una grande domanda: come è possibile pensare di superare gli Opg senza modificare il codice penale e le misure di sicurezza?
di Antonio Mattone
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