Il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge. Ora la parola passa alla Knesset. Quando si parla di alimentazione forzata in carcere, ritornano subito alla mente le tragiche vicende dei detenuti del gruppo armato Raf nel carcere di Stammheim o quelle dei prigionieri dell'Ira, che furono vittime di un abile escamotage giuridico della Thatcher. Ma infondo non bisogna nemmeno andare tanto indietro nel tempo, visto che gli Stati Uniti, dopo l'11 settembre, hanno imposto la nutrizione artificiale a Guantanámo ai presunti terroristi islamisti.
Ieri anche Israele ha fatto un passo importante per l'introduzione di questa pratica, che, come è noto, può provocare danni non indifferenti alla salute dei prigionieri. Il disegno di legge sull'alimentazione forzata in carcere, già proposto lo scorso anno, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri. Ora la parola passa alla Knesset (il parlamento), che potrà scegliere di ratificare la norma o rigettarla.
Tale dispositivo si sarebbe posto come una sorta di "atto dovuto" da parte del governo di Tel Aviv, dopo lo sciopero della fame di un vasto numero di prigionieri in stato di detenzione amministrativa. Ricordiamo che la detenzione amministrativa viene decisa, per ragioni di sicurezza, da una corte militare e rende possibile la reclusione di sospetti terroristi palestinesi, senza la previa formulazione di un'accusa e l'istruzione di un processo. Inoltre i vari rinnovi possono coprire un tempo totale di cinque anni.
Come riporta l'agenzia stampa Nenanews, il ministro della sicurezza israeliano, Gilad Erdan, ha mostrato grande entusiasmo verso l'efficacia della legge. A tale proposito, sulla sua pagina Facebook ha commentato: "Oltre ai tentativi di boicottaggio e delegittimazione di Israele, gli scioperi della fame dei terroristi nelle carceri sono diventati un mezzo per minacciare Israele".
A nostro avviso, però, le cose non stanno proprio così.
Innanzitutto ravvisiamo che se tale norma fosse riservata ad un conclamato "terrorista" (categoria da sempre aporetica e troppo spesso strumentalmente tesa a ricomprendere tutti i detenuti politici), sarebbe comunque lesiva dei diritti del prigioniero. In una democrazia, degna di questo nome, tutte le procedure mediche dovrebbero essere valutate da un team medico indipendente e in base ai diritti legali del paziente. Inoltre, quest'ultimo, se nel pieno delle sue facoltà, ha pieno diritto a rifiutare le cure.
In secondo luogo, ci pare che la preoccupazione del governo israeliano sia rivolta soprattutto ai detenuti amministrativi. Le autorità di Tel Aviv sanno perfettamente che potrebbero vedersi costrette a rimettere in libertà le persone in carcere che si servono dello sciopero della fame come strumento di opposizione. Questo è quanto è già accaduto nel 2012, quando centinaia di palestinesi in detenzione amministrativa (colpevoli di niente fino a prova contraria) sono tornate libere.
Ma c'è dell'altro. Il disegno di legge è anche una misura che cerca di placare le continue "intromissioni" della comunità internazionale. Segnaliamo che lo scorso anno il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, aveva espresso profonda preoccupazione per i detenuti palestinesi in protesta. E, inoltre, aveva aggiunto: "i prigionieri devono essere equamente processati o rilasciati immediatamente".
Insomma la "macchina securitaria" di Israele non può incepparsi a causa di chi fa resistenza passiva per ribadire i propri diritti inviolabili. Già gli 80 detenuti finiti in ospedale nel 2014, in condizioni di salute molto precarie per il lungo digiuno, hanno creato troppo scalpore. Meglio, per il governo, prelevare in segreto un detenuto da una cella contro la sua volontà, immobilizzarlo, legarlo, alimentarlo con un sondino naso-gatrico e aspettare che termini la digestione per evitare che si induca il vomito. Il Parlamento non ha ancora dato il via libera alla norma. Per parte nostra, ci auguriamo che parta una mobilitazione internazionale, fatta di liberi cittadini, associazioni, partiti, al fine di sollevare il caso e tentare di correggere le intenzioni dell'esecutivo Netanyahu.
di Mario Lucio Genghini
Tale dispositivo si sarebbe posto come una sorta di "atto dovuto" da parte del governo di Tel Aviv, dopo lo sciopero della fame di un vasto numero di prigionieri in stato di detenzione amministrativa. Ricordiamo che la detenzione amministrativa viene decisa, per ragioni di sicurezza, da una corte militare e rende possibile la reclusione di sospetti terroristi palestinesi, senza la previa formulazione di un'accusa e l'istruzione di un processo. Inoltre i vari rinnovi possono coprire un tempo totale di cinque anni.
Come riporta l'agenzia stampa Nenanews, il ministro della sicurezza israeliano, Gilad Erdan, ha mostrato grande entusiasmo verso l'efficacia della legge. A tale proposito, sulla sua pagina Facebook ha commentato: "Oltre ai tentativi di boicottaggio e delegittimazione di Israele, gli scioperi della fame dei terroristi nelle carceri sono diventati un mezzo per minacciare Israele".
A nostro avviso, però, le cose non stanno proprio così.
Innanzitutto ravvisiamo che se tale norma fosse riservata ad un conclamato "terrorista" (categoria da sempre aporetica e troppo spesso strumentalmente tesa a ricomprendere tutti i detenuti politici), sarebbe comunque lesiva dei diritti del prigioniero. In una democrazia, degna di questo nome, tutte le procedure mediche dovrebbero essere valutate da un team medico indipendente e in base ai diritti legali del paziente. Inoltre, quest'ultimo, se nel pieno delle sue facoltà, ha pieno diritto a rifiutare le cure.
In secondo luogo, ci pare che la preoccupazione del governo israeliano sia rivolta soprattutto ai detenuti amministrativi. Le autorità di Tel Aviv sanno perfettamente che potrebbero vedersi costrette a rimettere in libertà le persone in carcere che si servono dello sciopero della fame come strumento di opposizione. Questo è quanto è già accaduto nel 2012, quando centinaia di palestinesi in detenzione amministrativa (colpevoli di niente fino a prova contraria) sono tornate libere.
Ma c'è dell'altro. Il disegno di legge è anche una misura che cerca di placare le continue "intromissioni" della comunità internazionale. Segnaliamo che lo scorso anno il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, aveva espresso profonda preoccupazione per i detenuti palestinesi in protesta. E, inoltre, aveva aggiunto: "i prigionieri devono essere equamente processati o rilasciati immediatamente".
Insomma la "macchina securitaria" di Israele non può incepparsi a causa di chi fa resistenza passiva per ribadire i propri diritti inviolabili. Già gli 80 detenuti finiti in ospedale nel 2014, in condizioni di salute molto precarie per il lungo digiuno, hanno creato troppo scalpore. Meglio, per il governo, prelevare in segreto un detenuto da una cella contro la sua volontà, immobilizzarlo, legarlo, alimentarlo con un sondino naso-gatrico e aspettare che termini la digestione per evitare che si induca il vomito. Il Parlamento non ha ancora dato il via libera alla norma. Per parte nostra, ci auguriamo che parta una mobilitazione internazionale, fatta di liberi cittadini, associazioni, partiti, al fine di sollevare il caso e tentare di correggere le intenzioni dell'esecutivo Netanyahu.
di Mario Lucio Genghini
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