Il governo libico di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e le sue forze alleate sono responsabili di detenzioni arbitrarie e di torture e maltrattamenti inflitti nei centri di prigionia sotto il loro controllo nell'Est del Paese.
È quanto ha denunciato oggi Human Rights Watch (Hrw), che tra gennaio e aprile scorsi ha potuto visitare le strutture detentive di Beida e Bengasi, controllati dall'Esercito libico e dai ministri di Giustizia e Interno, intervistando 73 detenuti senza la presenza degli agenti di custodia. Tra questi, anche bambini con meno di 18 anni.
A Hrw molti prigionieri hanno raccontato di essere stati torturati per "confessare" gravi crimini, denunciando altri abusi, quali assenza di un giusto processo, mancanza di assistenza medica, divieto di ricevere le visite dei familiari, assenza di notifica alle famiglia riguardo alla loro detenzione e cattive condizioni di prigionia.
"I ministri del governo, i comandanti militari e i direttori di prigione dovrebbero immediatamente dichiarare una politica di tolleranza zero contro la tortura e chiamare a rispondere chiunque si sia macchiato di abusi - ha detto Sarah Leah Whitson, direttore di Hrw per Medio Oriente e Nord Africa - dovrebbero comprendere che rischiano un'indagine e un procedimento internazionali se non intervengono per mettere fine alla tortura praticata dalle forze sotto il loro comando".
Nei tre centri di detenzione visitati da Hrw, l'esercito libico e l'unità antiterrorismo del ministero dell'Interno hanno rinchiuso circa 450 "detenuti di sicurezza" nell'ambito del conflitto in corso con il governo rivale di Tripoli e altri gruppi armati. Tra quelli incontrati da Hrw, 35 hanno detto di essere stati torturati sotto interrogatorio o durante la detenzione: 31 hanno accusato quanti li hanno interrogati di averli costretti a "confessare" dei crimini, gli altri quattro hanno detto che le autorità hanno trasmesso in tv le loro "confessioni", innescando rappresaglie contro le loro famiglie.
Tutti e 35 hanno riferito di non aver avuto un avvocato e di non essere stati portati davanti a un giudice, né di essere stati formalmente incriminati nei molti mesi di detenzione. Secondo Hrw, gran parte dei detenuti sono stati percossi con tubi di plastica sul corpo o sulla pianta dei piedi; alcuni con cavi elettrici, catene o bastoni.
I prigionieri hanno riferito di scosse elettriche, di lunghe sospensioni in aria, di oggetti introdotti negli orifizi, di isolamento e cibo e servizi igienici negati. Stando al racconto dei prigionieri, almeno due persone sotto custodia sono morte per le torture. Tra quanti sono stati intervistati da Hrw figurano persone sospettate di terrorismo o di appartenenza a gruppi estremisti quali lo Stato islamico (Isis) e Ansar Al-Sharia, membri delle forze libiche impegnate in scontri contro il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, esponenti dei Fratelli musulmani o di altri movimenti islamici. Tra i prigionieri ci sono anche cittadini di altri Paesi arabi e africani.
Sahar Banoon, viceministro della Giustizia del governo di Tobruk, ha riferito a Hrw, in un incontro del 14 aprile scorso, del collasso del sistema di giustizia penale nell'Est della Libia, dove al momento non ci sono tribunali in attività, e della nomina da parte del procuratore generale di Bengasi di un comitato di magistrati per la revisione dei casi di detenzione. Faraj al-Juweifi, direttore dei procedimenti militari a Beida, ha riferito di indagini in corso e di una corte militare ancora operativa con un solo giudice, mentre la corte militare di Bengasi ha smesso di operare.
Nella nota, Hrw ha chiesto che tutti i detenuti siano portati davanti a giudici indipendenti, che siano formalmente emessi capi di accusa contro di loro e che siano rilasciati quelli contro cui non ci sono prove di crimini. "Le autorità dovrebbero proteggere tutti i detenuti da tortura e maltrattamenti, e chiamare a risponderne chi li ha inflitti - ha dichiarato Hrw - le autorità dovrebbero concedere accesso illimitato ad osservatori indipendenti quali quelli della missione Onu in Libia (Unsmil) ai luoghi di detenzioni sotto il loro controllo"
A Hrw molti prigionieri hanno raccontato di essere stati torturati per "confessare" gravi crimini, denunciando altri abusi, quali assenza di un giusto processo, mancanza di assistenza medica, divieto di ricevere le visite dei familiari, assenza di notifica alle famiglia riguardo alla loro detenzione e cattive condizioni di prigionia.
"I ministri del governo, i comandanti militari e i direttori di prigione dovrebbero immediatamente dichiarare una politica di tolleranza zero contro la tortura e chiamare a rispondere chiunque si sia macchiato di abusi - ha detto Sarah Leah Whitson, direttore di Hrw per Medio Oriente e Nord Africa - dovrebbero comprendere che rischiano un'indagine e un procedimento internazionali se non intervengono per mettere fine alla tortura praticata dalle forze sotto il loro comando".
Nei tre centri di detenzione visitati da Hrw, l'esercito libico e l'unità antiterrorismo del ministero dell'Interno hanno rinchiuso circa 450 "detenuti di sicurezza" nell'ambito del conflitto in corso con il governo rivale di Tripoli e altri gruppi armati. Tra quelli incontrati da Hrw, 35 hanno detto di essere stati torturati sotto interrogatorio o durante la detenzione: 31 hanno accusato quanti li hanno interrogati di averli costretti a "confessare" dei crimini, gli altri quattro hanno detto che le autorità hanno trasmesso in tv le loro "confessioni", innescando rappresaglie contro le loro famiglie.
Tutti e 35 hanno riferito di non aver avuto un avvocato e di non essere stati portati davanti a un giudice, né di essere stati formalmente incriminati nei molti mesi di detenzione. Secondo Hrw, gran parte dei detenuti sono stati percossi con tubi di plastica sul corpo o sulla pianta dei piedi; alcuni con cavi elettrici, catene o bastoni.
I prigionieri hanno riferito di scosse elettriche, di lunghe sospensioni in aria, di oggetti introdotti negli orifizi, di isolamento e cibo e servizi igienici negati. Stando al racconto dei prigionieri, almeno due persone sotto custodia sono morte per le torture. Tra quanti sono stati intervistati da Hrw figurano persone sospettate di terrorismo o di appartenenza a gruppi estremisti quali lo Stato islamico (Isis) e Ansar Al-Sharia, membri delle forze libiche impegnate in scontri contro il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, esponenti dei Fratelli musulmani o di altri movimenti islamici. Tra i prigionieri ci sono anche cittadini di altri Paesi arabi e africani.
Sahar Banoon, viceministro della Giustizia del governo di Tobruk, ha riferito a Hrw, in un incontro del 14 aprile scorso, del collasso del sistema di giustizia penale nell'Est della Libia, dove al momento non ci sono tribunali in attività, e della nomina da parte del procuratore generale di Bengasi di un comitato di magistrati per la revisione dei casi di detenzione. Faraj al-Juweifi, direttore dei procedimenti militari a Beida, ha riferito di indagini in corso e di una corte militare ancora operativa con un solo giudice, mentre la corte militare di Bengasi ha smesso di operare.
Nella nota, Hrw ha chiesto che tutti i detenuti siano portati davanti a giudici indipendenti, che siano formalmente emessi capi di accusa contro di loro e che siano rilasciati quelli contro cui non ci sono prove di crimini. "Le autorità dovrebbero proteggere tutti i detenuti da tortura e maltrattamenti, e chiamare a risponderne chi li ha inflitti - ha dichiarato Hrw - le autorità dovrebbero concedere accesso illimitato ad osservatori indipendenti quali quelli della missione Onu in Libia (Unsmil) ai luoghi di detenzioni sotto il loro controllo"
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