Il Fatto Quotidiano
Viaggio del FattoTv con un sudanese in treno da Ventimiglia a Nizza. Al confine si chiude in bagno e sfugge ai controlli dei francesi: “In Darfur gli europei ci aiutavano, ora che siamo qui però ci scacciano”
“Questa non è l’Europa di cui ho sentito parlare. Qui non ho incontrato le stesse persone che venivano in Africa ad aiutarci”. Mohamed, cittadino sudanese di vent’anni, non si capacita dell’accoglienza riservatagli dal nostro paese e dalla Francia che, per fermare l’esodo di migranti verso Parigi, ha deciso di sospendere il Trattato di Schengen ripristinando i controlli alla frontiera con l’Italia.
Sta viaggiando sul treno Ventimiglia-Nizza ed è un fiume in piena: “Sono qui da tre giorni e ho già provato a passare più volte, ma a Menton-Garavan la polizia francese ci prende e ci rimanda indietro”. Mohamed viene dal Darfur, regione occidentale del Sudan teatro dal 2003 di una feroce guerra civile. “Gli europei facevano tutto per noi – ricorda – Ci sfamavano, vestivano e curavano. Quello che non riesco a capire è perché, ora che siamo qui, a questa gente non piacciamo più”. Inutile spiegargli le strumentalizzazioni sul fenomeno migratorio e l’ostilità di una certa politica nei confronti dei clandestini. Tanto vale augurarsi che i Crs, i reparti antisommossa francesi messi dall’Eliseo a presidiare le redivive frontiere, non lo trovino. In modo che possa raggiungere la meta dopo venti giorni e 8mila chilometri di viaggio.
Mentre Mohamed sfreccia in ferrovia verso Menton, la stazione di Ventimiglia e il vicino parco sono dei campi profughi a cielo aperto. Di fianco agli anziani che giocano a bocce sotto il fresco degli alberi bivaccano sull’erba decine di africani fra un tentativo e l’altro di raggiungere la Francia. Il racconto è sempre lo stesso. “La polizia ci prende, ci identifica, ci carica su dei furgoni e ci riporta al confine con l’Italia. Da lì sono quattro ore a piedi per tornare in paese”, spiega Amjad, sudanese anche lui: “Questo giardino è la mia nuova casa, vivo qui, mangio quello che trovo e i vestiti li lavo in mare. Ma prima o poi ce la farò a passare”.
L’ultimo tentativo, il più costoso, è il viaggio in macchina. Sì, perché la serrata francese ha fatto fiorire l’economia dei passeur, gli ex spalloni che al posto della merce di contrabbando, ora commerciano in esseri umani. Li si vede arrivare alle prime luci della sera, quando i controlli in frontiera si allentano, e offrono viaggi nel bagagliaio delle proprie auto fino a Nizza per 50 euro. “Sono principalmente nordafricani con passaporto francese – racconta Amjad – Ma se avessi avuto quel denaro, 50 euro per Nizza e 120 di treno per Parigi, sarei rimasto a casa mia. Con quei soldi in Sudan una famiglia mangia per mesi”.
Nell’androne dello scalo la situazione non cambia: gruppi di migranti col naso all’insù per controllore sui tabelloni l’orario del prossimo treno. Il tutto nella totale indifferenza della polizia di frontiera che, vista la situazione, non fa neanche finta di controllarli lasciando il compito ai colleghi francesi qualche decina di chilometri più in là. “Io non faccio più biglietti agli extracomunitari”, attacca il direttore dell’agenzia Avast che però subito dopo precisa: “Mica per razzismo, solo perché buttano via dei soldi, dato che la Francia ce li rimanda indietro e io non posso rimborsare tutti i titoli di viaggio”.
Ma sui controlli d’Oltralpe i poliziotti italiani hanno più di un dubbio. “Se li bloccassero davvero qui avremmo 100mila clandestini – rivela un agente del Centro di Cooperazione e di Dogana a patto di rimanere anonimo – E’ un dispositivo messo in piedi per tenere calmo l’elettorato francese, ma prima o poi, in treno, in macchina o a piedi, gli immigrati passano tutti”.
Nel frattempo Mohamed, seduto sul convoglio e con la testa piena di pensieri, vede passare dai finestrini Latte, Mortola e Grimaldi, ultimo borgo italiano. Si alza improvvisamente e si chiude nel gabinetto. Dopo pochi minuti il treno è a Menton-Garavan e, non appena si aprono le porte, negli scompartimenti salgono una decina di agenti: fuori dalla stazione i furgoni hanno già il motore acceso per riaccompagnare gli immigrati al confine. I poliziotti chiedono i documenti a tutti, turisti compresi, e fanno scendere una decina di africani, ma non notano che il bagno del vagone quattro è occupato, così Mohamed riesce a passare.
Roquebrune, Montecarlo, Beaulieu sur Mer. Le stazioni scorrono veloci e nel giro di 40 minuti il sudanese è a Nizza. In stazione fa conoscenza con Therese Maffeis dell’Associazione per la democrazia che, dopo le presentazioni, si mette a scherzare: “Visto che in Costa Azzurra non votiamo tutti Marine Le Pen?”. Mohamed non capisce, ma la simpatia della volontaria è contagiosa, così comincia finalmente a rilassarsi e a raccontare il suo viaggio: “Sono partito dal Cairo e dopo nove giorni in mare una nave mi ha salvato sbarcandomi a Crotone. Dopo tre notti in un centro mi hanno detto che potevo andare via. Impronte digitali? No, non me le hanno prese”. Therese annuisce: “Nessuno in Italia le prende perché altrimenti dovrebbe accoglierli invece che mandarli qui”. Poi sorridente si rivolge di nuovo a Mohamed: “Benvenuto in Francia ragazzo”
Sta viaggiando sul treno Ventimiglia-Nizza ed è un fiume in piena: “Sono qui da tre giorni e ho già provato a passare più volte, ma a Menton-Garavan la polizia francese ci prende e ci rimanda indietro”. Mohamed viene dal Darfur, regione occidentale del Sudan teatro dal 2003 di una feroce guerra civile. “Gli europei facevano tutto per noi – ricorda – Ci sfamavano, vestivano e curavano. Quello che non riesco a capire è perché, ora che siamo qui, a questa gente non piacciamo più”. Inutile spiegargli le strumentalizzazioni sul fenomeno migratorio e l’ostilità di una certa politica nei confronti dei clandestini. Tanto vale augurarsi che i Crs, i reparti antisommossa francesi messi dall’Eliseo a presidiare le redivive frontiere, non lo trovino. In modo che possa raggiungere la meta dopo venti giorni e 8mila chilometri di viaggio.
Mentre Mohamed sfreccia in ferrovia verso Menton, la stazione di Ventimiglia e il vicino parco sono dei campi profughi a cielo aperto. Di fianco agli anziani che giocano a bocce sotto il fresco degli alberi bivaccano sull’erba decine di africani fra un tentativo e l’altro di raggiungere la Francia. Il racconto è sempre lo stesso. “La polizia ci prende, ci identifica, ci carica su dei furgoni e ci riporta al confine con l’Italia. Da lì sono quattro ore a piedi per tornare in paese”, spiega Amjad, sudanese anche lui: “Questo giardino è la mia nuova casa, vivo qui, mangio quello che trovo e i vestiti li lavo in mare. Ma prima o poi ce la farò a passare”.
L’ultimo tentativo, il più costoso, è il viaggio in macchina. Sì, perché la serrata francese ha fatto fiorire l’economia dei passeur, gli ex spalloni che al posto della merce di contrabbando, ora commerciano in esseri umani. Li si vede arrivare alle prime luci della sera, quando i controlli in frontiera si allentano, e offrono viaggi nel bagagliaio delle proprie auto fino a Nizza per 50 euro. “Sono principalmente nordafricani con passaporto francese – racconta Amjad – Ma se avessi avuto quel denaro, 50 euro per Nizza e 120 di treno per Parigi, sarei rimasto a casa mia. Con quei soldi in Sudan una famiglia mangia per mesi”.
Nell’androne dello scalo la situazione non cambia: gruppi di migranti col naso all’insù per controllore sui tabelloni l’orario del prossimo treno. Il tutto nella totale indifferenza della polizia di frontiera che, vista la situazione, non fa neanche finta di controllarli lasciando il compito ai colleghi francesi qualche decina di chilometri più in là. “Io non faccio più biglietti agli extracomunitari”, attacca il direttore dell’agenzia Avast che però subito dopo precisa: “Mica per razzismo, solo perché buttano via dei soldi, dato che la Francia ce li rimanda indietro e io non posso rimborsare tutti i titoli di viaggio”.
Ma sui controlli d’Oltralpe i poliziotti italiani hanno più di un dubbio. “Se li bloccassero davvero qui avremmo 100mila clandestini – rivela un agente del Centro di Cooperazione e di Dogana a patto di rimanere anonimo – E’ un dispositivo messo in piedi per tenere calmo l’elettorato francese, ma prima o poi, in treno, in macchina o a piedi, gli immigrati passano tutti”.
Nel frattempo Mohamed, seduto sul convoglio e con la testa piena di pensieri, vede passare dai finestrini Latte, Mortola e Grimaldi, ultimo borgo italiano. Si alza improvvisamente e si chiude nel gabinetto. Dopo pochi minuti il treno è a Menton-Garavan e, non appena si aprono le porte, negli scompartimenti salgono una decina di agenti: fuori dalla stazione i furgoni hanno già il motore acceso per riaccompagnare gli immigrati al confine. I poliziotti chiedono i documenti a tutti, turisti compresi, e fanno scendere una decina di africani, ma non notano che il bagno del vagone quattro è occupato, così Mohamed riesce a passare.
Roquebrune, Montecarlo, Beaulieu sur Mer. Le stazioni scorrono veloci e nel giro di 40 minuti il sudanese è a Nizza. In stazione fa conoscenza con Therese Maffeis dell’Associazione per la democrazia che, dopo le presentazioni, si mette a scherzare: “Visto che in Costa Azzurra non votiamo tutti Marine Le Pen?”. Mohamed non capisce, ma la simpatia della volontaria è contagiosa, così comincia finalmente a rilassarsi e a raccontare il suo viaggio: “Sono partito dal Cairo e dopo nove giorni in mare una nave mi ha salvato sbarcandomi a Crotone. Dopo tre notti in un centro mi hanno detto che potevo andare via. Impronte digitali? No, non me le hanno prese”. Therese annuisce: “Nessuno in Italia le prende perché altrimenti dovrebbe accoglierli invece che mandarli qui”. Poi sorridente si rivolge di nuovo a Mohamed: “Benvenuto in Francia ragazzo”
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