Violenze durante le azioni di guerra ma anche nelle carceri: è la realtà delle donne siriane che, secondo il rapporto dell’"Euro-Mediterranean Human Rights Network" (Emhrn), sono sempre più esposte a ogni tipo di abuso nel Paese sprofondato nel conflitto da quattro anni.
Il servizio di Fausta Speranza:
“Uccisione di donne durante le operazioni militari, esecuzioni durante i massacri, uso di corpi femminili come scudi umani, stupri nelle incursioni armate, durante i rapimenti, all’interno delle prigioni governative e nelle strutture detentive, molestie sessuali e umiliazioni durante la prigionia, detenzione arbitraria, sparizioni e rapimenti”.
“Uccisione di donne durante le operazioni militari, esecuzioni durante i massacri, uso di corpi femminili come scudi umani, stupri nelle incursioni armate, durante i rapimenti, all’interno delle prigioni governative e nelle strutture detentive, molestie sessuali e umiliazioni durante la prigionia, detenzione arbitraria, sparizioni e rapimenti”.
Un esempio: la storia di Aida, 19 anni, detenuta arbitrariamente tra l’ottobre 2012 e il gennaio 2013, racconta che l’uomo che la stava interrogando e che voleva da lei una certa dichiarazione l’ha lasciata in una stanza ed è tornato con altri tre che l’hanno violentata a turno. Alla fine, sanguinante, è stata sottoposta a un’iniezione per farla stare in piedi davanti al giudice.
Secondo il rapporto di Emhrn, lo stupro è usato come un’arma nella guerra in Siria e circa seimila donne sono state violentate nel 2013. Sembra sia più frequente in tre situazioni: ai posti di blocco, nei centri di detenzione e durante i raid militari. Le informazioni indicano che i membri del corpo di sicurezza sono stati coinvolti in atti di violenza sessuale. E in una società patriarcale come quella siriana, lo stigma dello stupro può facilmente scoraggiare le donne dall’ammettere cosa hanno subito, perchè correrebbero il rischio di essere ostracizzate.
Della situazione in Siria Fausta Speranza ha parlato con Riccardo Nouri, portavoce per l’Italia di Amnesty International
R. – Le ricerche di Amnesty International di altre organizzazioni per i diritti umani confermano che in Siria è accaduto in questi anni quello che è accaduto in tanti altri conflitti, cioè donne e ragazze vittime di violenze sessuale, di stupri, di altre forme di abuso. Donne fatte oggetto di una strategia bellica o trofei di guerra. Questo vale sia per quanto riguarda le forze governative, nella prima parte del conflitto, ma vale anche per i gruppi armati di opposizione, in particolare lo Stato islamico, che hanno via via conquistato parti di territorio nel corso degli ultimi anni. Già nel 2013 l’Euro-mediterranean Human Rights Network aveva segnalato 6000 casi di stupri in Siria. E dobbiamo anche aggiungere che si tratta di stime profondamente in difetto perché è facile constatare quanto la sfiducia nella giustizia, l’impossibilità di denunciare lo stigma che circonda le persone che hanno subito violenza, frenino le donne dal raccontare quello che è accaduto. Quindi sono cifre che valgono quello che valgono, potrebbero esserci anche degli 0 in più oltre a quel numero.
D. – Una situazione che va avanti da 4 anni: donne, in particolare, ma anche piccolissimi e civili in generale…
R. – Sì, non viene risparmiato nessuno. La realtà che abbiamo raccontato in tutti questi anni è una realtà fatta di torture efferate per punire, per terrorizzare la popolazione da parte delle forze governative: gli attacchi indiscriminati con armi rudimentali come i barili bomba che mietono vittime all’interno delle zone residenziali, le città sotto assedio… E naturalmente le persone più vulnerabili, le donne, le ragazze, i bambini e le bambine subiscono le conseguenze peggiori. E non è un caso che all’interno della popolazione rifugiata le organizzazioni per i diritti umani hanno individuato proprio tra i gruppi più vulnerabili - le ragazze single, le donne vedove, le bambine orfane - come persone che non possono più stare nei campi improvvisati intorno alla Siria. Tra queste ci sono molte vittime di stupro che hanno bisogno di cure mediche e psicologiche che in Libano, in Turchia, in Giordania, con tutta la buona volontà dei Paesi ospitanti, non possono ottenere.
D. – Quanto è difficile anche avere oggi notizie di quello che sta davvero accadendo sul territorio siriano?
R. – E’ estremamente difficile perché quello che Amnesty International è riuscita a fare per un po’ di tempo, fino al 2014, cioè entrare direttamente in Siria per raccogliere testimonianze di prima mano, ora è semplicemente impossibile. Ci si affida al lavoro straordinariamente coraggioso degli attivisti e delle attiviste per i diritti umani che ci raccontano di un quadro senza speranza. E questo è un Paese in cui più della metà della popolazione non vive più nelle sue case; è un Paese che – lo abbiamo dimostrato con le immagini satellitari - di notte è completamente spento; è un Paese nel quale 4 milioni di persone sono andate a cercare protezione all’estero e 7 milioni sono profughi interni. Questa è la parte più difficile da raccontare: la vita in Siria oggi, la vita dei profughi interni, la vita delle città sotto assedio. E le informazioni che arrivano tanto dalle zone controllate dal governo, quanto dalle zone controllate dall’opposizione armata, ci parlano di un conflitto senza regole, senza alcuna tutela per i civili e nel pieno disprezzo della vita umana.
Secondo il rapporto di Emhrn, lo stupro è usato come un’arma nella guerra in Siria e circa seimila donne sono state violentate nel 2013. Sembra sia più frequente in tre situazioni: ai posti di blocco, nei centri di detenzione e durante i raid militari. Le informazioni indicano che i membri del corpo di sicurezza sono stati coinvolti in atti di violenza sessuale. E in una società patriarcale come quella siriana, lo stigma dello stupro può facilmente scoraggiare le donne dall’ammettere cosa hanno subito, perchè correrebbero il rischio di essere ostracizzate.
Della situazione in Siria Fausta Speranza ha parlato con Riccardo Nouri, portavoce per l’Italia di Amnesty International
R. – Le ricerche di Amnesty International di altre organizzazioni per i diritti umani confermano che in Siria è accaduto in questi anni quello che è accaduto in tanti altri conflitti, cioè donne e ragazze vittime di violenze sessuale, di stupri, di altre forme di abuso. Donne fatte oggetto di una strategia bellica o trofei di guerra. Questo vale sia per quanto riguarda le forze governative, nella prima parte del conflitto, ma vale anche per i gruppi armati di opposizione, in particolare lo Stato islamico, che hanno via via conquistato parti di territorio nel corso degli ultimi anni. Già nel 2013 l’Euro-mediterranean Human Rights Network aveva segnalato 6000 casi di stupri in Siria. E dobbiamo anche aggiungere che si tratta di stime profondamente in difetto perché è facile constatare quanto la sfiducia nella giustizia, l’impossibilità di denunciare lo stigma che circonda le persone che hanno subito violenza, frenino le donne dal raccontare quello che è accaduto. Quindi sono cifre che valgono quello che valgono, potrebbero esserci anche degli 0 in più oltre a quel numero.
D. – Una situazione che va avanti da 4 anni: donne, in particolare, ma anche piccolissimi e civili in generale…
R. – Sì, non viene risparmiato nessuno. La realtà che abbiamo raccontato in tutti questi anni è una realtà fatta di torture efferate per punire, per terrorizzare la popolazione da parte delle forze governative: gli attacchi indiscriminati con armi rudimentali come i barili bomba che mietono vittime all’interno delle zone residenziali, le città sotto assedio… E naturalmente le persone più vulnerabili, le donne, le ragazze, i bambini e le bambine subiscono le conseguenze peggiori. E non è un caso che all’interno della popolazione rifugiata le organizzazioni per i diritti umani hanno individuato proprio tra i gruppi più vulnerabili - le ragazze single, le donne vedove, le bambine orfane - come persone che non possono più stare nei campi improvvisati intorno alla Siria. Tra queste ci sono molte vittime di stupro che hanno bisogno di cure mediche e psicologiche che in Libano, in Turchia, in Giordania, con tutta la buona volontà dei Paesi ospitanti, non possono ottenere.
D. – Quanto è difficile anche avere oggi notizie di quello che sta davvero accadendo sul territorio siriano?
R. – E’ estremamente difficile perché quello che Amnesty International è riuscita a fare per un po’ di tempo, fino al 2014, cioè entrare direttamente in Siria per raccogliere testimonianze di prima mano, ora è semplicemente impossibile. Ci si affida al lavoro straordinariamente coraggioso degli attivisti e delle attiviste per i diritti umani che ci raccontano di un quadro senza speranza. E questo è un Paese in cui più della metà della popolazione non vive più nelle sue case; è un Paese che – lo abbiamo dimostrato con le immagini satellitari - di notte è completamente spento; è un Paese nel quale 4 milioni di persone sono andate a cercare protezione all’estero e 7 milioni sono profughi interni. Questa è la parte più difficile da raccontare: la vita in Siria oggi, la vita dei profughi interni, la vita delle città sotto assedio. E le informazioni che arrivano tanto dalle zone controllate dal governo, quanto dalle zone controllate dall’opposizione armata, ci parlano di un conflitto senza regole, senza alcuna tutela per i civili e nel pieno disprezzo della vita umana.
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