Riportiamo una storia di dolore e di speranza raccontata da Andrea Riccardi su SETTE, nella rubrica "Religioni e Civiltà" di questa settimana. Quella di Alganesh Fessaha, cristiana di origine eritrea e dello sheik Awwad Mohammed Ali Hassan, divisi dalla storia e dai confini, uniti nell'impresa di aiutare le migliaia di eritrei in fuga dalla disperazione, quelli che in molti chiamano i "dannati del deserto".Gli angeli dei dannati del deserto
Storia di una coppia, lei cristiana lui musulmano, che hanno salvato 750 profughi eritrei nel Sinai, strappandoli da beduini, schiavitù e morte
di Andrea Riccardi
Nella penisola del Sinai, l'esercito egiziano sta combattendo in questi giorni i gruppi terroristici schieratisi con il "califfato". Da dietro la frontiera, gli israeliani, preoccupati, monitorano l'immensa area fuori controllo, dove si rischia l'insediamento terrorista. Fino a poco tempo fa, nell'apparente tranquillità del deserto biblico, si è svolto uno "scontro di civiltà" sulla pelle dei "dannati del deserto": i tanti rifugiati eritrei nel Sinai. Liberarli oppure sfruttarli come schiavi fino a ucciderli?
Quasi nessuno ha seguito questa tragedia umana, che ha coinvolto, per dieci anni, circa 30.000 persone in una terra abitata dai beduini. Solo una donna, Alganesh Fessaha, eritrea d'origine (ora cittadina italiana), se n'è accorta, ha lanciato l'allarme e si è mossa per aiutare. Tanti giovani eritrei, per sfuggire al servizio militare (praticamente illimitato nel Paese dal 2001), hanno pagato il passaggio fino al Sinai attraverso Sudan e Egitto, con la speranza di arrivare in Israele. I più fortunati sono finiti nel carcere egiziano in condizioni impossibili. Altri hanno vagato nel deserto.
Alganesh, con il suo telefonino, ha cominciato a rispondere agli appelli dei disperati. È andata tante volte nel Sinai. Sono rotte pericolose per chi è donna e cristiana. Qui ha incontrato un giovane religioso musulmano, Io sheik Awwad Mohammed Ali Hassan, responsabile di una moschea. Parla di lui con riconoscenza: «Mi protegge come fossi sua sorella». Si è stabilita tra loro una collaborazione coraggiosa per liberare gli eritrei rapiti dalle bande beduine, vere mafie che commerciano esseri umani e chiedono il riscatto alle famiglie. Almeno un eritreo su tre è morto nel deserto. Le donne sono state spesso violentate. Ci sono indizi di espianti di organi. Un rapporto dell'Onu, nel 2012, parla di un traffico organizzato di esseri umani dall'Eritrea verso i beduini del Sinai. Alganesh ha fondato una ong, Gandhi, che libera gli eritrei prigionieri in Egitto, a volta intere famiglie: circa 5000 in dieci anni.
TESTIMONI DI ORRORI. Mohammed e Alganesh insieme hanno salvato 750 persone, strappandole dai beduini, dalla schiavitù e dalla morte. I due sono stati testimoni di orrori: fosse comuni, corpi segnati dalle violenze. A volte, durante le torture, gli eritrei sono stati costretti a telefonare ai familiari in Europa e America, per implorare il riscatto.
Alganesh e Mohammed, la cristiana e il musulmano, hanno fatto una vera scelta di civiltà: salvare vite umane. Ho chiesto a Mohammed perché facesse tanto per i rifugiati (cristiani soprattutto, ma anche musulmani), nascondendoli nella moschea o in casa con rischio personale: «Sono uomini come me, non posso lasciarli morire così», ha risposto. È un musulmano senza particolare propensione al dialogo interreligioso. Ma per lui quei "dannati del Sinai" sono esseri umani: vanno aiutati. Per i banditi beduini invece, si tratta di non-uomini: oggetti da commerciare e su cui usare violenza. Ma oggi, per Mohammed, che è isolato nel Sinai, c'è un nuovo dramma: la guerra e le milizie del califfato.
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