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domenica 5 luglio 2015

In Italia tutto quello che credi di sapere sui rom è falso

Wired.it
Sono tante le domande a cui molti italiani non saprebbero rispondere sugli “zingari”: quanti sono in Italia? Cosa significa la parola “rom”? Sono davvero nomadi? Quanti soldi gli “regaliamo”?

Commenti sul blog di Salvini, fatti di cronaca (a volte manipolati) e disinformazione a parte, forse gli italiani sanno poco dei rom. Eppure secondo un rapporto del 2014 del Pew Research Center i rom sono la minoranza più discriminata d’Europa. Non c’è alcun dubbio che il vecchio continente, infatti, abbia un’idea negativa delle minoranze, Italia in testa. Dove secondo il Terzo Libro bianco sul razzismo gli atti discriminatori contro i rom sono passati da 11 episodi nel 2011 a 171 nel 2014.

Eppure sono tante le domande a cui molti italiani non saprebbero rispondere: quanti sono i rom in Italia? Cosa significa la parola “rom”? I rom sono nomadi? Quanti soldi gli “regaliamo”?

L’ITALIA È PIENA DI ZINGARI. In Italia rom, sinti e camminanti sono circa 170mila. Si parla dello 0,25% della popolazione. Nell’Ue vivono circa 10 milioni di rom, pari al 2% della popolazione. Nel dettaglio, “i rom sono il 2% della popolazione greca (200mila su 10 milioni), l’1,8% in Spagna (800mila su 45 milioni) e lo 0,6% della popolazione francese (340mila su 61 milioni)”. Queste le stime dell’ultimo report di Radicali Roma e Associazione È possibile. Un rapporto dal titolo molto chiaro: “Tutto quello che sai sugli zingari è falso”. Nonostante siamo tra i paesi europei con la minore presenza di rom, l’Italia è l’unico stato dell’Ue ad aver proclamato nel 2008 l’Emergenza rom, un piano del governo Berlusconi che prevedeva, tra le altre cose, la schedatura dei bambini con impronte digitali e una politica di sgomberi permanenti. Emergenza nomadi che è stata fatta decadere nel 2012 dalla Cassazione con l’accusa di discriminazione razziale.

PERCHÉ NON SE NE TORNANO A CASA LORO? Le popolazioni romanì sono in Italia da oltre 6 secoli e la metà dei rom, sinti e camminanti che vivono nel Bel Paese sono cittadini italiani. Molti sono rifugiati in fuga da guerra e persecuzione durante i conflitti nei Balcani degli anni ’90. Tutti, sono stati messi in campi nomadi solo perché di etnia rom, nonostante in Kosovo e Macedonia non avessero mai vissuto in roulotte o container, ma in case di mattoni e cemento. Sempre degli anni ’90 la migrazione dei rom rumeni (ma provenienti anche dalla Bulgaria), quindi l’arrivo di immigrati comunitari regolari.

I ROM SONO NOMADI. Abbandonate l’immagine romantica dei rom che girano il mondo in roulotte: solo il 3% di rom e sinti in Italia è nomade. “Le famiglie nomadi sono pochissime e riguardano soprattutto alcuni Sinti giostrai e rom Kalderasha – precisa l’Anci – Entrambi i gruppi menzionati sono peraltro in gran parte di nazionalità italiana”. Una situazione che non cambia in Europa, dove gli 8-10 milioni di rom sono per l’85-90% sedentari. Eppure ai rom è chiesto di vivere in roulotte o container. E se i campi sono sporchi e disagiati, forse non tutti sanno che la manutenzione è in mano al Comune, mentre le costruzioni in cemento e il rifacimento delle strade sono vietate. Percorsi di integrazione e aiuto alla scolarizzazione, invece, sono affidati al terzo settore.

AI ROM PIACE VIVERE NEI CAMPI. L’Italia è l’unico paese in Europa in cui esistono i campi rom come siamo abituati a conoscerli. Ovvero container o baracche di legno, gestiti dal Comune, dove i rom sono caldamente invitati a vivere in “condizioni inumane e degradanti”. A definirla senza mezzi termini sempre la Commissione diritti umani al Senato, che continua descrivendo una crudele emarginazione i cui effetti si riversano poi nella vita delle città. Politiche che hanno comportato voci di spesa elevatissime senza far registrare alcun miglioramento nelle condizioni di vita di rom e sinti, ma ne hanno sistematicamente violato i diritti umani. Campi dove secondo la European Committee of Social Rights è impossibile condurre una vita dignitosa.

I ROM NON VOGLIONO LAVORARE. Che i rom rubino come fosse una vocazione innata è un’accusa “che andrebbe dimostrata con dati e percentuali”. Vero è che essere riconosciuti come rom è un ostacolo a trovare un’occupazione. Tanto che la maggior parte dei rom che lavora non dichiara le sue origini. Per la Commissione diritti umani al senato si dovrebbe “offrire un quadro più regolare e dignitoso ad attività che già oggi contribuiscono al reddito e alla sopravvivenza delle famiglie”. Qualche esempio? La raccolta differenziata o la vendita del ferro legata al campo di Napoli Capodichino. Ma anche le attività di giostrai e artisti di strada. Servirebbero percorsi verso la legalità attraverso scuola, formazione e lavoro. Peccato che in Italia solo il 6% dei rom arriva a un diploma di scuola media o superiore, contra una media europea di 67%. Diversa istruzione che si riflette anche sulle prospettive lavorative, visto che i rom che lavorano in Italia sono il 40%, contro una media in Europa del 60%. “Un’alternativa al campo sarebbe trovarsi un lavoro”, confessa nel campo comunale milanese di via Martirano uno dei 4mila rom del capoluogo lombardo. “Ma tu mi daresti un lavoro se ti dicessi che sono zingaro?”.

CON TUTTI I SOLDI CHE GLI DIAMO… Di soldi per mantenere attivo campi rom ne spendiamo tanti. A Milano, all’epoca dell’emergenza rom nel 2008, il Piano Maroni prevedeva la chiusura di tutti i campi anche tramite il rimpatrio assistito, il che voleva dire che a ogni nucleo famigliare rom erano dati 15mila euro per tornare in patria, mentre 35mila euro erano dati all’associazione italiana che assisteva la famiglia nel ritorno a casa. Un flusso di denaro decisamente sostanzioso. A Roma, dove nei campi vivono circa 8mila persone, il Comune ha speso 24 milioni di euro solo nel 2013. Sempre nella capitale, per il centro di accoglienza di via Visso il Comune dà ogni mese all’ente gestore 190mila euro. Secondo il rapporto Segregare Costa, tra il 2005 e il 2011 a Napoli, Roma e Milano (le città che ospitano le più numerose comunità rom) sono stati stanziati almeno 100 milioni di euro per allestire e mantenere i campi nomadi. E le indagini dell’ultimo anno fanno quantomeno intuire quali interessi vi siano dietro il mantenimento del sistema dei campi.

ZINGARI, ROM, NOMADI: SONO TUTTI SINONIMI. Rom viene dall’hindi e significa “uomo”. Mentre Gypsies in inglese, Gitani in spagnolo e Egyptiens nel francese del XIII secolo, sono tutte etichette che nascono da una regione greca chiamata “piccolo Egitto” dove aveva trovato rifugio la comunità. Zingaro, viene dal greco “intoccabile”. E intoccabili erano in India coloro che esercitavano mestieri impuri: saltimbanchi, straccivendoli, fabbri, ferrai, spazzini. Dall’India, queste carovane si sono mosse verso Asia centrale e altopiano Iranico. Poi, arrivarono in Europa. I grandi flussi migratori, terminarono con la prima guerra mondiale. “Per anni in Italia si è utilizzato il termine ‘nomadi’ come sinonimo di rom, sinti o zingari – racconta la Comunità di Sant’Egidio – Negli ultimi anni, con l’affermazione di un linguaggio politically correct ‘nomadi’ ha avuto molta fortuna per definire le popolazioni zingare presenti in Italia. I media lo hanno scelto e molte amministrazioni lo hanno introdotto nei propri documenti. Il termine però definisce popolazioni che vivono itinerando di luogo in luogo. Ma questa non è la realtà degli zingari presenti in Italia”. E se la parola “nomade” è impropria, il termine “zingaro” non può più essere usato. Anni di disinformazione e politica gridata, infatti, l’anno fatta diventare un insulto.

Elisa Murgese

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