E' finito il tempo dei topi e delle baracche: hanno una casa grazie all'alleanza tra la Comunità di Sant'Egidio e tanti volontari e associazioni del quartiere
Milano - Alla periferia est di Milano per 200 rom romeni è finito il tempo dei topi e delle baracche: hanno una casa grazie all'alleanza tra la Comunità di Sant'Egidio e tanti volontari e associazioni del quartiere. Lo sgombero del 2009, le maestre che aprono casa propria agli alunni, i rom che passano dall'elemosina ai contratti di lavoro. Una storia di solidarietà contagiosa partita dalle aule e dai cancelli di scuola. E infine la famiglia di Georgel e la signora Anna: quando i rom accolgono in casa propria un'anziana milanese sfrattata.
Quello sputo contro i suoi figli.
Flora si commuove raccontando quando anni fa il guidatore di una macchina nera le si avvicinò abbassando il finestrino e sputò contro i suoi figli solo perché rom. Era il 2011, li stava portando a scuola, abitavano in una baraccopoli di Milano e in sei mesi avevano subito 14 sgomberi. Oggi Flora abita in casa, ha un contratto di lavoro e sua figlia Larissa, 17 anni, ha appena terminato la terza superiore. Dopo di lei parla Vadar, 22 anni: "Cinque anni fa facevo l'elemosina; grazie alla Comunità di Sant'Egidio ho ottenuto la licenza media, ho fatto un corso di termoidraulico, un tirocinio e adesso lavoro in un hotel a cinque stelle".
"E' finito il tempo dei topi". Madalina, con in braccio il figlio che frequenta l'asilo, racconta la gioia della casa: "È finito il tempo dei topi, delle tende e delle baracche". A Lambrate, periferia est di Milano, 250 persone hanno partecipato alla serata "Io vivevo al campo", organizzata il 17 giugno dalla Comunità di Sant'Egidio e dalle Acli per raccontare "l'alternativa possibile: scuola, casa e lavoro". A margine dell'incontro, rom e non rom si confondono per la familiarità con cui chiacchierano e si abbracciano.
Una storia che ha parlato a tutta la città. Lo sgombero di via Rubattino, quando i milanesi aprirono casa propria ai rom. Quella della baraccopoli di Rubattino è una storia che dalla periferia ha parlato all'intera città, che all'epoca della Giunta Moratti era diventata una Sgomberopoli, arrivando a festeggiare il "traguardo" dei 500 sgomberi. Si trattava, in realtà, degli stessi rom continuamente sgomberati, sempre dagli stessi posti. Senza proporre alternative, le ruspe spostavano solamente il problema, spendendo milioni di euro.
Una reazione inaspettata. Nel novembre 2009, quando arrivò il turno delle baracche di Rubattino, avvenne una reazione inaspettata: insegnanti e genitori dei compagni di classe aprirono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie rom, centinaia di cittadini si mobilitarono per raccogliere coperte e pasti caldi. Infatti, grazie al lavoro culturale che Sant'Egidio aveva svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non erano più "gli zingari", una categoria infida e minacciosa, ma erano diventati "il mio alunno", "il compagno di classe di mia figlia". I rom erano Vadar, Flora, Madalina, Garofita: per la prima volta avevano un nome.
Quarantadue famiglie dalle baracche alla casa. Dei 350 rom romeni che abitavano in via Rubattino, 200 oggi vivono in casa. 42 famiglie, l'ultima ha firmato il contratto questa settimana. Strappate una a una dalle baracche, grazie al "contagio di solidarietà" seguito allo sgombero; tutto autofinanziato e fatto da volontari. In Italia non esiste un altro caso di così tante famiglie rom aiutate a passare da una baraccopoli abusiva alla casa. Non solo l'abitazione: in ciascuna famiglia almeno un genitore ha il lavoro, i figli frequentano dall'asilo alle scuole superiori, d'estate 80 minori partiranno per le vacanze con i coetanei italiani.
Possibile per l'unità delle persone. Spiega la Comunità di Sant'Egidio: "È stato possibile grazie all'unità di persone e gruppi diversi che hanno messo al centro i rom, alla fedeltà negli anni e soprattutto alla fiducia nel cambiamento che ha spezzato la rassegnazione. Sentiamo sempre ripetere che con i rom è tutto inutile, che i progetti falliscono. Non è vero: le difficoltà talvolta ci sono, ma la storia di Rubattino dimostra che l'alternativa alla baraccopoli è possibile. Non con le ruspe, ma con scuola, casa, salute e lavoro".
Tutto è partito dalla scuola. La maestra Flaviana Robbiati ricorda il giorno in cui i volontari di Sant'Egidio iscrissero i primi alunni: "Tra le colleghe la prima battuta fu 'attenzione ai portafogli'. Poi i bambini rom vennero invitati alle feste di compleanno, alle pizzate di classe e a casa dei compagni: i muri iniziavano a cadere". Le due mamme Garofita e Anna si sono conosciute all'uscita da scuola: la prima volta si sono parlate con timore, mentre ormai da anni le figlie vanno in vacanza insieme nella casa di montagna della famiglia italiana.
Dall'elemosina al lavoro. Maura Sianesi, avvocato che abita nella zona, racconta di quando Sant'Egidio le ha presentato Genesa: "Mi hanno proposto che facesse alcune ore di pulizie a casa. Era il primo lavoro della sua vita, aveva sempre fatto solo l'elemosina". Oggi questa donna rom lavora in tre posti diversi ed è la quarantaduesima famiglia che ha appena lasciato la baracca. L'avvocato l'ha aiutata per il trasloco: "Mi ha commosso - dice - la figlia di 5 anni: continuava a baciare il letto ripetendo 'è la mia casa'". Altra storia di amicizia è quella di Claudiu, che parla accanto a Eugenio e Sandra, la famiglia italiana che l'ha accolto in casa per scontare l'ultimo anno di detenzione. Spiegano i coniugi: "All'inizio avevamo un po' di paura, adesso diciamo che la nostra famiglia si è allargata".
Si cambia insieme, rom e non rom. Assunta Vincenti è una delle volontarie delle prima ora, da quando nella classe del figlio arrivò una compagna rom. Dice: "Quanto sono cambiata anch'io! Quell'incontro ci ha permesso di diventare più umani, di trovare il tempo non per sé ma per gli altri, che è un bel modo di vivere. Con gli amici rom abbiamo capito che è meglio un quartiere pacificato piuttosto che in guerra". E Pietro, rom che di lavoro ripara i bagni delle case milanesi, aggiunge: "La nostra forza è stata quella di cambiare insieme, rom e gagi, come noi chiamiamo i non rom". E davanti al pubblico che lo ascolta dice: "Grazie per questi anni, abbiamo bisogno della vostra amicizia".
L'anziana sfrattata accolta in casa dalla famiglia rom. Ma alla fine dell'incontro è la storia raccontata da Georgel che ottiene gli applausi più forti. Il ragazzo, 11 anni, dopo anni di sgomberi e baraccopoli ("Non potevo guardare le partite dei Mondiali") ora vive in casa. Dice: "Stiamo aiutando la signora Anna, che è italiana e sta per compiere 84 anni. La tragedia di questa signora è che ha perso tutta la sua famiglia. Noi l'abbiamo conosciuta perché abitava al piano sotto di noi e ogni sera veniva a guardare le telenovele con noi: così è diventata una specie di nonna. Quando è morto suo figlio, ha perso la casa perché non aveva pagato l'affitto. Allora abbiamo deciso di non lasciarla sola".
"E' come una catena". "L'abbiamo invitata in casa nostra - ha aggiunto - e le abbiamo offerto un letto in cui dormire; vive con noi da sei mesi. A volte è un po' difficile aiutare la signora Anna, ma noi ci siamo abituati a lei, e lei a noi, e infatti lei a volte ci fa dei regali per dire che siamo come i suoi nipoti". Aggiunge Georgel: "È come una catena: noi rom di Sant'Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri". Anna, da parte sua, è lì accanto e ascolta con gli occhi lucidi.
"E' finito il tempo dei topi". Madalina, con in braccio il figlio che frequenta l'asilo, racconta la gioia della casa: "È finito il tempo dei topi, delle tende e delle baracche". A Lambrate, periferia est di Milano, 250 persone hanno partecipato alla serata "Io vivevo al campo", organizzata il 17 giugno dalla Comunità di Sant'Egidio e dalle Acli per raccontare "l'alternativa possibile: scuola, casa e lavoro". A margine dell'incontro, rom e non rom si confondono per la familiarità con cui chiacchierano e si abbracciano.
Una storia che ha parlato a tutta la città. Lo sgombero di via Rubattino, quando i milanesi aprirono casa propria ai rom. Quella della baraccopoli di Rubattino è una storia che dalla periferia ha parlato all'intera città, che all'epoca della Giunta Moratti era diventata una Sgomberopoli, arrivando a festeggiare il "traguardo" dei 500 sgomberi. Si trattava, in realtà, degli stessi rom continuamente sgomberati, sempre dagli stessi posti. Senza proporre alternative, le ruspe spostavano solamente il problema, spendendo milioni di euro.
Una reazione inaspettata. Nel novembre 2009, quando arrivò il turno delle baracche di Rubattino, avvenne una reazione inaspettata: insegnanti e genitori dei compagni di classe aprirono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie rom, centinaia di cittadini si mobilitarono per raccogliere coperte e pasti caldi. Infatti, grazie al lavoro culturale che Sant'Egidio aveva svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non erano più "gli zingari", una categoria infida e minacciosa, ma erano diventati "il mio alunno", "il compagno di classe di mia figlia". I rom erano Vadar, Flora, Madalina, Garofita: per la prima volta avevano un nome.
Quarantadue famiglie dalle baracche alla casa. Dei 350 rom romeni che abitavano in via Rubattino, 200 oggi vivono in casa. 42 famiglie, l'ultima ha firmato il contratto questa settimana. Strappate una a una dalle baracche, grazie al "contagio di solidarietà" seguito allo sgombero; tutto autofinanziato e fatto da volontari. In Italia non esiste un altro caso di così tante famiglie rom aiutate a passare da una baraccopoli abusiva alla casa. Non solo l'abitazione: in ciascuna famiglia almeno un genitore ha il lavoro, i figli frequentano dall'asilo alle scuole superiori, d'estate 80 minori partiranno per le vacanze con i coetanei italiani.
Possibile per l'unità delle persone. Spiega la Comunità di Sant'Egidio: "È stato possibile grazie all'unità di persone e gruppi diversi che hanno messo al centro i rom, alla fedeltà negli anni e soprattutto alla fiducia nel cambiamento che ha spezzato la rassegnazione. Sentiamo sempre ripetere che con i rom è tutto inutile, che i progetti falliscono. Non è vero: le difficoltà talvolta ci sono, ma la storia di Rubattino dimostra che l'alternativa alla baraccopoli è possibile. Non con le ruspe, ma con scuola, casa, salute e lavoro".
Tutto è partito dalla scuola. La maestra Flaviana Robbiati ricorda il giorno in cui i volontari di Sant'Egidio iscrissero i primi alunni: "Tra le colleghe la prima battuta fu 'attenzione ai portafogli'. Poi i bambini rom vennero invitati alle feste di compleanno, alle pizzate di classe e a casa dei compagni: i muri iniziavano a cadere". Le due mamme Garofita e Anna si sono conosciute all'uscita da scuola: la prima volta si sono parlate con timore, mentre ormai da anni le figlie vanno in vacanza insieme nella casa di montagna della famiglia italiana.
Dall'elemosina al lavoro. Maura Sianesi, avvocato che abita nella zona, racconta di quando Sant'Egidio le ha presentato Genesa: "Mi hanno proposto che facesse alcune ore di pulizie a casa. Era il primo lavoro della sua vita, aveva sempre fatto solo l'elemosina". Oggi questa donna rom lavora in tre posti diversi ed è la quarantaduesima famiglia che ha appena lasciato la baracca. L'avvocato l'ha aiutata per il trasloco: "Mi ha commosso - dice - la figlia di 5 anni: continuava a baciare il letto ripetendo 'è la mia casa'". Altra storia di amicizia è quella di Claudiu, che parla accanto a Eugenio e Sandra, la famiglia italiana che l'ha accolto in casa per scontare l'ultimo anno di detenzione. Spiegano i coniugi: "All'inizio avevamo un po' di paura, adesso diciamo che la nostra famiglia si è allargata".
Si cambia insieme, rom e non rom. Assunta Vincenti è una delle volontarie delle prima ora, da quando nella classe del figlio arrivò una compagna rom. Dice: "Quanto sono cambiata anch'io! Quell'incontro ci ha permesso di diventare più umani, di trovare il tempo non per sé ma per gli altri, che è un bel modo di vivere. Con gli amici rom abbiamo capito che è meglio un quartiere pacificato piuttosto che in guerra". E Pietro, rom che di lavoro ripara i bagni delle case milanesi, aggiunge: "La nostra forza è stata quella di cambiare insieme, rom e gagi, come noi chiamiamo i non rom". E davanti al pubblico che lo ascolta dice: "Grazie per questi anni, abbiamo bisogno della vostra amicizia".
L'anziana sfrattata accolta in casa dalla famiglia rom. Ma alla fine dell'incontro è la storia raccontata da Georgel che ottiene gli applausi più forti. Il ragazzo, 11 anni, dopo anni di sgomberi e baraccopoli ("Non potevo guardare le partite dei Mondiali") ora vive in casa. Dice: "Stiamo aiutando la signora Anna, che è italiana e sta per compiere 84 anni. La tragedia di questa signora è che ha perso tutta la sua famiglia. Noi l'abbiamo conosciuta perché abitava al piano sotto di noi e ogni sera veniva a guardare le telenovele con noi: così è diventata una specie di nonna. Quando è morto suo figlio, ha perso la casa perché non aveva pagato l'affitto. Allora abbiamo deciso di non lasciarla sola".
"E' come una catena". "L'abbiamo invitata in casa nostra - ha aggiunto - e le abbiamo offerto un letto in cui dormire; vive con noi da sei mesi. A volte è un po' difficile aiutare la signora Anna, ma noi ci siamo abituati a lei, e lei a noi, e infatti lei a volte ci fa dei regali per dire che siamo come i suoi nipoti". Aggiunge Georgel: "È come una catena: noi rom di Sant'Egidio siamo stati aiutati dalla Comunità ad andare a scuola, conoscere il mondo, vivere in casa e non per strada. Adesso anche noi possiamo aiutare altri". Anna, da parte sua, è lì accanto e ascolta con gli occhi lucidi.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.