“Donne sono state rapite, aggredite, picchiate e uccise mentre, in preda alla fame, cercavano erbe commestibili all’esterno della base dell’Onu”: così fonti locali della MISNA sull’“incubo” vissuto da oltre 30.000 sfollati ostaggio di violenze e combattimenti presso Malakal, capoluogo petrolifero del Sud Sudan.
Il racconto giunge pochi giorni dopo l’ennesimo passaggio di mano, il nono, di questa città contesa dalle forze fedeli al presidente Salva Kiir e dai ribelli legati al suo ex vice Riek Machar. Le fonti riferiscono che Malakal, capitale dello Stato di Upper Nile, è ora interamente sotto il controllo delle milizie di Johnson Olony, un comandante di etnia Shilluk che si è alleato con le forze di Machar, perlopiù Nuer. La notizia è stata confermata dal ministro della Difesa Kuol Manyang, secondo il quale però le unità dell’esercito non hanno abbandonato la zona e “presto” passeranno al contrattacco.
Nella base dell’Onu alle porte di Malakal hanno trovato rifugio civili di diverse etnie, in maggioranza Shilluk ma anche Dinka (6000) e Nuer (2000). Stando alle informazioni raccolte dalla MISNA, nel mese che ha preceduto l’ultima offensiva dei ribelli la situazione degli sfollati si è aggravata in modo costante. “Le razioni di sorgo, olio e lenticchie distribuite dalle organizzazioni umanitarie sono insufficienti – riferiscono le fonti – e questo ha costretto molte donne ad avventurarsi all’esterno della base in cerca di erbe commestibili, con le quali preparare zuppe”.
Nelle ultime settimane in più occasioni civili Shilluk e Nuer sono stati uccisi all’esterno della base da soldati appartenenti alla comunità Dinka, la stessa di Kiir, maggioritaria in Sud Sudan. Questi precedenti alimentano ora il timore di nuove esecuzioni sommarie, rese dei conti e rappresaglie. “L’unico segnale di speranza – dicono alla MISNA – è che entrambi i comandanti delle forze che ora controllano Malakal avrebbero ordinato ai propri uomini di non prendere di mira i Dinka”. Secondo le fonti, “il conflitto civile ha devastato la società multietnica del Sud Sudan” e ora “è fondamentale che qualcuno interrompa il circolo vizioso delle violenze e delle vendette”.
[VG]
Nella base dell’Onu alle porte di Malakal hanno trovato rifugio civili di diverse etnie, in maggioranza Shilluk ma anche Dinka (6000) e Nuer (2000). Stando alle informazioni raccolte dalla MISNA, nel mese che ha preceduto l’ultima offensiva dei ribelli la situazione degli sfollati si è aggravata in modo costante. “Le razioni di sorgo, olio e lenticchie distribuite dalle organizzazioni umanitarie sono insufficienti – riferiscono le fonti – e questo ha costretto molte donne ad avventurarsi all’esterno della base in cerca di erbe commestibili, con le quali preparare zuppe”.
Nelle ultime settimane in più occasioni civili Shilluk e Nuer sono stati uccisi all’esterno della base da soldati appartenenti alla comunità Dinka, la stessa di Kiir, maggioritaria in Sud Sudan. Questi precedenti alimentano ora il timore di nuove esecuzioni sommarie, rese dei conti e rappresaglie. “L’unico segnale di speranza – dicono alla MISNA – è che entrambi i comandanti delle forze che ora controllano Malakal avrebbero ordinato ai propri uomini di non prendere di mira i Dinka”. Secondo le fonti, “il conflitto civile ha devastato la società multietnica del Sud Sudan” e ora “è fondamentale che qualcuno interrompa il circolo vizioso delle violenze e delle vendette”.
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