In Sudan, nuovo episodio di persecuzione contro i cristiani: due pastori cristiano-evangelici, i rev.di Yat Michael e Peter Yein Reith rischiano la pena di morte per diverse accuse tra cui blasfemia e spionaggio.
La stessa vicenda, esattamente un anno fa, aveva riguardato Meriam Ibrahim, cristiana all'ottavo mese di gravidanza e madre di un bambino, condannata a morte per apostasia e poi liberata sull'onda di una mobilitazione internazionale. Purtroppo, per i due pastori sembrano esserci poche speranze, come riferisce Antonella Napoli di "Italians for Darfur". Gabriella Ceraso l’ha intervistata:
R. – Si tratta di accuse per le quali è prevista la pena di morte e nei prossimi giorni sarà emessa la sentenza. Questo avviene in un contesto di vera e propria persecuzione, perché da alcuni mesi la comunità evangelico-presbiteriana è presa di mira: sono state abbattute delle strutture della Chiesa e numerosi fedeli sono stati arrestati. È evidente quindi un tentativo da parte del governo sudanese di allontanare i cristiani.
D. – Si tratta di garantire una libertà religiosa che è nella Costituzione?
R. – Sì, è espressa nella Costituzione “ad interim” del Sudan e, proprio sulla base di questo principio, la vicenda di Miriam aveva trovato una soluzione. Infatti, in questo caso si parla di reati diversi, quindi c’è una sorta di accanimento nei confronti dei cristiani…
D. – Voi come “Italians for Darfur” avete chiesto aiuto al parlamento italiano, ma anche all’europarlamento: è successo qualcosa?
R. – Sono state raccolte centinaia di migliaia di firme, però visto quello che era successo con la vicenda di Miriam, e dopo le rassicurazioni che erano state date agli esponenti della nostra diplomazia, riteniamo che si possa fare di più. Purtroppo, al momento non vedo grossi margini di manovra per una soluzione positiva. E' un momento davvero di grande difficoltà per chi si batte per la difesa dei cristiani, in questo caso, ma per chiunque in Sudan venga sottoposto a violazione dei diritti umani.
R. – Si tratta di accuse per le quali è prevista la pena di morte e nei prossimi giorni sarà emessa la sentenza. Questo avviene in un contesto di vera e propria persecuzione, perché da alcuni mesi la comunità evangelico-presbiteriana è presa di mira: sono state abbattute delle strutture della Chiesa e numerosi fedeli sono stati arrestati. È evidente quindi un tentativo da parte del governo sudanese di allontanare i cristiani.
D. – Si tratta di garantire una libertà religiosa che è nella Costituzione?
R. – Sì, è espressa nella Costituzione “ad interim” del Sudan e, proprio sulla base di questo principio, la vicenda di Miriam aveva trovato una soluzione. Infatti, in questo caso si parla di reati diversi, quindi c’è una sorta di accanimento nei confronti dei cristiani…
D. – Voi come “Italians for Darfur” avete chiesto aiuto al parlamento italiano, ma anche all’europarlamento: è successo qualcosa?
R. – Sono state raccolte centinaia di migliaia di firme, però visto quello che era successo con la vicenda di Miriam, e dopo le rassicurazioni che erano state date agli esponenti della nostra diplomazia, riteniamo che si possa fare di più. Purtroppo, al momento non vedo grossi margini di manovra per una soluzione positiva. E' un momento davvero di grande difficoltà per chi si batte per la difesa dei cristiani, in questo caso, ma per chiunque in Sudan venga sottoposto a violazione dei diritti umani.
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