Arrestati 11 giorni fa per avere contestato il regime militare con una manifestazione pacifica ma proibita sotto la legge provvisoria in vigore, 14 studenti vanno incontro domani al giudizio da parte di una corte marziale. A confermarlo stamattina, il capo dell’esercito, generale Udomdej Sitabutr, che ha chiarito che pressioni interne e internazionali sono ininfluenti e che non vi saranno né rilascio né cancellazione dei reati che hanno portato all’arresto e alla detenzione preventiva degli universitari.
Il Consiglio nazionale per la pace e per l’ordine, la giunta militare che co-gestice il paese con un governo formalmente in mano ai civili ma formato in maggioranza da militari e ex militari, proibisce dal colpo di stato del maggio 2014 raduni di oltre cinque individui e iniziative di dissenso che ritiene politicamente motivati. Nella realtà, manifestazioni pro-regime, recenti proteste di agricoltori e altre iniziative pubbliche sono all’ordine del giorno, raramente proibite o contrastate con la forza, ma ogni forma di dissidenza viene repressa, in associazione a una forte censura da cui trapelano sacche di insoddisfazione.
Dopo la sollecitazione di organizzazioni internazionali e governi – la scorsa settimana anche di Onu e Ue – alla liberazione dei giovani, e nonostante la simpatia che la sorte degli studenti va raccogliendo tra i thailandesi della diaspora e anche all’interno, il generale Sitabutr ha indicato che “occorre lasciare alla legge decidere e il passaggio successivo è l’invio del caso al tribunale militare”.
Il primo ministro anche a capo della giunta militare, l’ex capo dell’esercito Prayut Chan-ocha ha a sua volta segnalato di avere “suggerito” ai giudici militari quella che potrebbe essere un provvedimento di clemenza, ma non di ammissione dei diritti degli studenti. In linea con i principi imposti su 67 milioni di thailandesi e funzionali a una “road-map verso la democrazia” che va gradualmente trasformandosi in un percorso di restaurazione aristocratico-militare che potrebbe durare decenni.
[CO]
Dopo la sollecitazione di organizzazioni internazionali e governi – la scorsa settimana anche di Onu e Ue – alla liberazione dei giovani, e nonostante la simpatia che la sorte degli studenti va raccogliendo tra i thailandesi della diaspora e anche all’interno, il generale Sitabutr ha indicato che “occorre lasciare alla legge decidere e il passaggio successivo è l’invio del caso al tribunale militare”.
Il primo ministro anche a capo della giunta militare, l’ex capo dell’esercito Prayut Chan-ocha ha a sua volta segnalato di avere “suggerito” ai giudici militari quella che potrebbe essere un provvedimento di clemenza, ma non di ammissione dei diritti degli studenti. In linea con i principi imposti su 67 milioni di thailandesi e funzionali a una “road-map verso la democrazia” che va gradualmente trasformandosi in un percorso di restaurazione aristocratico-militare che potrebbe durare decenni.
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