La stima del centro Astalli, che ogni giorno fornisce 350 pasti nella mensa a due passi da piazza Venezia. «Le vie legali per giungere in Europa sono lo strumento più efficace per combattere i trafficanti»
Un terzo dei rifugiati o dei richiedenti asilo presenti in Italia ha subito torture, violenze o maltrattamenti. E’ la stima del centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia, che, mentre in estate le cronache riportano continui sbarchi di migranti sulle coste meridionali, sottolinea anche un altro fenomeno poco conosciuto, i problemi psichiatrici, spesso ignorati, di una consistente quota di profughi che giungono nel nostro paese da zone di guerra o di estrema povertà in Africa o in Medio Oriente.
«Un dato che molto spesso non si ricorda è che circa un terzo delle persone rifugiate o richiedenti asilo sono vittime di tortura, violenze o maltrattamenti, subiti nel paese di origine o durante il viaggio», racconta padre Camillo Ripamonti, presidente del centro Astalli. «Le vittime sono prevalentemente donne, ma anche gli uomini non sono risparmiati. Vengono picchiati, legati, le donne stuprate. Avviene nei paesi da cui fuggono o durante il viaggio, ad esempio nei centri di detenzione in Libia». A questo va aggiunto il problema delle malattie psichiatriche sviluppate da non pochi richiedenti asilo, non sempre agevoli da individuare, ma esacerbate dalla situazione di chi, giunto in Italia, non ha più una rete di sostegno di famigliari o amici, per cui «si trova in una situazione di vulnerabilità ancora più forte».
Nei confronti di chi è stato vittima di violenza, si legge nel report 2015 pubblicato nei giorni scorsi dal centro Samifo, struttura per la Salute dei migranti forzati nata nel 2006 dalla collaborazione tra l’azienda USL Roma A e il Centro Astalli, «sussiste un obbligo da parte delle istituzioni sanitarie pubbliche nel fornire il necessario trattamento». Ancora più grave risulta la condizione dei rifugiati con disagio mentale, conseguente a traumi subiti nel Paese d’origine o durante il viaggio, «ma anche alle condizioni di vita in Italia (insufficienza dei posti di accoglienza, difficoltà di presa in carico che finiscono per colpire in modo particolare le persone più vulnerabili)». In questo quadro, «le oggettive difficoltà delle Aziende Sanitarie Locali a prendersi cura di un’utenza con caratteristiche e bisogni così specifici e l’elevato afflusso di migranti forzati giunti negli ultimi due anni, a causa dei cambiamenti politici e delle guerre che hanno coinvolto diversi Paesi, non hanno potuto che aggravare una situazione già di per sé critica».
Il problema delle violenze e dei disturbi psichiatrici «è sempre stato presente», è l’analisi di padre Ripamonti, «ma negli ultimi tempi i trafficanti sono diventati più spietati, è come se il business dei trafficanti fosse entrato a regime». Le cronache degli ultimi mesi hanno raccontato di un flusso crescente di migranti che attraversano il Mediterraneo, di una situazione fuori controllo in Libia, di imbarcazioni fantasma abbandonate dai trafficanti alla deriva delle coste di approdo o lasciate nell’ultimo tratto nelle mani di minori egiziani che, in ragione della loro età, non avrebbero rischiato l’incriminazione una volta giunti a destinazione. In Italia giungono persone profondamente provate, «e se non ci si fa carico di queste situazioni possono svilupparsi ripercussioni deleterie sulla loro salute mentale». Senza contare che – la memoria va a Adam Mada Kabobo, il ghanese che nel 2013 uccise tre passanti a Milano con un piccone – «se lo Stato si fa carico di queste situazioni, mette in sicurezza anche la società di accoglienza», sottolineano al centro Astalli. Che, insieme a Caritas, comunità di Sant’Egidio, Inmp (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà), Cir, Save the children ed altre organizzazioni ha maturato una ampia esperienza in materia. Tanto che con il ministero dell’Interno e quello della Salute è ora attivo un tavolo per arrivare a redigere delle nuove linee di orientamento per le persone vulnerabili.
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Iacopo Scaramuzzi
«Un dato che molto spesso non si ricorda è che circa un terzo delle persone rifugiate o richiedenti asilo sono vittime di tortura, violenze o maltrattamenti, subiti nel paese di origine o durante il viaggio», racconta padre Camillo Ripamonti, presidente del centro Astalli. «Le vittime sono prevalentemente donne, ma anche gli uomini non sono risparmiati. Vengono picchiati, legati, le donne stuprate. Avviene nei paesi da cui fuggono o durante il viaggio, ad esempio nei centri di detenzione in Libia». A questo va aggiunto il problema delle malattie psichiatriche sviluppate da non pochi richiedenti asilo, non sempre agevoli da individuare, ma esacerbate dalla situazione di chi, giunto in Italia, non ha più una rete di sostegno di famigliari o amici, per cui «si trova in una situazione di vulnerabilità ancora più forte».
Nei confronti di chi è stato vittima di violenza, si legge nel report 2015 pubblicato nei giorni scorsi dal centro Samifo, struttura per la Salute dei migranti forzati nata nel 2006 dalla collaborazione tra l’azienda USL Roma A e il Centro Astalli, «sussiste un obbligo da parte delle istituzioni sanitarie pubbliche nel fornire il necessario trattamento». Ancora più grave risulta la condizione dei rifugiati con disagio mentale, conseguente a traumi subiti nel Paese d’origine o durante il viaggio, «ma anche alle condizioni di vita in Italia (insufficienza dei posti di accoglienza, difficoltà di presa in carico che finiscono per colpire in modo particolare le persone più vulnerabili)». In questo quadro, «le oggettive difficoltà delle Aziende Sanitarie Locali a prendersi cura di un’utenza con caratteristiche e bisogni così specifici e l’elevato afflusso di migranti forzati giunti negli ultimi due anni, a causa dei cambiamenti politici e delle guerre che hanno coinvolto diversi Paesi, non hanno potuto che aggravare una situazione già di per sé critica».
Il problema delle violenze e dei disturbi psichiatrici «è sempre stato presente», è l’analisi di padre Ripamonti, «ma negli ultimi tempi i trafficanti sono diventati più spietati, è come se il business dei trafficanti fosse entrato a regime». Le cronache degli ultimi mesi hanno raccontato di un flusso crescente di migranti che attraversano il Mediterraneo, di una situazione fuori controllo in Libia, di imbarcazioni fantasma abbandonate dai trafficanti alla deriva delle coste di approdo o lasciate nell’ultimo tratto nelle mani di minori egiziani che, in ragione della loro età, non avrebbero rischiato l’incriminazione una volta giunti a destinazione. In Italia giungono persone profondamente provate, «e se non ci si fa carico di queste situazioni possono svilupparsi ripercussioni deleterie sulla loro salute mentale». Senza contare che – la memoria va a Adam Mada Kabobo, il ghanese che nel 2013 uccise tre passanti a Milano con un piccone – «se lo Stato si fa carico di queste situazioni, mette in sicurezza anche la società di accoglienza», sottolineano al centro Astalli. Che, insieme a Caritas, comunità di Sant’Egidio, Inmp (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà), Cir, Save the children ed altre organizzazioni ha maturato una ampia esperienza in materia. Tanto che con il ministero dell’Interno e quello della Salute è ora attivo un tavolo per arrivare a redigere delle nuove linee di orientamento per le persone vulnerabili.
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Iacopo Scaramuzzi
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