La denuncia dell’associazione LasciateCIEentrare: «Provengono dalla Nigeria, sono state violentate e torturate, dovrebbero essere messe sotto protezione»
Non ci sono soltanto i disperati in fuga da guerre, torture, povertà sui gommoni che continuano a sbarcare sulle coste italiane. Arrivano anche donne giovani, ventenni. Forse anche più piccole ma nessuna ha documenti. Sono giovani, nient’altro. Giovani abbastanza per avere un mercato. Le ultime 69 sono arrivate a luglio in Sicilia, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra ma con imbarcazioni e viaggi diversi. Allo sbarco nessuno ha chiesto del loro viaggio, né le ha informate della possibilità di ottenere protezione. Si sono accontentati di sapere che arrivavano dalla Nigeria dunque, in teoria, non un Paese in guerra o con problemi tali da giustificare una richiesta di asilo. Hanno preso le loro impronte digitali, qualche giorno dopo le hanno imbarcate su un aereo per Roma, le hanno rinchiuse nel Cie e subito dopo un addetto del consolato della Nigeria ha dato il via alle operazioni di rimpatrio.
Se qualcuno avesse chiesto notizie sul viaggio e su di loro, come d’altra parte prevede la procedura, avrebbe scoperto uno dei mille traffici nascosti dietro gli sbarchi, quello delle donne destinate al mercato del sesso in strada. Lo ha fatto una delegazione della campagna LasciateCIEntrare, giunta ieri per la seconda volta nel centro per parlare con le ragazze. Gabriella Guido, portavoce dell’associazione: «Ci hanno raccontato storie che non lasciano dubbi, ci hanno mostrato i segni delle torture sui loro corpi».
Le ragazze hanno spiegato di essere partite dalla Nigeria dopo aver perso i genitori ed essere finite nelle mani di bande criminali. Dietro la promessa di prendersi cura di loro ormai da sole, gli uomini di questi gruppi le hanno violentate, torturate e poi spedite lungo le rotte della disperazione con un biglietto dove era scritto un nome e un riferimento di un contatto italiano. Le nigeriane sono arrivate in Libia, hanno trascorso mesi nelle terribili prigioni di Tripoli. Altre sevizie, altre torture. Tutte ben visibili sui loro corpi. In tre all’arrivo in Italia erano anche ben oltre il quarto mese di gravidanza dopo gli stupri subiti.
Ce n’è a sufficienza per inoltrare una domanda di asilo. Le associazioni «A buon diritto» e «Be Free» sono riuscite a sospendere il rimpatrio e a informare le giovani dei loro diritti. Anche perché tornare in patria significherebbe soltanto gettarle di nuovo in pasto ai trafficanti e alle torture.
Le prime commissioni per la richiesta di asilo si riuniranno a partire dalla settimana prossima. La vita delle ragazze dipende dalla loro decisione. Gabriella Guido: «L’amarezza più grande è che non è questo che ci si aspetta dall’Italia e dall’Europa. Sarebbe stato un obbligo morale rendersi conto della storia di queste ragazze e metterle sotto protezione invece di rinchiuderle in una struttura che alla fine è solo un’altra prigione».
Se qualcuno avesse chiesto notizie sul viaggio e su di loro, come d’altra parte prevede la procedura, avrebbe scoperto uno dei mille traffici nascosti dietro gli sbarchi, quello delle donne destinate al mercato del sesso in strada. Lo ha fatto una delegazione della campagna LasciateCIEntrare, giunta ieri per la seconda volta nel centro per parlare con le ragazze. Gabriella Guido, portavoce dell’associazione: «Ci hanno raccontato storie che non lasciano dubbi, ci hanno mostrato i segni delle torture sui loro corpi».
Le ragazze hanno spiegato di essere partite dalla Nigeria dopo aver perso i genitori ed essere finite nelle mani di bande criminali. Dietro la promessa di prendersi cura di loro ormai da sole, gli uomini di questi gruppi le hanno violentate, torturate e poi spedite lungo le rotte della disperazione con un biglietto dove era scritto un nome e un riferimento di un contatto italiano. Le nigeriane sono arrivate in Libia, hanno trascorso mesi nelle terribili prigioni di Tripoli. Altre sevizie, altre torture. Tutte ben visibili sui loro corpi. In tre all’arrivo in Italia erano anche ben oltre il quarto mese di gravidanza dopo gli stupri subiti.
Ce n’è a sufficienza per inoltrare una domanda di asilo. Le associazioni «A buon diritto» e «Be Free» sono riuscite a sospendere il rimpatrio e a informare le giovani dei loro diritti. Anche perché tornare in patria significherebbe soltanto gettarle di nuovo in pasto ai trafficanti e alle torture.
Le prime commissioni per la richiesta di asilo si riuniranno a partire dalla settimana prossima. La vita delle ragazze dipende dalla loro decisione. Gabriella Guido: «L’amarezza più grande è che non è questo che ci si aspetta dall’Italia e dall’Europa. Sarebbe stato un obbligo morale rendersi conto della storia di queste ragazze e metterle sotto protezione invece di rinchiuderle in una struttura che alla fine è solo un’altra prigione».
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