A settembre dell'anno scorso 13 ragazzini ("sette maschi e sei femmine") "vengono abbattuti da militari al confine con il Sudan, nella zona di Karora". Pochi mesi prima "quaranta persone sono uccise a fucilate nel tentativo di raggiungere di nuovo il Sudan: del gruppo sopravvivono, e riescono a scappare, in sei.
È un dossier di 484 pagine redatto dopo nove mesi d'inchiesta da quattro fra membri e consulenti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: Mike Smith (Australia), Victor Dankwa (Ghana), Sheila B. Keetharurth (Isole Mauritius): lo hanno illustrato a Ginevra a fine giugno, ma è finito in fretta nel dimenticatoio.
Eppure è la prima indagine ad ampio spettro di un'istituzione internazionale - dopo i tentativi di "Amnesty International" - sulla dittatura in Eritrea, ex colonia italiana dell'Africa orientale da cui proviene la maggioranza di uomini e donne sbarcati nel 2015 sulle nostre coste e talvolta dirottati verso la Liguria. I dati del Viminale aggiornati all'altro ieri parlano chiaro: su 111.354 migranti giunti dal primo gennaio, la gran parte sono eritrei (29.019), poi nigeriani (13.788), somali (8.559), sudanesi (6.745) e siriani (6.324). Nigeria, Somalia, Sudan e Siria sono straziati da guerre civili e terrorismo. L'Eritrea no. Ma allora perché in 5.000 ogni mese fuggono, rischiando d'essere falciati dall'esercito, e consapevoli che "il 25-30%" di quelli che dribblano le pallottole morirà comunque attraversando in Sinai o il Mediterraneo?
La risposta è in questo dossier, scritto a valle di 550 interviste a ex carcerieri o vittime del regime del sedicente marxista Isaias Afewerki, l'uomo che ha vinto la guerra d'indipendenza dall'Etiopia nel 1991 e ha progressivamente trasformato la sua nazione in un lager a cielo aperto, con l'economia paralizzata. Dove la leva obbligatoria inizia a 14 anni e ha durata indefinita, le donne-soldato sono sottomesse e violentate dai capi, gli oppositori politici incarcerati e torturati, si commettono "sospetti crimini contro l'umanità"; dove non c'è lavoro, speranza, nulla. E ad attraversarla un po' si rimane senza fiato perché l'Eritrea è (anche) un rottame d'Italia, con le insegne dei cinema in italiano, i pochi bar che sanno fare il cappuccino e i cannelloni, i camion Iveco vecchi di oltre mezzo secolo ancora in marcia.
Gli ispettori Onu spiegano subito che l'Eritrea non ha permesso di entrare. E i colloqui sono avvenuti negli stati dove a migliaia hanno cercato la salvezza (357mila i rifugiati alla primavera scorsa suddivisi fra una decina di nazioni nel mondo, pari al 10% della popolazione residente) oppure "in segreto", fra chi è rimasto, grazie a intermediari.
Il governo Afewerki, che pure mantiene buoni rapporti con Roma e varie aziende italiane, è definito un "regime della paura": non ci sono mai state elezioni, nel '97 doveva essere promulgata una costituzione ma non è accaduto, i ministri svolgono un ruolo poco più che simbolico e il vero potere è detenuto dai generali che riferiscono direttamente al capo dello Stato.
La sicurezza interna è un'ossessione; ma mentre a polizia ed esercito è delegata la bassa manovalanza, e i soldati sono ammassati al confine con l'Etiopia nel delirante timore d'una nuova guerra che non ci sarà mai, lo "strapotere" è del National Security Office, squadra politica dentro cui sono nate le forze speciali Unit 72, alle quali è concesso tutto.
Vige "una legge di fatto", i giudici sono confinati "a mansioni burocratiche" ed è stata creata una Special Court "che include in prevalenza militari e non persone esperte di diritto". Avvengono "omicidi extragiudiziali", gli arresti "sono spesso arbitrari e non comunicati ai familiari", basati sul semplice sospetto di dissidenza. Il sistema di spionaggio è "capillare". E poiché la scarsità di fondi e tecnologia inibisce parecchio le intercettazioni, si arruolano miglia di adolescenti che origliano e pedinano.
Nessuno rifiuta di fare la spia, "altrimenti si può essere arrestati, torturati o uccisi. Tutti controllano tutti - precisano quindi Smith, Dankwa e Keetaruth, citando letteralmente decine di resoconti personali: nelle famiglie i figli non si fidano dei padri o dei fratelli".
Sono censite 95 prigioni, "dove condizioni igieniche spaventose possono portare a malattie di lunga durata o alla morte". Si è detenuti perlopiù "in dieci o venti nei container all'aperto o interrati". Due le forme di tortura praticate per estorcere informazioni o confessioni false: "L'incaprettamento e la "posizione dell'elicottero".
"Ho visto un mio commilitone -racconta un soldato poi riparato all'estero - cui sono state scuoiate le mani poiché aveva tentato di andarsene. Lo hanno mostrato al resto della truppa con un cartello appeso al collo: "Io ho provato a scappare". Ed è proprio per questo che lo fanno comunque. Basterebbe studiare un po', per comprenderlo, anziché parlare a vanvera di storie e posti che non si conoscono.
di Matteo Indice
Un soldato a sua volta rifugiatosi in Etiopia racconta: "Gli alti ufficiali, che agiscono su mandato diretto del presidente, ci hanno dato la facoltà di sparare ai bambini, se si ritiene che stiano tentando di lasciare il Paese".C'è un rapporto dell'Onu che in pochissimi si sono presi la briga di leggere, nelle ultime settimane. Nemmeno quelli che d'immigrati e profughi (stra)parlano spesso, magari perché se ne devono occupare governando città, regioni o partiti.
È un dossier di 484 pagine redatto dopo nove mesi d'inchiesta da quattro fra membri e consulenti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: Mike Smith (Australia), Victor Dankwa (Ghana), Sheila B. Keetharurth (Isole Mauritius): lo hanno illustrato a Ginevra a fine giugno, ma è finito in fretta nel dimenticatoio.
Eppure è la prima indagine ad ampio spettro di un'istituzione internazionale - dopo i tentativi di "Amnesty International" - sulla dittatura in Eritrea, ex colonia italiana dell'Africa orientale da cui proviene la maggioranza di uomini e donne sbarcati nel 2015 sulle nostre coste e talvolta dirottati verso la Liguria. I dati del Viminale aggiornati all'altro ieri parlano chiaro: su 111.354 migranti giunti dal primo gennaio, la gran parte sono eritrei (29.019), poi nigeriani (13.788), somali (8.559), sudanesi (6.745) e siriani (6.324). Nigeria, Somalia, Sudan e Siria sono straziati da guerre civili e terrorismo. L'Eritrea no. Ma allora perché in 5.000 ogni mese fuggono, rischiando d'essere falciati dall'esercito, e consapevoli che "il 25-30%" di quelli che dribblano le pallottole morirà comunque attraversando in Sinai o il Mediterraneo?
La risposta è in questo dossier, scritto a valle di 550 interviste a ex carcerieri o vittime del regime del sedicente marxista Isaias Afewerki, l'uomo che ha vinto la guerra d'indipendenza dall'Etiopia nel 1991 e ha progressivamente trasformato la sua nazione in un lager a cielo aperto, con l'economia paralizzata. Dove la leva obbligatoria inizia a 14 anni e ha durata indefinita, le donne-soldato sono sottomesse e violentate dai capi, gli oppositori politici incarcerati e torturati, si commettono "sospetti crimini contro l'umanità"; dove non c'è lavoro, speranza, nulla. E ad attraversarla un po' si rimane senza fiato perché l'Eritrea è (anche) un rottame d'Italia, con le insegne dei cinema in italiano, i pochi bar che sanno fare il cappuccino e i cannelloni, i camion Iveco vecchi di oltre mezzo secolo ancora in marcia.
Gli ispettori Onu spiegano subito che l'Eritrea non ha permesso di entrare. E i colloqui sono avvenuti negli stati dove a migliaia hanno cercato la salvezza (357mila i rifugiati alla primavera scorsa suddivisi fra una decina di nazioni nel mondo, pari al 10% della popolazione residente) oppure "in segreto", fra chi è rimasto, grazie a intermediari.
Il governo Afewerki, che pure mantiene buoni rapporti con Roma e varie aziende italiane, è definito un "regime della paura": non ci sono mai state elezioni, nel '97 doveva essere promulgata una costituzione ma non è accaduto, i ministri svolgono un ruolo poco più che simbolico e il vero potere è detenuto dai generali che riferiscono direttamente al capo dello Stato.
La sicurezza interna è un'ossessione; ma mentre a polizia ed esercito è delegata la bassa manovalanza, e i soldati sono ammassati al confine con l'Etiopia nel delirante timore d'una nuova guerra che non ci sarà mai, lo "strapotere" è del National Security Office, squadra politica dentro cui sono nate le forze speciali Unit 72, alle quali è concesso tutto.
Vige "una legge di fatto", i giudici sono confinati "a mansioni burocratiche" ed è stata creata una Special Court "che include in prevalenza militari e non persone esperte di diritto". Avvengono "omicidi extragiudiziali", gli arresti "sono spesso arbitrari e non comunicati ai familiari", basati sul semplice sospetto di dissidenza. Il sistema di spionaggio è "capillare". E poiché la scarsità di fondi e tecnologia inibisce parecchio le intercettazioni, si arruolano miglia di adolescenti che origliano e pedinano.
Nessuno rifiuta di fare la spia, "altrimenti si può essere arrestati, torturati o uccisi. Tutti controllano tutti - precisano quindi Smith, Dankwa e Keetaruth, citando letteralmente decine di resoconti personali: nelle famiglie i figli non si fidano dei padri o dei fratelli".
Sono censite 95 prigioni, "dove condizioni igieniche spaventose possono portare a malattie di lunga durata o alla morte". Si è detenuti perlopiù "in dieci o venti nei container all'aperto o interrati". Due le forme di tortura praticate per estorcere informazioni o confessioni false: "L'incaprettamento e la "posizione dell'elicottero".
"Ho visto un mio commilitone -racconta un soldato poi riparato all'estero - cui sono state scuoiate le mani poiché aveva tentato di andarsene. Lo hanno mostrato al resto della truppa con un cartello appeso al collo: "Io ho provato a scappare". Ed è proprio per questo che lo fanno comunque. Basterebbe studiare un po', per comprenderlo, anziché parlare a vanvera di storie e posti che non si conoscono.
di Matteo Indice
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