Tra le storie che arrivano dal confine di Ventimiglia, quelle dei migranti ancora accampati reclamando l’apertura delle frontiere, e quelle degli attivisti giunti per sostenerli, c’è la storia di Pasquale. Lui, il contadino della vicina Dolceacqua, che si era precipitato sugli scogli sin dai primi giorni della protesta, a giugno, con il suo marchingegno ad energia solare che ha ricaricato i telefonini di centinaia di migranti. Tutti in fila per ore, aspettando il loro turno: «Ma non lo usavano solo loro, la sera arrivavano anche i poliziotti con i cellulari», mette i puntini sulle “i”, Pasquale. Lui, portando energia (elettrica e non solo) all’accampamento, era diventato una colonna della protesta. Fin quando un documento della Questura gli ha vietato di mettere piede a Ventimiglia.
E non è l’unico ad averlo ricevuto: «Sono i provvedimenti con cui stanno decimando il nostro movimento, sperando di fermarci», spiega il giovane Lorenzo, una delle anime del presidio nato al confine in sostegno dei profughi. Il campo “No Borders”, autogestito da attivisti e migranti stessi, un’occupazione di suolo pubblico contestata «ma necessaria alla lotta politica sulla frontiera». Ebbene: «Pasquale, che per il campo ha fatto tanto, ha costruito anche bagni e docce, è stato una delle vittime di quei provvedimenti che colpiscono sempre più attivisti italiani – continua Lorenzo – Per ora abbiamo ricevuto 20 denunce per occupazione abusiva di suolo pubblico o manifestazione non autorizzata, e 8 fogli di via». Ovvero atti amministrativi – simili al daspo dato agli ultras perché non si avvicinino alle manifestazioni sportive – che accompagnano la denuncia, e vietano di permanere in città per 3 anni. Se violato, il reato diventa penale e si apre un ulteriore procedimento.
Tutto perché i destinatari dell’atto sono considerati “socialmente pericolosi”: la decisione viene presa «ritenuto che in quel Comune non vi ha residenza né alcuna regolare occupazione lavorativa – si legge nelle motivazioni del foglio di via che ha colpito anche Pasquale – e che si reca allo scopo di reiterare quei reati che creano allarme sociale, nonché valutata l’urgente necessità di allontanare (il soggetto) dal Comune di Ventimiglia in quanto si ha fondato motivo di reputarlo elemento pericoloso per l’ordine e la sicurezza pubblica». L’allontanamento è, di fatto, un tentativo da parte delle istituzioni di allentare le maglie della protesta evitando lo sgombero del campo, che farebbe esplodere la polveriera di confine. Che è sempre più scomoda, tanto che il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano continua a chiedere alle forze dell’ordine di intervenire. E l’altra sera, durante l’ultima manifestazione con slogan e un temporaneo blocco della carreggiata davanti alla frontiera, la polizia italiana ha reagito a colpi di scudi e manganelli.
Ma quel provvedimento, che ha costretto a tornare a casa tanti ragazzi di fuori, colpisce più nel profondo Pasquale, «e non solo per la passione che mettevo nell’aiuto ai migranti al campo – racconta – ma perché questa è casa mia, abito a 7 chilometri da Ventimiglia e ci passavo spesso, per andare a fare compere, o all’ufficio di collocamento, perché vivo di lavoretti in città. Se ho commesso dei reati sono pronto a pagare, ma questa limitazione è eccessiva, non sono mica Totò Riina». E poi torna a pensare con orgoglio alla sua esperienza. «So fare un po’ di tutto e dopo il pannello solare per ricaricare i cellulari mi sono messo a costruire docce, bagni e montare rubinetti dove i ragazzi possono lavarsi dopo le preghiere, come prevede il loro rito». Tubi e allaccio all’acqua pubblica c’erano, loro se ne sono serviti. «Tutto funzionale, ci sono i servizi per gli uomini e quelli per le donne». E ora? «Intanto mi oppongo a questo provvedimento, facendo ricorso alla Prefettura. Nel frattempo ho comunicato alla polizia che in qualche modo devo infrangere il divieto, per Ventimiglia passo almeno due volte al giorno per andare in Francia dove ho trovato un lavoro come giardiniere. Già ho perso tutti i lavori in città e sto guadagnando molto meno».
E non è l’unico ad averlo ricevuto: «Sono i provvedimenti con cui stanno decimando il nostro movimento, sperando di fermarci», spiega il giovane Lorenzo, una delle anime del presidio nato al confine in sostegno dei profughi. Il campo “No Borders”, autogestito da attivisti e migranti stessi, un’occupazione di suolo pubblico contestata «ma necessaria alla lotta politica sulla frontiera». Ebbene: «Pasquale, che per il campo ha fatto tanto, ha costruito anche bagni e docce, è stato una delle vittime di quei provvedimenti che colpiscono sempre più attivisti italiani – continua Lorenzo – Per ora abbiamo ricevuto 20 denunce per occupazione abusiva di suolo pubblico o manifestazione non autorizzata, e 8 fogli di via». Ovvero atti amministrativi – simili al daspo dato agli ultras perché non si avvicinino alle manifestazioni sportive – che accompagnano la denuncia, e vietano di permanere in città per 3 anni. Se violato, il reato diventa penale e si apre un ulteriore procedimento.
Tutto perché i destinatari dell’atto sono considerati “socialmente pericolosi”: la decisione viene presa «ritenuto che in quel Comune non vi ha residenza né alcuna regolare occupazione lavorativa – si legge nelle motivazioni del foglio di via che ha colpito anche Pasquale – e che si reca allo scopo di reiterare quei reati che creano allarme sociale, nonché valutata l’urgente necessità di allontanare (il soggetto) dal Comune di Ventimiglia in quanto si ha fondato motivo di reputarlo elemento pericoloso per l’ordine e la sicurezza pubblica». L’allontanamento è, di fatto, un tentativo da parte delle istituzioni di allentare le maglie della protesta evitando lo sgombero del campo, che farebbe esplodere la polveriera di confine. Che è sempre più scomoda, tanto che il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano continua a chiedere alle forze dell’ordine di intervenire. E l’altra sera, durante l’ultima manifestazione con slogan e un temporaneo blocco della carreggiata davanti alla frontiera, la polizia italiana ha reagito a colpi di scudi e manganelli.
Ma quel provvedimento, che ha costretto a tornare a casa tanti ragazzi di fuori, colpisce più nel profondo Pasquale, «e non solo per la passione che mettevo nell’aiuto ai migranti al campo – racconta – ma perché questa è casa mia, abito a 7 chilometri da Ventimiglia e ci passavo spesso, per andare a fare compere, o all’ufficio di collocamento, perché vivo di lavoretti in città. Se ho commesso dei reati sono pronto a pagare, ma questa limitazione è eccessiva, non sono mica Totò Riina». E poi torna a pensare con orgoglio alla sua esperienza. «So fare un po’ di tutto e dopo il pannello solare per ricaricare i cellulari mi sono messo a costruire docce, bagni e montare rubinetti dove i ragazzi possono lavarsi dopo le preghiere, come prevede il loro rito». Tubi e allaccio all’acqua pubblica c’erano, loro se ne sono serviti. «Tutto funzionale, ci sono i servizi per gli uomini e quelli per le donne». E ora? «Intanto mi oppongo a questo provvedimento, facendo ricorso alla Prefettura. Nel frattempo ho comunicato alla polizia che in qualche modo devo infrangere il divieto, per Ventimiglia passo almeno due volte al giorno per andare in Francia dove ho trovato un lavoro come giardiniere. Già ho perso tutti i lavori in città e sto guadagnando molto meno».
Pasquale «ci manca – concludono Lorenzo e gli altri del presidio – Se temiamo che le forze dell’ordine taglino le gambe alla protesta? D’ora in poi cercheremo di rischiare meno. Ma quello che rischiamo noi è comunque nulla rispetto a quanto hanno passato i migranti »
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