Abbandonati e maltrattati, gli ultimi rifugiati palestinesi del 1948 in Egitto stanno scomparendo con i loro ricordi che presto saranno completamente persi
Il Cairo – A Fadel Island, un modesto villaggio del governatorato di Sharqiyya che si trova a circa cinque ore di macchina dal Cairo, risiede una comunità di rifugiati palestinesi di seconda generazione.
La sua popolazione era di circa 2000 persone quando, nel maggio del 1948, i primi profughi arrivarono in Egitto, temendo un destino simile ai propri concittadini che furono massacrati a Deir Yassin. Attraversarono il deserto del Sinai con i loro cammelli, portandosi dietro soltanto gli effetti personali, e furono accolti dal governo egiziano. Vennero sistemati nel campo profughi di “Gezirt Fadel” – che in seguito diventò il paese che è oggi – con la promessa di essere trasferiti in un posto migliore in breve tempo.
El-Haj Hemdan – poco più che novantenne nonché uno dei pochissimi rifugiati rimasti del 1948 e con la sua straordinaria capacità di ricordare quello che era successo quasi 65 anni fa – ha raccontato a Middle East Eye la sua storia.
“Hanno detto che era una questione di un mese o due e ci avrebbero trasferiti in un luogo più vicino alla capitale” ha detto Hemdan. “Abbiamo aspettato e aspettato, i governi sono cambiati, i re sono fuggiti, i presidenti morti e non è successo niente. Dopo cinque o sei anni abbiamo abbandonato le nostre tende e le abitazioni di fortuna che avevamo costruito. Ma qualcuno di noi aveva ancora la speranza che saremmo stati trasferiti in un posto migliore. Non avevamo ancora capito la lezione: gli arabi raramente mantengono le loro promesse”.
Il villaggio è in uno stato di estrema povertà. Gli uomini che vi abitano mantengono le loro famiglie con la raccolta e la vendita dei rifiuti di altri villaggi. L’ospedale più vicino si trova a un’ora di distanza. Questo è un grosso problema per i residenti che sono sprovvisti di qualsiasi mezzo di trasporto. Non c’è un sistema idraulico o di depurazione delle acque e questo è un ostacolo enorme per le donne del villaggio, dal momento in cui è loro responsabilità di andare a prendere l’acqua tutti i giorni dagli antichi pozzi nei campi vicini.
L’elettricità è stata installata nel villaggio dopo che l’ex presidente Mohamed Morsi è stato eletto. Oltre all’elettricità, il governo Morsi, aveva iniziato a costruire un ospedale vicino al paese, il progetto è stato immediatamente fermato dopo che Morsi è stato fatto fuori dal colpo di stato militare. Ma non è stata fatta fermare soltanto la costruzione dell’ospedale dall’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi, bensì durante il suo primo mese al potere i rifugiati hanno perso tutto il sostegno del governo, con la giustificazione che non sono cittadini egiziani. Questo è stato un atto senza precedenti, considerando che dal 1948 i profughi sono stati trattati esattamente come gli egiziani, secondo quanto dice la gente di Fadel Island.
Una delle donne del villaggio, chiedendo di rimanere anonima, ha commentato in maniera agitata: “E’ stata una giornata nera per l’intero villaggio, siamo andati a prendere il pane da un paese vicino, [il governo Sisi aveva istituito un sistema di razionamento del cibo, fornendo cinque pezzi di pane per ogni persona al giorno, ndr] solo che siamo stati sorpresi da una nuova legge: non c’è più pane per i rifugiati palestinesi”.
Non c’è neanche una scuola nel villaggio. Quella più vicina, come l’ospedale, è a un’ora di distanza, ed essendo di 10-15 lire egiziane al giorno (2 dollari) il reddito medio delle famiglie del villaggio, pochi sono in grado di mandare i propri figli a scuola. Nessuno degli studenti del villaggio è stato in grado di continuare gli studi dopo la scuola superiore.
Un’altra nuova legge è stata emanata lo scorso anno: rende obbligatorio, per tutti i residenti del villaggio, il rinnovo annuale dei loro documenti. Si tratta di un’esperienza traumatica per la maggior parte di loro, non solo per le spese di viaggio, ma perché molti si perdono nei meandri della burocrazia delle istituzioni governative e finiscono per spendere due o tre giorni vagando per le strade del Cairo, soltanto per rinnovare i loro documenti.
El-Haj Farahat, abitante del villaggio quasi ottantenne, ha parlato con nostalgia dei giorni vissuti sotto i passati presidenti. “Sotto [Gamal Abdel] Nasser, dovevamo rinnovare i nostri documenti ogni cinque anni, e ricevevamo un aiuto da parte del governo sia prima del Ramadan, che prima di ogni Eid. Nasser è stato il migliore tra tutti i presidenti”.
Sospira e continua: “Hanno cominciato a dimenticarci durante il lungo periodo di Mubarak. Abbiamo pensato che Morsi avrebbe migliorato le nostre condizioni, ma lo hanno rimosso prima che fosse in grado di cambiare qualsiasi cosa”.
Con un paese lacerato dai disordini politici, e dal momento in cui il governo continua la sua dichiarata guerra contro gli islamisti e contro gli attivisti della rivoluzione del 25 gennaio, è altamente improbabile che qualcuno possa far qualcosa per migliorare la situazione dei profughi dimenticati.
La sua popolazione era di circa 2000 persone quando, nel maggio del 1948, i primi profughi arrivarono in Egitto, temendo un destino simile ai propri concittadini che furono massacrati a Deir Yassin. Attraversarono il deserto del Sinai con i loro cammelli, portandosi dietro soltanto gli effetti personali, e furono accolti dal governo egiziano. Vennero sistemati nel campo profughi di “Gezirt Fadel” – che in seguito diventò il paese che è oggi – con la promessa di essere trasferiti in un posto migliore in breve tempo.
El-Haj Hemdan – poco più che novantenne nonché uno dei pochissimi rifugiati rimasti del 1948 e con la sua straordinaria capacità di ricordare quello che era successo quasi 65 anni fa – ha raccontato a Middle East Eye la sua storia.
“Hanno detto che era una questione di un mese o due e ci avrebbero trasferiti in un luogo più vicino alla capitale” ha detto Hemdan. “Abbiamo aspettato e aspettato, i governi sono cambiati, i re sono fuggiti, i presidenti morti e non è successo niente. Dopo cinque o sei anni abbiamo abbandonato le nostre tende e le abitazioni di fortuna che avevamo costruito. Ma qualcuno di noi aveva ancora la speranza che saremmo stati trasferiti in un posto migliore. Non avevamo ancora capito la lezione: gli arabi raramente mantengono le loro promesse”.
Il villaggio è in uno stato di estrema povertà. Gli uomini che vi abitano mantengono le loro famiglie con la raccolta e la vendita dei rifiuti di altri villaggi. L’ospedale più vicino si trova a un’ora di distanza. Questo è un grosso problema per i residenti che sono sprovvisti di qualsiasi mezzo di trasporto. Non c’è un sistema idraulico o di depurazione delle acque e questo è un ostacolo enorme per le donne del villaggio, dal momento in cui è loro responsabilità di andare a prendere l’acqua tutti i giorni dagli antichi pozzi nei campi vicini.
L’elettricità è stata installata nel villaggio dopo che l’ex presidente Mohamed Morsi è stato eletto. Oltre all’elettricità, il governo Morsi, aveva iniziato a costruire un ospedale vicino al paese, il progetto è stato immediatamente fermato dopo che Morsi è stato fatto fuori dal colpo di stato militare. Ma non è stata fatta fermare soltanto la costruzione dell’ospedale dall’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi, bensì durante il suo primo mese al potere i rifugiati hanno perso tutto il sostegno del governo, con la giustificazione che non sono cittadini egiziani. Questo è stato un atto senza precedenti, considerando che dal 1948 i profughi sono stati trattati esattamente come gli egiziani, secondo quanto dice la gente di Fadel Island.
Una delle donne del villaggio, chiedendo di rimanere anonima, ha commentato in maniera agitata: “E’ stata una giornata nera per l’intero villaggio, siamo andati a prendere il pane da un paese vicino, [il governo Sisi aveva istituito un sistema di razionamento del cibo, fornendo cinque pezzi di pane per ogni persona al giorno, ndr] solo che siamo stati sorpresi da una nuova legge: non c’è più pane per i rifugiati palestinesi”.
Non c’è neanche una scuola nel villaggio. Quella più vicina, come l’ospedale, è a un’ora di distanza, ed essendo di 10-15 lire egiziane al giorno (2 dollari) il reddito medio delle famiglie del villaggio, pochi sono in grado di mandare i propri figli a scuola. Nessuno degli studenti del villaggio è stato in grado di continuare gli studi dopo la scuola superiore.
Un’altra nuova legge è stata emanata lo scorso anno: rende obbligatorio, per tutti i residenti del villaggio, il rinnovo annuale dei loro documenti. Si tratta di un’esperienza traumatica per la maggior parte di loro, non solo per le spese di viaggio, ma perché molti si perdono nei meandri della burocrazia delle istituzioni governative e finiscono per spendere due o tre giorni vagando per le strade del Cairo, soltanto per rinnovare i loro documenti.
El-Haj Farahat, abitante del villaggio quasi ottantenne, ha parlato con nostalgia dei giorni vissuti sotto i passati presidenti. “Sotto [Gamal Abdel] Nasser, dovevamo rinnovare i nostri documenti ogni cinque anni, e ricevevamo un aiuto da parte del governo sia prima del Ramadan, che prima di ogni Eid. Nasser è stato il migliore tra tutti i presidenti”.
Sospira e continua: “Hanno cominciato a dimenticarci durante il lungo periodo di Mubarak. Abbiamo pensato che Morsi avrebbe migliorato le nostre condizioni, ma lo hanno rimosso prima che fosse in grado di cambiare qualsiasi cosa”.
Con un paese lacerato dai disordini politici, e dal momento in cui il governo continua la sua dichiarata guerra contro gli islamisti e contro gli attivisti della rivoluzione del 25 gennaio, è altamente improbabile che qualcuno possa far qualcosa per migliorare la situazione dei profughi dimenticati.
Ibrahim Ahmad – Middle East Eye
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