La guerra civile ha prodotto 500mila sfollati e in 30mila hanno lasciato il Paese.
"La mia casa è stata distrutta dalla guerra, così ho preso la famiglia e ci siamo imbarcati per un viaggio in mare di 18 ore, a bordo eravamo tanti, tutti stretti, non sapevamo se saremmo arrivati vivi a terra". La storia di Abdulhafed Hassan, raccolta dagli assistenti della World Bank, somiglia a quelle delle migliaia di profughi che da giorni bussano ai confini d'Europa. Abdulhafed però non è siriano, scappa dallo Yemen, il paese arabo più povero del Medioriente dove alla guerra civile esplosa un anno fa tra la minoranza houthi e il presidente Hadi si è aggiunto a marzo l'intervento militare saudita a favore del governo contro i ribelli appoggiati da Teheran (e dall'ex presidente Saleh, antico nemico degli houthi ricollocatosi dopo esser stato cacciato dalla temeraria quanto disperata primavera yemenita del 2011).
Rischio di un nuovo esodo L'invisibile esodo yemenita è ancora lontano dal Mediterraneo. In parte perché la fuga dei disperati come Abdulhafed passa dal Golfo di Aden, attraversa lo stretto Bab al Mandeb, che in arabo significa la porta della paura, e termina in Somalia o a Djibuti, dove alcune centinaia di famiglie vivono nella tendopoli di Markazi, vicino Obock. In parte perché gli yemeniti sono troppo poveri per scappare.
Secondo l'Onu in meno di sei mesi almeno mezzo milione di persone ha lascito il tetto natio, ma si tratta di sfollati interni. Oltre 30 mila invece sono riusciti a imbarcarsi per finire accampati nel deserto dell'ex colonia francese di Djibuti, dove il lavoro di Unicef e Unhc non basta a proteggerli dalle quotidiane tempeste di sabbia da 60 miglia l'ora e dalla minaccia notturna di iene e serpenti. Tanti piccoli Aylan Shenu "Mi mancano i vestiti, una bambola con cui giocare, mi manca mia sorella Fatouma, rimasta a casa con la nonna disabile" racconta agli operatori Unicef Jawaher, 7 anni, fuggita dalla città di pescatori Dhubab con i genitori e 4 fratelli, tutti tranne Fatouma, 10 anni.
La mamma Selima ha partorito in barca e ora sopravvivono a Markazi. L'Europa farebbe male a ignorare lo Yemen, una crisi solo in apparenza lontana, proprio come la Siria un anno fa. Da settimane le agenzie umanitarie lanciano Sos inascoltati: in pochi mesi le vittime sono già 4500 di cui almeno 400 bambini (quasi tutti civili, denuncia Human Rights Watch, a causa dell'uso delle ufficialmente bandite cluster bomb da parte di Riad).
Più di 21 milioni di persone, l'80% della popolazione, hanno necessità d'aiuto e, incalza Save the Children, 10 milioni di minori sono malnutriti. Non è finita: 8 milioni urgono cure mediche, 56 mila donne hanno subito violenza sessuale, il blocco mare-terra imposto da Riad contro le armi dirette agli houthi affama un paese che importa il 90% del cibo. Secondo l'Onu in 100 mila potrebbero scappare entro fine 2015.
Per quanto la diplomazia cerchi il dialogo, le speranze sono scarse. Mentre il presidente in esilio Hadi fa sapere che diserterà i colloqui di pace previsti in settimana con i ribelli che controllano la capitale Sanaa e parte del nord del Paese, l'Egitto, che insieme i paesi sunniti della regione affianca Riad nella coalizione sostenuta anche dagli Usa, invia le prime truppe di terra e il Marocco annuncia di poterlo fare presto.
Il conflitto che il "New York Times" legge in chiave regionale, con "Israele e gli stati arabi in guerra de facto con l'Iran", ha messo Ko lo Yemen, dove la violenza brucia ormai 20 delle 22 province. All'orizzonte si vede solo l'escalation, a tutto vantaggio di al Qaeda, presente in Yemen da vent'anni, e dei nuovi arrivati dello Stato Islamico. "Non sapete cosa significhi non poter nutrire il tuo bimbo per tre giorni pur avendo venduto tutto l'oro di tua moglie" confida ai pochi volontari ammessi nel paese l'operaio Khaled Ali, originario di Taiz. Non si sono ancora decisi a prendere il mare, ma hanno già iniziato a mangiare le foglie degli alberi.
di Francesca Paci
Rischio di un nuovo esodo L'invisibile esodo yemenita è ancora lontano dal Mediterraneo. In parte perché la fuga dei disperati come Abdulhafed passa dal Golfo di Aden, attraversa lo stretto Bab al Mandeb, che in arabo significa la porta della paura, e termina in Somalia o a Djibuti, dove alcune centinaia di famiglie vivono nella tendopoli di Markazi, vicino Obock. In parte perché gli yemeniti sono troppo poveri per scappare.
Secondo l'Onu in meno di sei mesi almeno mezzo milione di persone ha lascito il tetto natio, ma si tratta di sfollati interni. Oltre 30 mila invece sono riusciti a imbarcarsi per finire accampati nel deserto dell'ex colonia francese di Djibuti, dove il lavoro di Unicef e Unhc non basta a proteggerli dalle quotidiane tempeste di sabbia da 60 miglia l'ora e dalla minaccia notturna di iene e serpenti. Tanti piccoli Aylan Shenu "Mi mancano i vestiti, una bambola con cui giocare, mi manca mia sorella Fatouma, rimasta a casa con la nonna disabile" racconta agli operatori Unicef Jawaher, 7 anni, fuggita dalla città di pescatori Dhubab con i genitori e 4 fratelli, tutti tranne Fatouma, 10 anni.
La mamma Selima ha partorito in barca e ora sopravvivono a Markazi. L'Europa farebbe male a ignorare lo Yemen, una crisi solo in apparenza lontana, proprio come la Siria un anno fa. Da settimane le agenzie umanitarie lanciano Sos inascoltati: in pochi mesi le vittime sono già 4500 di cui almeno 400 bambini (quasi tutti civili, denuncia Human Rights Watch, a causa dell'uso delle ufficialmente bandite cluster bomb da parte di Riad).
Più di 21 milioni di persone, l'80% della popolazione, hanno necessità d'aiuto e, incalza Save the Children, 10 milioni di minori sono malnutriti. Non è finita: 8 milioni urgono cure mediche, 56 mila donne hanno subito violenza sessuale, il blocco mare-terra imposto da Riad contro le armi dirette agli houthi affama un paese che importa il 90% del cibo. Secondo l'Onu in 100 mila potrebbero scappare entro fine 2015.
Per quanto la diplomazia cerchi il dialogo, le speranze sono scarse. Mentre il presidente in esilio Hadi fa sapere che diserterà i colloqui di pace previsti in settimana con i ribelli che controllano la capitale Sanaa e parte del nord del Paese, l'Egitto, che insieme i paesi sunniti della regione affianca Riad nella coalizione sostenuta anche dagli Usa, invia le prime truppe di terra e il Marocco annuncia di poterlo fare presto.
Il conflitto che il "New York Times" legge in chiave regionale, con "Israele e gli stati arabi in guerra de facto con l'Iran", ha messo Ko lo Yemen, dove la violenza brucia ormai 20 delle 22 province. All'orizzonte si vede solo l'escalation, a tutto vantaggio di al Qaeda, presente in Yemen da vent'anni, e dei nuovi arrivati dello Stato Islamico. "Non sapete cosa significhi non poter nutrire il tuo bimbo per tre giorni pur avendo venduto tutto l'oro di tua moglie" confida ai pochi volontari ammessi nel paese l'operaio Khaled Ali, originario di Taiz. Non si sono ancora decisi a prendere il mare, ma hanno già iniziato a mangiare le foglie degli alberi.
di Francesca Paci
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