MISNA
Un colonnello e due capitani dell'esercito e uno della marina militare sono gli ultimi esponenti delle forze armate finiti sotto inchiesta per la tratta di profughi di etnia rohingya e fede musulmana in fuga dalla persecuzione in Myanmar. Per tutti il tribunale ha emesso un mandato di arresto per traffico di esseri umani.
Finora, nonostante le denunce locali e internazionali di un coinvolgimento di elementi delle forze armate thailandesi in una estesa rete di trafficanti che sfrutta le necessità dei Rohingya in transito dalla Thailandia verso la musulmana Malesia, finora un solo ufficiale dell'esercito (un maggiore) era stato ufficialmente indagato. Il mandato di ieri è il primo a carico di un ufficiale della marina e conferma che le accuse avanzate in passato hanno un fondamento nonostante la stessa marina militare abbia mandato sotto processo per calunnia due giornalisti di un media online locale – dichiarati innocenti dal tribunale a inizio settembre scorso - che avevano riportato parte di un esteso servizio delle Reuters su questo coinvolgimento.
Paveen Pongsirin, investigatore-capo della polizia sul caso ha indicato che sono 153 i mandati di arresto spiccati finora in connessione con un traffico emerso ufficialmente solo a aprile, con la scoperta di resti di campi clandestini con annesse tombe comuni con un centinaio di cadaveri. Una realtà resa possibile soltanto da connivenze e interessi congiunti di vari gruppi e autorità, data anche la prossimità del confine malese e la militarizzazione della regione, al centro di attività insurrezionali e terroristiche. Solo una novantina gli arrestati, mente gli altri sono probabilmente all'estero.
Dopo anni in cui i dinieghi ufficiali sulla presenza di estesi traffici di esseri umani, interni al paese e parte di network internazionali erano stati accettati o poco contrastati, da qualche tempo la Thailandia è finita nel mirino dei media e delle organizzazioni per i diritti umani, oltre che delle diplomazie. In particolare, la pretesa dal regimi militare in carica dal maggio 2014 di volere portare il paese verso una democrazia più responsabile, moralizzando la vita pubblica ed eliminando la corruzione diffusa, si scontra una realtà ben diversa. Le azioni di contrasto sono perlopiù cosmetiche (pubblici ufficiali e poliziotti vengono solo spostati in altra sede – come i 32 rimossi solo ieri - non incriminati e nessuno è stato finora condannato. Il dipartimento di Stato Usa lo scorso luglio ha confermato il paese al livello più basso quanto a impegno contro il traffico di esseri umani, citando lavoro forzato e sfruttamento sessuale come le conseguenze più vistose. L'Unione europea verificherà questo mese la situazione nel settore della pesca, dove gli abusi sono enormi e coinvolgono decine di migliaia di individui, soprattutto immigrati birmani. Possibile il blocco dell'import di prodotti ittici nella Ue, secondo mercato per la Thailandia con un valore di almeno 800 milioni di dollari l'anno.
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