Il riconoscimento dell'Europarlamento potrebbe salvare il blogger saudita da altre frustate e, forse, spingere le autorità a lasciarlo raggiungere la famiglia in Canada. Intanto si teme per la sorte del 21enne sciita Ali Mohammed an Nimr, arrestato quando era ancora minorenne, condannato a morte per decapitazione e crocifissione.
Raif Badawi come Nelson Mandela e Malala Yousafzai. Il blogger saudita condannato dai giudici del suo Paese a mille frustate, dieci anni di prigione e ad una multa di 266mila dollari per aver offeso le monarchia Saud e le gerarchie religiose, si è visto assegnare ieri il Premio Sakharov, il "Nobel" del Parlamento europeo creato nel 1988 per gli alfieri dei diritti umani e della libertà di espressione. Un riconoscimento che potrebbe salvarlo da altre frustate e, forse, spingere i sauditi a lasciarlo partire e a raggiungere la moglie e i figli che hanno ottenuto l'asilo politico in Canada. Quella delle frustate è "la più brutale delle condanne, una vera tortura", ha detto il presidente dell'Europarlamento Martin Schulz, "faccio appello al re dell'Arabia Saudita affinché conceda la grazia lo liberi immediatamente".
Schulz ha ricordato che i rapporti della Ue con i partner sono regolati anche sul rispetto dei diritti umani. Bene per Badawi ma quanta ipocrisia nelle parole del presidente Schulz. L'Ue che premia il blogger è quella che da decenni tace di fronte alle sistematiche violazioni in Arabia saudita dei diritti umani e politici, ai diritti negati alle donne, alle migliaia di prigionieri politici, alla negazione dei diritti delle minoranze religiose ed etniche e all'assenza di democrazia e di elezioni. È la stessa Europa che reclama democrazia e libertà in Siria e una dura punizione per il "brutale dittatore Bashar Assad" che deve uscire di scena, con le buone o con le cattive. I Saud al contrario sono intoccabili, perché fedeli alleati dell'Occidente in una regione strategica e perché comprano, grazie ai petrodollari, assieme agli altri monarchi del Golfo, armi statunitensi ed europee per decine di miliardi di dollari. Barack Obama qualche mese fa ha accolto con grande calore alla Casa Bianca il re saudita Salman.
Raid Badawi rischia di tornare davanti alle centinaia di spettatori che lo scorso gennaio accanto alla moschea Al-Jafali di Gedda hanno assistito alle prime 50 frustate della sentenza che prevede altre 19 serie da 50. Il 30 luglio 2013 Badawi era stato condannato a sette anni di prigione e "soltanto" a 700 frustate ma l'anno successivo la pena in appello è stata aumentata a 1.000 colpi e dieci anni di prigione. La Corte suprema sino ad oggi ha rinviato la seconda sessione di frustate per le pressioni dei centri internazionali per i diritti umani e di alcuni Paesi. Ma la macchina della "giustizia" sarebbe pronta ad ordinare la ripresa della punizione. Ensaf Haidar, la moglie del blogger, ha saputo da fonti attendibili che a breve riprenderà il ciclo di frustate. Non ci sono per ora conferme ufficiale ma l'allarme non è infondato. Le autorità saudite non hanno mai indicato di voler rinunciare alla punizione di Badawi, anzi, hanno denunciato con irritazione le "ingerenze straniere" volte, affermano, ad imporre modelli estranei alla "cultura" del regno dei Saud.
Badawi è colpevole di aver dibattuto, sul suo sito "Free Saudi Liberals", temi politici e religiosi. Già nel 2008 è stato condannato per apostasia e per aver denunciato che le università e le scuole religiose del paese sono laboratori dell'estremismo wahabita, corrente tra le più rigide del sunnismo. Badawi non è l'unico attivista in carcere. Molti altri sono dietro le sbarre e scontano pene persino più dure della sua. La condizione più critica è quella del 21enne sciita Ali Mohammed an Nimr, arrestato quando era ancora minorenne per aver partecipato a una protesta contro il regno. Lo attende una sentenza di morte per decapitazione e crocifissione.
A complicare la posizione di an Nimr, che ha confessato le sue "colpe" sotto tortura, affermano gli attivisti dei diritti umani, è la sua stretta parentela con lo sceicco Nimr Baqr an-Nimr, un famoso imam sciita e oppositore della casa reale. Si teme anche per l'avvocato Waleed Abulkhair, arrestato e condannato lo scorso anno per "incitamento dell'opinione pubblica". Abulkhair era il legale di Raif Badawi e il suo arresto è strettamente legato al caso del blogger.
Inizialmente era stato condannato a cinque anni di reclusione, pena prima sospesa e poi, a sorpresa, inasprita da un altro tribunale, specializzato in "terrorismo", che a inizio 2015 lo ha condannato a 15 anni. Il pugno di ferro delle autorità saudite si è inasprito durante la "primavera araba". Nel regno non ci sono state rivolte ma il timore che il malcontento tra i sudditi più giovani sfoci in azioni concrete ha spinto la monarchia a usare il bastone con i dissidenti politici e gli attivisti delle riforme. Di fronte a tutto ciò Bruxelles finge di non vedere. Non sarà il Premio Sakharov assegnato a Raif Badawi a cancellare l'ipocrisia europea.
di Michele Giorgio
Schulz ha ricordato che i rapporti della Ue con i partner sono regolati anche sul rispetto dei diritti umani. Bene per Badawi ma quanta ipocrisia nelle parole del presidente Schulz. L'Ue che premia il blogger è quella che da decenni tace di fronte alle sistematiche violazioni in Arabia saudita dei diritti umani e politici, ai diritti negati alle donne, alle migliaia di prigionieri politici, alla negazione dei diritti delle minoranze religiose ed etniche e all'assenza di democrazia e di elezioni. È la stessa Europa che reclama democrazia e libertà in Siria e una dura punizione per il "brutale dittatore Bashar Assad" che deve uscire di scena, con le buone o con le cattive. I Saud al contrario sono intoccabili, perché fedeli alleati dell'Occidente in una regione strategica e perché comprano, grazie ai petrodollari, assieme agli altri monarchi del Golfo, armi statunitensi ed europee per decine di miliardi di dollari. Barack Obama qualche mese fa ha accolto con grande calore alla Casa Bianca il re saudita Salman.
Raid Badawi rischia di tornare davanti alle centinaia di spettatori che lo scorso gennaio accanto alla moschea Al-Jafali di Gedda hanno assistito alle prime 50 frustate della sentenza che prevede altre 19 serie da 50. Il 30 luglio 2013 Badawi era stato condannato a sette anni di prigione e "soltanto" a 700 frustate ma l'anno successivo la pena in appello è stata aumentata a 1.000 colpi e dieci anni di prigione. La Corte suprema sino ad oggi ha rinviato la seconda sessione di frustate per le pressioni dei centri internazionali per i diritti umani e di alcuni Paesi. Ma la macchina della "giustizia" sarebbe pronta ad ordinare la ripresa della punizione. Ensaf Haidar, la moglie del blogger, ha saputo da fonti attendibili che a breve riprenderà il ciclo di frustate. Non ci sono per ora conferme ufficiale ma l'allarme non è infondato. Le autorità saudite non hanno mai indicato di voler rinunciare alla punizione di Badawi, anzi, hanno denunciato con irritazione le "ingerenze straniere" volte, affermano, ad imporre modelli estranei alla "cultura" del regno dei Saud.
Badawi è colpevole di aver dibattuto, sul suo sito "Free Saudi Liberals", temi politici e religiosi. Già nel 2008 è stato condannato per apostasia e per aver denunciato che le università e le scuole religiose del paese sono laboratori dell'estremismo wahabita, corrente tra le più rigide del sunnismo. Badawi non è l'unico attivista in carcere. Molti altri sono dietro le sbarre e scontano pene persino più dure della sua. La condizione più critica è quella del 21enne sciita Ali Mohammed an Nimr, arrestato quando era ancora minorenne per aver partecipato a una protesta contro il regno. Lo attende una sentenza di morte per decapitazione e crocifissione.
A complicare la posizione di an Nimr, che ha confessato le sue "colpe" sotto tortura, affermano gli attivisti dei diritti umani, è la sua stretta parentela con lo sceicco Nimr Baqr an-Nimr, un famoso imam sciita e oppositore della casa reale. Si teme anche per l'avvocato Waleed Abulkhair, arrestato e condannato lo scorso anno per "incitamento dell'opinione pubblica". Abulkhair era il legale di Raif Badawi e il suo arresto è strettamente legato al caso del blogger.
Inizialmente era stato condannato a cinque anni di reclusione, pena prima sospesa e poi, a sorpresa, inasprita da un altro tribunale, specializzato in "terrorismo", che a inizio 2015 lo ha condannato a 15 anni. Il pugno di ferro delle autorità saudite si è inasprito durante la "primavera araba". Nel regno non ci sono state rivolte ma il timore che il malcontento tra i sudditi più giovani sfoci in azioni concrete ha spinto la monarchia a usare il bastone con i dissidenti politici e gli attivisti delle riforme. Di fronte a tutto ciò Bruxelles finge di non vedere. Non sarà il Premio Sakharov assegnato a Raif Badawi a cancellare l'ipocrisia europea.
di Michele Giorgio