Roma – È una delle poche voci che osano sfidare le autorità degli Emirati Arabi Uniti quella di Ahmed Mansoor, il vincitore del premio Martin Ennlas 2015, considerato il premio Nobel per i diritti umani.
Ahmed Mansoor |
Mansoor è stato scelto tra una rosa di dieci candidati per il suo impegno a favore della libertà di espressione e dei diritti civili e politici che nell’emirato non trovano spazio. Un impegno che nel 2006 ha portato alla scarcerazione di due blogger che avevano denunciato le problematiche sociali del Paese, ma a lui è costato la prigione per “offesa alle autorità” e l’isolamento. Dal 2011, infatti, gli è stato negato il passaporto e non può lasciare gli Emirati. Alla cerimonia di premiazione ha partecipato con un videomessaggio.
Dal 2006 Mansoor ha portato avanti campagne e ha denunciato le violazioni dei diritti umani, politici e civili negli Emirati che lo hanno portato in carcere, dopo un processo giudicato irregolare dalle organizzazioni per i diritti umani. La detenzione è stata sospesa dopo il perdono, ma Mansoor è rimasto bloccato nel Paese. “Continua a pagare il prezzo per aver parlato apertamente di diritti umani”, ha detto Micheline Calmy-Rey, a capo della fondazione Martin Ennals.
Mansoor è consulente di Humna Rights Watch e del Centro per i diritti umani del Golfo. È una voce libera, che denuncia in maniera puntuale le detenzioni arbitrarie, le torture, i processi irregolari, le violazioni delle leggi internazionali nel suo Paese e per questo ha subito minacce e persecuzioni.
Il premio Martin Ennals (circa 18mila euro) oltre al riconoscimento del lavoro dei difensori dei diritti umani, ha l’obiettivo di accendere i riflettori sugli attivisti meno noti, e pertanto più in pericolo, come Mansoor il cui lavoro di attivista si svolge in un Paese di rado sotto i riflettori internazionali. Il premio è stato istituito nel 1993 in onore del segretario generale di Amnesty International e la giuria è composta da Amnesty International, Commissione internazionale dei giuristi, Ewde Germania, Federazione internazionale dei diritti umani, Frontline defenders, Human Rights First, Human Rights Watch, Huridocs, International Service for Human Rights e Organizzazione mondiale contro la tortura.
Gli altri due finalisti sono Robert Sann Aung di Myanmar e Asmaou Diallo della Guinea.
Dal 2006 Mansoor ha portato avanti campagne e ha denunciato le violazioni dei diritti umani, politici e civili negli Emirati che lo hanno portato in carcere, dopo un processo giudicato irregolare dalle organizzazioni per i diritti umani. La detenzione è stata sospesa dopo il perdono, ma Mansoor è rimasto bloccato nel Paese. “Continua a pagare il prezzo per aver parlato apertamente di diritti umani”, ha detto Micheline Calmy-Rey, a capo della fondazione Martin Ennals.
Mansoor è consulente di Humna Rights Watch e del Centro per i diritti umani del Golfo. È una voce libera, che denuncia in maniera puntuale le detenzioni arbitrarie, le torture, i processi irregolari, le violazioni delle leggi internazionali nel suo Paese e per questo ha subito minacce e persecuzioni.
Il premio Martin Ennals (circa 18mila euro) oltre al riconoscimento del lavoro dei difensori dei diritti umani, ha l’obiettivo di accendere i riflettori sugli attivisti meno noti, e pertanto più in pericolo, come Mansoor il cui lavoro di attivista si svolge in un Paese di rado sotto i riflettori internazionali. Il premio è stato istituito nel 1993 in onore del segretario generale di Amnesty International e la giuria è composta da Amnesty International, Commissione internazionale dei giuristi, Ewde Germania, Federazione internazionale dei diritti umani, Frontline defenders, Human Rights First, Human Rights Watch, Huridocs, International Service for Human Rights e Organizzazione mondiale contro la tortura.
Gli altri due finalisti sono Robert Sann Aung di Myanmar e Asmaou Diallo della Guinea.
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