La storia di Dyonisis Arvanitakis, «l’eroe del Dodecaneso» che ha commosso il Mondo
«Europa è quel panettiere di Kos che tutti i giorni va al porto per dare da mangiare alle anime affamate e stanche», scandiva lo scorso 9 settembre il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker davanti al parlamento di Bruxelles, durante il discorso annuale sullo Stato dell’Unione. «Lui come gli studenti di Monaco e Passau che portano vestiti alla stazione e i poliziotti austriaci che accolgono i rifugiati che arrivano esausti al confine». Sono storie di piccoli gesti che raccontano un’Europa che non è meno reale di quella che per troppo tempo non è riuscita ad agire. Quel panettiere di Kos non è frutto di un artificio retorico, è una persona in carne e ossa che non sente il peso di essere un simbolo: «Io mi limito ad aiutare, nient’altro».
Il suo nome è Dyonisis Arvanitakis e ha alle spalle una storia che gli permette di guardare con occhi diversi a quello che sta succedendo sulle coste della Grecia. Già, perché una volta l’immigrato era lui: è il 1957 quando Dyonisis, decide di lasciare casa sua, nel Peloponneso per scappare dalla miseria. All’età di quindici anni, si imbarca per un viaggio di quaranta giorni verso l’Australia ed è lì che per la prima volta si trova dall’altra parte della barricata: «Quando sono arrivato non sono riuscito a trovare un lavoro perché non parlavo inglese - racconta - e in quei mesi ho capito cosa fosse la fame. Chi non l’ha mai patita non può capire cosa provano quelle persone. Io sono stato come loro».
Da allora sono passati molti anni. Nel 1970, dopo aver lavorato come panettiere in Australia, essersi sposato e aver messo da parte abbastanza soldi, Dyonisis riesce a tornare in Grecia, a Kos, da dove viene la moglie Evangelia. Nel villaggio di Zipari apre la sua prima bottega, oggi una delle più importanti dell’isola, gestita assieme al figlio Stavros. Le cose però cambiano quando cominciano ad arrivare i primi barconi e, con loro, i suoi viaggi verso il porto col furgone carico di pane.
Riuscire a parlare con Dyonisis non è facile. L’eroe del Dodecanneso, come lo chiamano alcune testate greche, si divide tra il porto di Kos e il forno della sua panetteria come se gli anni non fossero passati. E quando un giornalista lo cerca o chiama al telefono la risposta è sempre la stessa: «Dyonisis non c’è». Alla porta della sua bottega, qualche giorno fa, ha bussato anche Brandon Stanton, il fotografo reso celebre dai ritratti del progetto Humans of New York, che lo ha voluto immortalare, immerso tra centinaia di pagnotte: un uomo di poche parole e molto lavoro ma che ha un’idea chiara di quello che sta succedendo e soprattutto di ciò che è chiamato a fare. Nient’altro che dare una mano.
«Ho cominciato a caricare il furgone di pane per donarlo a quelle persone. Ogni giorno ne facciamo circa 100 chili in più ma arrivano sempre più persone, l’Europa dovrebbe venire a vedere cosa succede qui». Alcuni dei profughi lo aiutano, lavorano per lui, «ma la situazione diventa sempre più complessa e ogni volta mi domando se è il caso di smettere o continuare». A voler rallentare sarebbe suo figlio, che con lui gestisce affari: «È contento di ciò che facciamo ma preferirebbe che non esagerassi». Ogni giorno però è come quello precedente e Dyonisis riempie il retro del furgoncino per tornare al porto. Se continua è solo perché non può dimenticare quello che ha patito da giovane: «Quando ero un ragazzo, nel Peloponneso si pativa la fame e oggi è lo stesso, per questo scappavamo. Vivere per strada, non avere da mangiare, non conoscere la lingua sono cose che non si scordano facilmente».
Francesco Zaffarano
Il suo nome è Dyonisis Arvanitakis e ha alle spalle una storia che gli permette di guardare con occhi diversi a quello che sta succedendo sulle coste della Grecia. Già, perché una volta l’immigrato era lui: è il 1957 quando Dyonisis, decide di lasciare casa sua, nel Peloponneso per scappare dalla miseria. All’età di quindici anni, si imbarca per un viaggio di quaranta giorni verso l’Australia ed è lì che per la prima volta si trova dall’altra parte della barricata: «Quando sono arrivato non sono riuscito a trovare un lavoro perché non parlavo inglese - racconta - e in quei mesi ho capito cosa fosse la fame. Chi non l’ha mai patita non può capire cosa provano quelle persone. Io sono stato come loro».
Da allora sono passati molti anni. Nel 1970, dopo aver lavorato come panettiere in Australia, essersi sposato e aver messo da parte abbastanza soldi, Dyonisis riesce a tornare in Grecia, a Kos, da dove viene la moglie Evangelia. Nel villaggio di Zipari apre la sua prima bottega, oggi una delle più importanti dell’isola, gestita assieme al figlio Stavros. Le cose però cambiano quando cominciano ad arrivare i primi barconi e, con loro, i suoi viaggi verso il porto col furgone carico di pane.
Riuscire a parlare con Dyonisis non è facile. L’eroe del Dodecanneso, come lo chiamano alcune testate greche, si divide tra il porto di Kos e il forno della sua panetteria come se gli anni non fossero passati. E quando un giornalista lo cerca o chiama al telefono la risposta è sempre la stessa: «Dyonisis non c’è». Alla porta della sua bottega, qualche giorno fa, ha bussato anche Brandon Stanton, il fotografo reso celebre dai ritratti del progetto Humans of New York, che lo ha voluto immortalare, immerso tra centinaia di pagnotte: un uomo di poche parole e molto lavoro ma che ha un’idea chiara di quello che sta succedendo e soprattutto di ciò che è chiamato a fare. Nient’altro che dare una mano.
«Ho cominciato a caricare il furgone di pane per donarlo a quelle persone. Ogni giorno ne facciamo circa 100 chili in più ma arrivano sempre più persone, l’Europa dovrebbe venire a vedere cosa succede qui». Alcuni dei profughi lo aiutano, lavorano per lui, «ma la situazione diventa sempre più complessa e ogni volta mi domando se è il caso di smettere o continuare». A voler rallentare sarebbe suo figlio, che con lui gestisce affari: «È contento di ciò che facciamo ma preferirebbe che non esagerassi». Ogni giorno però è come quello precedente e Dyonisis riempie il retro del furgoncino per tornare al porto. Se continua è solo perché non può dimenticare quello che ha patito da giovane: «Quando ero un ragazzo, nel Peloponneso si pativa la fame e oggi è lo stesso, per questo scappavamo. Vivere per strada, non avere da mangiare, non conoscere la lingua sono cose che non si scordano facilmente».
Francesco Zaffarano
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