Il dibattito pubblico e le manifestazioni pacifiche non sono viste di buon occhio dal palazzo di Kuala Lumpur. Professori, attivisti, scrittori sono portati in tribunale grazie a una legislaslazione approssimativa. Human rights watch: "Bisogna fare pressioni per cambiare le leggi draconiane"
Roma - Libera espressione e dibattiti pubblici non piacciono al governo di Kuala Lumpur. Negli ultimi due anni, da quando i vertici sono stati colpiti da un'ondata di dissenso e scandali politici, lo Stato ha messo in atto un giro di vite che mira a zittire crititci, giornalisti e attivisti dei diritti umani. Per farlo, ricorre a delle leggi che lasciando ampio margine all'interpretazione diventano mezzi per portare in tribunale le voci scomode.
Processi sommari. Nel rapporto: "Basta trattare la critica come un crimine", Human rights watch denuncia la chiusura del governno nei confronti della libera espressione. Raccogliendo testimonianze e anaizzando le leggi del paese, il quadro che si evince è di un paese che sta pericolosamente regredento verso la repressione delle libertà individuali. Un percorso che si fa beffe degli obblighi internazionali di un paese democratico.
Dalle stelle alle stalle. All'epoca della sua elezione, nel 2009, il presidente Najib Razak si era defiito uno strenuo difensore delle libertà civili. Purtoppo le cose non sono andate come sperava. Nel 2013 infatti corruzione e scandali legati alla 1MDB, la compagnia nata per favorire lo sviluppo del paese e tacciata di essere usata per far confluire i fondi nei conti correnti del presidente e di altre personalità legate al governo, hanno innescato un'ondata di malcontento popolare che si è tradotta in manifestazioni e attacchi da parte dei media all'operato di Razak. Dal palazzo di Kuala Lumpur il presidente malese ha deciso di reprimere critici e oppositori sfruttando leggi che lasciano molto spazio all'interpretazione. Nel giro di pochi mesi attivisti, giornalisti, tipografi, professori e testate mediatiche sono stati presi di mira con l'intento di mettere a tacere le voci scomode. "Il primo ministro Najib Razak e il governo malese - afferma Brad Adams, direttore Hrw per l'Asia - hanno ripetutamente infranto la promessa di rivedere le leggi che criminalizzano l'espressione pacifica. Al contrario in Malesia si moltiplicano i processi contro gli oppositori. Il governo si sta facendo beffe della democrazia e dei diritti fondamentali".
Dal professore al fumettista. I processi contro i critici del governo Razak non risparmiano nessuno. Uno dei casi più eclatanti riguarda il professore di legge della Malaya University, Azmi Sharom. La sua colpa è di aver definito "illegale"l'azione del governo nella regione del Perak. Per Quest'affermazione è costata all'uomo non solo la sospensione dal suo incarico, ma anche un processo per sedizione che a oggi è ancora in corso. Ma il professor Sharom non è il solo a esser preso di mira dal governo. Anche il noto fumettista Zulkiflee Anwar Ulhaque, conosciuto come Zunar deve rispondere per nove accuse di sedizione: una per ogni Tweet che il fumettista ha condiviso contro la condanna a cinque anni di carcere dell'ex vice primo ministro Anwar Ibrahim con l'accusa di sodomia. In questo caso il governo oltre al diretto interessato si è scagliato anche contro tipografi, distributori e collaboratori del vignettista e ricorrendo anche al sequestrato di fumetti e libri. Due casi simbolo che nascondono centinaia di processi mossi dalle autorità contro civili accusati di criticare l'operato del governo.
Nessuno risponde. Apprendendo della situazione a dir poco preoccupante nel paese, Hrw ha chiesto spiegazioni a diversi organi governativi coinvolti in queste vicende, ma nessuno ha risposto. "Nel marzo 2014 - conclude Adams - il governo malese ha ribadito di fronte al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il suo impegno nel migliorare il rispetto delle norme internazionali sui diritti umani. Ma per essere preso sul serio come il paese deve onorare questo impegno e fermare la criminalizzazione in atto contro i dissidenti e i critici del govero".
Di Chiara Nardinocchi
Processi sommari. Nel rapporto: "Basta trattare la critica come un crimine", Human rights watch denuncia la chiusura del governno nei confronti della libera espressione. Raccogliendo testimonianze e anaizzando le leggi del paese, il quadro che si evince è di un paese che sta pericolosamente regredento verso la repressione delle libertà individuali. Un percorso che si fa beffe degli obblighi internazionali di un paese democratico.
Dalle stelle alle stalle. All'epoca della sua elezione, nel 2009, il presidente Najib Razak si era defiito uno strenuo difensore delle libertà civili. Purtoppo le cose non sono andate come sperava. Nel 2013 infatti corruzione e scandali legati alla 1MDB, la compagnia nata per favorire lo sviluppo del paese e tacciata di essere usata per far confluire i fondi nei conti correnti del presidente e di altre personalità legate al governo, hanno innescato un'ondata di malcontento popolare che si è tradotta in manifestazioni e attacchi da parte dei media all'operato di Razak. Dal palazzo di Kuala Lumpur il presidente malese ha deciso di reprimere critici e oppositori sfruttando leggi che lasciano molto spazio all'interpretazione. Nel giro di pochi mesi attivisti, giornalisti, tipografi, professori e testate mediatiche sono stati presi di mira con l'intento di mettere a tacere le voci scomode. "Il primo ministro Najib Razak e il governo malese - afferma Brad Adams, direttore Hrw per l'Asia - hanno ripetutamente infranto la promessa di rivedere le leggi che criminalizzano l'espressione pacifica. Al contrario in Malesia si moltiplicano i processi contro gli oppositori. Il governo si sta facendo beffe della democrazia e dei diritti fondamentali".
Dal professore al fumettista. I processi contro i critici del governo Razak non risparmiano nessuno. Uno dei casi più eclatanti riguarda il professore di legge della Malaya University, Azmi Sharom. La sua colpa è di aver definito "illegale"l'azione del governo nella regione del Perak. Per Quest'affermazione è costata all'uomo non solo la sospensione dal suo incarico, ma anche un processo per sedizione che a oggi è ancora in corso. Ma il professor Sharom non è il solo a esser preso di mira dal governo. Anche il noto fumettista Zulkiflee Anwar Ulhaque, conosciuto come Zunar deve rispondere per nove accuse di sedizione: una per ogni Tweet che il fumettista ha condiviso contro la condanna a cinque anni di carcere dell'ex vice primo ministro Anwar Ibrahim con l'accusa di sodomia. In questo caso il governo oltre al diretto interessato si è scagliato anche contro tipografi, distributori e collaboratori del vignettista e ricorrendo anche al sequestrato di fumetti e libri. Due casi simbolo che nascondono centinaia di processi mossi dalle autorità contro civili accusati di criticare l'operato del governo.
Nessuno risponde. Apprendendo della situazione a dir poco preoccupante nel paese, Hrw ha chiesto spiegazioni a diversi organi governativi coinvolti in queste vicende, ma nessuno ha risposto. "Nel marzo 2014 - conclude Adams - il governo malese ha ribadito di fronte al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il suo impegno nel migliorare il rispetto delle norme internazionali sui diritti umani. Ma per essere preso sul serio come il paese deve onorare questo impegno e fermare la criminalizzazione in atto contro i dissidenti e i critici del govero".
Di Chiara Nardinocchi
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.