L’anno che si sta per chiudere ha visto le nostre comunità confrontarsi con un nuovo ‘segno dei tempi’, una ‘nuova provocazione’: l’arrivo in Italia e in Europa di oltre 1 milione di persone migranti, che provengono da paesi segnati da guerre, disastri ambientali e persecuzione politica e religiosa.
Sono persone in fuga: che hanno camminato in situazione di privazione, di violenza; che hanno attraversato il Nostro Mare su barche insicure, al punto che oltre 3700 hanno trovato la morte, tra cui almeno 730 bambini, anche neonati; che all’arrivo spesso hanno trovato non porte aperte, ma muri di filo spinato.
Un milione di persone che arrivano in un Continente, come l’Europa, di oltre 500 milioni di persone; un milione di giovani, che arrivano in un Continente dove oltre il 30% sono anziani, non possono essere considerati un popolo che ‘invade’: è semmai un popolo in cammino, che chiede protezione internazionale, un diritto su cui si fonda la democrazia europea; è una risorsa per rinnovare l’Europa.Durante la Prima Guerra Mondiale i profughi e i rifugiati in Europa furono oltre 12 milioni e ci fu una gara di solidarietà, anche nei nostri paesi e comunità, all’ospitalità e all’accoglienza. Certo, 1 milione di persone che arrivano non possono essere accolti solo da 5 dei 28 Stati Europei.
Il 2015 è stato l’anno in cui, purtroppo, abbiamo dovuto constatare la debolezza degli Stati che formano l’Unione europea a garantire non solo sulla carta, ma nei fatti, la protezione internazionale. L’Italia, da parte sua, impreparata fino al 2013 a tutelare un numero significativo di rifugiati (i posti negli Sprar erano solo 3.000, in pochi Comuni italiani) e ai richiedenti asilo (meno di 10.00 posti nei Cara), ha intrapreso il cammino di un sistema asilo degno di una grande Democrazia: i posti negli SPRAR sono diventati 20.000 (e nel prossimo anno dovrebbero arrivare a 30.000) e l’accoglienza straordinaria ha creato una rete di 100.000 posti in 4000 strutture.
Anche per l’Italia vale lo stesso discorso dell’Europa: l’accoglienza di 100.000 persone in 8.000 comuni italiani non può essere considerata un’invasione. L’accoglienza ha dovuto sconfiggere paure, anche nelle nostre comunità: la paura che nasceva dalla falsa correlazione tra terrorismo e islam, tra terrorismo e rifugiati. La rete diffusa di accoglienza che si è creata nelle nostre diocesi e parrocchie italiane, oltre 27.000 persone accolte, rispondendo anche all’appello del Papa, che il 6 settembre scorso aveva invitato le parrocchie d’Europa a fare spazio all’accoglienza di una famiglia di richiedenti asilo e rifugiati, è stata una risposta ecclesiale nel segno della carità e della giustizia, ma anche un gesto concreto per provocare una risposta politica organica e diffusa a chi chiedeva protezione internazionale al nostro Paese.
L’anno che si apre non può che essere all’insegna della pace e dell’accoglienza, continuando un cammino di accoglienza gioiosa nelle nostre comunità, secondo lo spirito del Vangelo vissuto nella Chiesa delle origini – come ricorda l’apologista Aristide di Atene (+140): “i cristiani se vedono uno straniero, lo conducono in casa e gioiscono con lui come con un fratello” (Apologia, 15,7) – . Un cammino di accoglienza rinnovato nel magistero del Concilio Vaticano II – “la Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro intende di servire a Cristo” (L. G. 8) – che l’Anno giubilare voluto da Papa Francesco intende trasformare in gesti concreti e quotidiani di misericordia.
Gian Carlo Perego
Direttore generale Fondazione Migrantes
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