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domenica 31 gennaio 2016

Petition against the Death Penalty in Belarus - Sign

Capital punishment in Belarus, analytics, Petition against the Death Penalty in Belarus
Belarus is the last country in Europe and former Soviet Union that is still carrying out the death penalty. Amnesty International, Human Rights Centre “Viasna”, Belarusian Helsinki Committee and other human rights defenders in Belarus oppose the death penalty in all cases without exception. The death penalty is a violation of the right to life, guaranteed by the Constitution of Belarus and the Universal Declaration of Human Rights. Nothing can justify the purposeful and ruthless taking of a human life by State.

The death penalty is a destructive and divisive public policy that has been shown to have no special deterrent effect on crime. It distracts from effective measures being taken against criminality through promoting simplistic responses to complex human problems. It denies the possibility of rehabilitation and reconciliation. It prolongs the suffering of the murder victim’s family, and extends that suffering to the relatives of the condemned prisoner. Amnesty International, Human Rights Centre “Viasna”, Belarusian Helsinki Committee does not seek to belittle the suffering of the families of murder victims, and recognizes and endorses a government’s duty to protect the rights of all people under its jurisdiction. However, executions are a symptom of a culture of violence rather than a solution to it. By executing a person the state commits a premeditated killing and shows a similar readiness to use physical violence as the criminal.

In Belarus the use of the death penalty is compounded by a flawed criminal justice system that administers capital punishment in a manner that violates international laws and standards pertaining to the death penalty. There is credible evidence that torture and ill-treatment are used to extract “confessions”; condemned prisoners may not have access to effective appeal mechanisms; and the inherently cruel, inhuman and degrading nature of the death penalty is compounded for death row prisoners and their relatives by the secrecy surrounding the death penalty. Neither prisoners nor their families are told the execution date in advance and prisoners must live with the fear that every time their cell door opens they may be taken for execution.

We call on the President and Parliament of Belarus to immediately declare a moratorium on death sentences and executions as a first step towards full abolition of the death penalty.

Liberia, tre condannati a morte per un omicidio rituale

liberianobserver.com
Liberia: Tre condannati all'impiccagione per omicidio. Il Tribunale del secondo circuito giudiziario della contea di Grand Bassa, in Liberia, ha condannato tre persone all’impiccagione in relazione all’omicidio di Nimely Tarr, commesso ad agosto 2014 per "scopo rituale". 

Secondo il tribunale, Samuel Targbehn, Emmanuel Juludoe e James Reeves avrebbero asportato parti del corpo della vittima, compresi organi interni. I tre sono residenti nella città di Paytoe, nel primo distretto della contea di Grand Bassa. Erano stati incriminati per il reato di omicidio.

Per 200 dollari si erano venduti parti del corpo dell'ucciso. Gli imputati avrebbero ricevuto 200 dollari da una persona non identificata in cambio delle parti umane. Secondo l'accusa, il 9 agosto 2014, Nimely Tarr lasciò la sua residenza di Woe Town per Paytoe Town, dove incontrò i tre uomini, che lo attirarono in una vicina fattoria di canna da zucchero e lo uccisero a sangue freddo. La sentenza dice che gli imputati hanno ammesso di aver ricevuto 200 dollari in cambio di parti umane da usare in un rito e che saranno impiccati nel cimitero di Upper Buchanan tra le 6 di mattina e le 18 di un giorno ancora non precisato, ma imminente. Lo Stato era rappresentato da Samuel K. Jacob, mentre gli imputati erano difesi da Paul P. Jarvan, che ha già annunciato di voler presentare appello alla Corte Suprema.

Emirati Arabi: Condannato a morte nonostante il perdono dei familiari.

ae.b2.mkEmirati Arabi: Condannato a morte nonostante il perdono dei familiari. Una corte di appello di Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti, ha condannato a morte un uomo di origine araba per l’omicidio della moglie, nonostante il perdono ottenuto dai figli. 

La corte ha confermato la condanna a morte pronunciata da un tribunale di primo grado, secondo cui l’uomo avrebbe ucciso la moglie a colpi di accetta, mentre i loro tre figli erano a scuola. Lo stesso omicida avrebbe confessato alla polizia di aver aggredito la donna, dopo un'accesa discussione a casa. 

I giornali hanno riportato che mentre i tre figli hanno offerto il proprio perdono al padre, così come i parenti più stretti della vittima, il giudice ha invece respinto il perdono trattandosi di omicidio premeditato. Dopo aver commesso l’omicidio, l’uomo fuggì ad Abu Dhabi, dove si è consegnato alla polizia.

Pena di morte, in Arabia Saudita 55 decapitazioni dall'inizio dell'anno

AFP
Un uomo è stato giustiziato per omicidio in Arabia Saudita e arriva così a 55 il numero dei detenuti messi a morte nel Regno dall'inizio dell'anno. 

In una nota, il Ministero degli Interni ha identificato l’uomo come Owaidhah al-Saadi, di nazionalità saudita, la cui decapitazione è avvenuta nella regione sud-occidentale di Aseer. Era stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di un connazionale, commesso con arma da fuoco a seguito di una lite. 

Lo scorso anno, 153 persone sono state giustiziate in Arabia Saudita, sopratutto per traffico di droga e omicidio.

sabato 30 gennaio 2016

30 gennaio 1948 - Ricordo della morte del Mahatma Gandhi

Blog Diritti Umani - Human Rights
30 gennaio 1948 - Ricordo della morte del Mahatma Gandhi

"Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo"



“Limitarsi ad amare chi ci ama non è nonviolenza. Solo l'amare chi ci odia è nonviolenza. So quanto sia difficile seguire questa grandiosa Legge dell'Amore. Ma non è sempre così, con tutte le cose grandi e buone? Amare chi ci odia è la cosa più difficile di tutte. Ma, con la grazia di Dio, anche realizzare questa difficilissima cosa diventerà facile, se lo desideriamo.”

Mahatma Gandhi

Gran Bretagna: sale bruscamente il numero delle morti nelle carceri inglesi. 256 nel 2015

west-info.eu
Secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia di Londra, nel 2015 ci sono stati un totale di 257 decessi tra i prigionieri, rispetto ai 153 del 2006. 

Una parte della crescita è dovuta al costante aumento di suicidi e omicidi dietro le sbarre: sono stati 89 i detenuti che nel 2015 si sono tolti la vita, mentre 8 sono state le persone uccise in carcere. 

Da notare che una percentuale molto significativa di decessi nelle galere di Sua Maestà è dovuta a cause naturali (146 morti lo scorso anno contro gli 83 del 2006), visto il costante invecchiamento della popolazione reclusa.

di Ivano Abbadessa

venerdì 29 gennaio 2016

ONU: in R.D. Congo violazioni dei diritti umani aumentate del 64%

AGI
Sono aumentate in “maniera drammatica” le violazioni dei diritti dell’uomo nella Repubblica democratica del Congo. L’allarme e’ stato lanciato dall’Onu ed e’ contenuto nel rapporto annuale


“Abbiamo constatato un aumento drammatico delle violazioni dei diritti dell’uomo pari al 64% rispetto al 2014″, ha spiegato il direttore dell’Ufficio congiunto dell’Onu e dei diritti dell’uomo in Rdc, Jose’ Maria Aranaz, durante una conferenza stampa. In totale l’Onu ha registrato 3847 violazioni che si concentrano, in particolare, nelle provincie Orientale, nel Nord e nel Sud Kivu.
Un allarme che arriva a dieci mesi dalla tenuta delle presidenziali che, tuttavia, sul loro svolgimento vi e’ forte incertezza.

A tale proposito il responsabile dell’Onu, Aranaz, ha nuovamente espresso tutto la preoccupazione del suo ufficio sulla progressiva “riduzione dello spazio politico e la restrizione delle liberta’ pubbliche”, fattori che possono non rendere credibili le lezioni. Il clima politico in Rdc, infatti, e’ molto teso e le opposizioni accusano il presidente Joseph Kabila, al potere dal 2001 e il cui mandato termina a dicembre, di cercare in tutti i modi di mantenere il potere anche dopo la scadenza del suo mandato, anche perche’ la Costituzione vigente gli impedirebbe di ricandidarsi. Da molti mesi, ormai, l’Onu, le opposizioni e diverse organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo, denunciano le politiche repressive delle autorita’ congolesi. 

USA - Texas - Eseguita pena di morte per il trentacinquenne James Freeman

ANSA
Washington - E' stata eseguita in Texas, con un'iniezione letale, la pena capitale inflitta al trentacinquenne James Freeman, condannato per aver ucciso una guardia forestale durante una sparatoria nel 2007.
James Freeman
Il 17 giugno di quell'anno Freeman era stato protagonista di un inseguimento con la polizia, sospettato di condurre una battuta di caccia illegale nel Wharton County, nel sudest del Texas. Dopo un'ora e mezza di fuga all'impazzata, l'uomo a bordo di un pickup era stato braccato e fermato dagli agenti; a quel punto aveva imbracciato un fucile e una pisola e aveva fatto fuoco contro le forze dell'ordine, uccidendo la guardia forestale Justin Hurst.
E' la seconda esecuzione in due settimane in Texas.

Rapporto 2016 - Human Rights Watch descrive un mondo dove la paura mina i diritti umani

Euro News
"L'islamofobia è esattamente ciò che l'Isil vuole"
È un mondo dominato dalla paura, dove i diritti umani indietreggiano in nome della sicurezza quello che Human Rights Watch descrive nel suo tradizionale rapporto annuale
.
Radiografata dall’organismo internazionale la situazione in oltre 90 paesi. L’allarme terrorismo e la crescente xenofobia in Europa, sono fra i punti principali della relazione presentata dal direttore esecutivo di Hrw Kenneth Roth:

La crescente paura del terrorismo ha portato all’esplosione del fenomeno dell’islamofobia di cui i rifugiati e i migranti diventano il capro espiatorio. L’islamofobia è la peggiore misura anti terrorismo che si possa immaginare. È naturalmente sbagliata in sé ma è anche esattamente ciò che l’Isil vuole. Se si chiedesse all’Isil di indicare le circostanze migliori per fargli reclutare il numero massimo di volontari, ebbene la risposta sarebbe quella di dividere l’Europa, suscitando l’islamofobia e facendo sentire la popolazione islamica europea sempre più isolata.

Il direttore esecutivo dell’organismo internazionale per la difesa dei diritti umani ha fatto la sua conferenza stampa da Istanbul e non ha potuto non esprimere preoccupazione per la deriva autoritaria del governo turco, che, secondo Roth, sta soffocando l’opposizione, imbavagliando la stampa e minando l’indipendenza della magistratura.

Di Lilia Rotoloni

giovedì 28 gennaio 2016

Basta vittime in mare: corridoi umanitari contro le stragi - Andrea Riccardi

www.riccardiandrea.it
Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana

Ci siamo quasi abituati alle morti in mare. Mi chiedo se ci commuoviamo ancora, come qualche mese fa, per la fine di Aylan, il bambino curdo-siriano affogato nel Mediterraneo. Bisogna interrompere la catena di morti. L'Europa pensa invece a difendersi dai rifugiati. Dove devono andare i profughi siriani, che hanno alle spalle la guerra? Tentano la sorte in mare o marciano, con il freddo, per l'Anatolia e i Balcani. Rischiano e si sottopongono a una specie di "selezione" naturale. C'è chi muore e chi arriva.

I rifugiati non possono altro che fuggire. Vorrei, però, parlare di un'altra via. È delineata dall'accordo sui "corridoi umanitari", da poco firmato dai ministeri degli Esteri e dell'Interno italiani, dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dalla Tavola valdese. Lo scopo è evitare le morti in mare

Per quale motivo chi ha diritto all'asilo, come rifugiato, deve affrontare il terribile azzardo del mare? Deve rischiare la vita sua e dei figli? Bisogna creare corridoi umanitari per far giungere direttamente queste persone nei nostri Paesi. L'accordo riguarda un migliaio di persone vulnerabili (donne con bambini, anziani, disabili...), che sarebbero facili vittime dei trafficanti. 

Si tratta di rifugiati in Libano (sfollati siriani) e in Marocco (profughi subsahariani). Il Ministero degli Esteri rilascia i visti per motivi umanitari su una lista formulata con precisi criteri. Non sarà gente ignota ad arrivare nel nostro Paese (è una sicurezza per l'Italia).
Gli evangelici italiani e Sant'Egidio, oltre che individuare i rifugiati, si impegnano per l'integrazione e il sostegno economico delle persone giunte in Italia. Un notevole supporto viene dalla Tavola valdese attraverso il fondo dell'8 per mille. È un bell'esempio di ecumenismo concreto tra evangelici e cattolici a partire dai "poveri". Si vuole anche sperimentare il sistema dello sponsor, per cui rifugiati o immigrati possono godere del sostegno attivo di reti, gruppi o famiglie in Italia, che ne garantiscano l'inserimento e il sostentamento.
Mille visti possono sembrare una goccia nel mare. La speranza è che, in altri Paesi europei, si possano riprodurre simili esperienze, anche con l'impegno di Chiese e associazioni. I corridoi umanitari, soprattutto, mostrano che è possibile un'altra via: evitare i terribili viaggi della morte, in cui sono "selezionati" dal caso, dai trafficanti, dalla violenza del mare. Bisogna inventare nuove strade. Non ci si può nascondere dietro ai muri di fronte al dramma di milioni di persone.

Min. Interno: Continuo calo di migranti in Italia. 30% in meno nel 2016. Meno 10% dal 2014. Da inizio anno nessun arrivo da Siria ed Eritrea

ilgiornaledellaprotezionecivile.it
908 migranti in meno, rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, sono sbarcati sulle coste italiane da inizio 2016: il dato è stato comunicato ieri dal sottosegretario all'Interno, Domenico Manzione. Da inizio anno nessun arrivo da Siria ed Eritrea

Nel 2016 fino ad oggi si è registrato lo sbarco di 2.620 migranti sulle coste italiane, in calo rispetto ai 3.528 dello stesso periodo dello scorso anno. Lo ha detto il sottosegretario all'Interno, Domenico Manzione, nella sua audizione alla commissione Diritti umani del Senato. I dati sulla nazionalità degli arrivi, rileva Manzione, indicano la totale scomparsa di siriani ed eritrei: i più numerosi provengono da Guinea (281), Marocco (239), Gambia (239), Senegal (219) e Mali (201).

Quello tracciato ieri da Manzione, è il quadro attuale nel nostro Paese in merito agli sbarchi e al sistema d'accoglienza: 908 migranti in meno nel solo mese di gennaio 2016 rispetto a quelli approdati via mare nello stesso periodo del 2015.

Già l'anno scorso, rispetto al 2014, si è registrata una diminuzione complessiva del 10 per cento con 153.842 arrivi. Il flusso migratorio dall'Africa è cambiato: si è assistito a una netta diminuzione nel 2015 del numero di persone di nazionalità siriana (7.000 sulle quasi 154.000 totali) e nel mese di gennaio 2016 nessun eritreo è arrivato in Italia mentre nel 2015 sono stati la comunità più grande di stranieri in arrivo (38.612).

Quanto al sistema d'accoglienza, attualmente sono 105.000 i richiedenti asilo e rifugiati sono ospitati nei diversi circuiti: circa 20.000 nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), il resto nel Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) su tutto il territorio nazionale.

L'obiettivo del Ministero dell'interno è di aumentare la capienza nel circuito Sprar, considerato il modello migliore possibile in quanto basato su un'accoglienza diffusa e finalizzata all'integrazione. Lo Sprar, tuttavia, si basa sull'adesione volontaria dei singoli comuni e questo fattore influisce sull'aumento dei posti. Dai dati più recenti risulta che negli ultimi due anni l'Italia è passata ad essere non più un paese di transito ma un paese di destinazione per i profughi. Il numero di richieste d'asilo nel 2015 è aumentato del 30 per cento rispetto all'anno precedente.

Quanto all'approccio hotspot (strutture allestite per identificare rapidamente, registrare, foto-segnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti), l'Italia ha implementato le nuove procedure previste a livello europeo in merito all'identificazione e alla registrazione dei migranti. Questo passaggio è determinante ai fini della sicurezza ma anche per poter disporre di cifre certe sul numero degli arrivi e sulla consistenza dei flussi e riuscire così a programmare interventi efficaci in termini di accoglienza e più in generale di politiche dell'immigrazione a livello nazionale ed europeo. Negli ultimi mesi il tasso di persone identificate e registrate dopo essere sbarcate sulle coste italiane è aumentato fino a toccare l'80 per cento e sembra probabile che la procedura d'infrazione contro l'Italia aperta dalla Commissione europea lo scorso dicembre non comporterà debiti formali. Rimangono però alcune criticità difficili da superare con gli strumenti attuali. Molte persone rifiutano di farsi identificare col rilevamento delle impronte e vengono attualmente trattenute nei centri di primo soccorso senza che ci sia una normativa che regoli il trattenimento per periodi di tempo prolungati. È quanto accaduto a Lampedusa a decine di eritrei nelle scorse settimane.

Occorre definire formalmente la natura dei centri dove è attuato l'approccio hotspot: a oggi sono attivi quelli di Lampedusa e Trapani a fronte dei cinque previsti dalla Roadmap del Ministero dell'interno del settembre scorso (Pozzallo, Augusta, Taranto). Non è previsto al momento nessun hotspot ai confini nordorientali, ma c'è molta preoccupazione su quanto potrà accadere in seguito alla chiusura delle frontiere dei paesi balcanici e della Slovenia in particolare. Esiste poi il rischio che si vada sviluppando una rotta adriatica che comporterebbe l'arrivo di ingenti flussi di persone in Puglia.

La procedura di Relocation stenta invece a decollare. A oggi solo 276 richiedenti asilo hanno potuto lasciare l'Italia per un altro Stato membro, ma finché resteranno in vigore le rigidità del regolamento di Dublino e finché gli altri Stati non cambieranno i requisiti della scelta delle persone ricollocabili,

risulta difficile immaginare esiti migliori. Inoltre, la procedura è rivolta a richiedenti asilo di nazionalità siriana, eritrea ed irachena e la diminuzione pressoché totale del numero di siriani ed eritrei sbarcati in Italia - a fronte di un aumento del flusso di migranti subsahariani - rende difficile immaginare risultati migliori nei mesi a venire.

Riguardo ai Centri di identificazione ed espulsione, i numeri attuali non sono diversi da quelli registrati negli ultimi anni e il governo ha recepito la richiesta del Parlamento di portare a 90 giorni la durata massima del trattenimento, condividendo il senso della proposta. Quell'intervento legislativo va ancora completato implementando la possibilità di procedere all'espulsione dei detenuti stranieri irregolari senza passare dai Cie, direttamente dal carcere, ma il lavoro comune col ministero delle giustizia non ha ancora dato risultati concreti.

Turchia: ergastolo a Can Dündar e Erdem Gül per aver fatto il proprio mestiere di giornalisti

Il Manifesto
Questa la pena chiesta dal procuratore di Istanbul contro i due giornalisti. Accusa: spionaggio e tentato golpe. In Siria kurdi estromessi dal negoziato dopo il diktat di Erdogan, mentre le opposizioni prendono tempo. Quanto temuto potrebbe diventare realtà: il procuratore del tribunale di Istanbul ha presentato ieri l'incriminazione per i giornalisti turchi Can Dündar e Erdem Gül. 

Da sinistra Erdem Gul e Can Dundar ( Foto: Vedat Arik/AP)
Raccolta di documenti segreti per fini di spionaggio militare e politico, tentativo di rovesciare il governo e deliberato sostegno al terrorismo: queste le accuse che pesano sui due reporter. Rischiano il carcere a vita, tanto ha chiesto il procuratore turco, insieme all'isolamento per 23 al giorno, per sempre.

Rispettivamente direttore del quotidiano Cumhuriyet e caporedattore dell'ufficio di Ankara, la "colpa" di Dündar e Gül è aver fatto il proprio mestiere. A maggio pubblicarono un articolo, corredato di relative prove, nel quale mostravano il tentativo di scambio intercorso tra i servizi segreti turchi e presunti membri dello Stato Islamico. Un camion che sarebbe dovuto passare dalle mani dell'intelligence di Ankara a quelle degli islamisti era stato fermato e perquisito dalla gendarmeria turca a sud del paese all'inizio del 2014 ed era apparentemente pieno di armi.

[...]

di Chiara Cruciati

Migranti in Europa. Svezia ne vuole espellerne 80 mila. UK vuole espellere anche i bambini soli

ultimaedizione.eu
L’Unione europea continua ad andare in ordine sparso sulla questione dei migranti e rifugiati per la quale, nonostante siano oramai da mesi esplosi problemi gravi e di ogni genere, non è stata individuata alcuna linea comune e i diversi paesi si rimbalzano le responsabilità, [...]



Le autorità svedesi stanno definendo il piano in base al quale saranno espulsi 80.000 migranti cui le autorità di Stoccolma non intendono rilasciare il permesso di asilo. Gran parte delle espulsioni saranno realizzate con l’organizzazione di voli aerei.

Solamente nel corso del 2015 sono stati 163.000 i rifugiati che hanno chiesto asilo in Svezia e delle circa 60 mila domande trattate lo scorso anno il 55% sono state accettate.

La Gran Bretagna ha deciso di affrontare con il pugno di ferro anche la questione dei minori non accompagnati, che sono decine di migliaia, e procederà alla espulsione di tutti i bambini senza genitori provenienti dai paesi in cui non c’è una guerra in corso, come nel caso di Siria ed Iraq.

La Commissione europea ha ora preso di mira la Grecia accusata di non effettuare alcun controllo alle frontiere, mentre la Macedonia annuncia l’ennesima chiusura dei suoi varchi di confine con il paese ellenico, come già fatto in precedenza per contenere il flusso dei migranti. Così, in migliaia sono fermi adesso in Grecia, impossibilitati a procedere verso l’Europa centrale e settentrionale.

La risposta greca è stata quella di contestare ai vertici europei di non aver rispettato il programma concordato lo scorso anno sul trasferimento di decine di migliaia di migranti e rifugiati bloccati in Grecia dove, solo in questi primi giorni, dell’anno sarebbero arrivati, secondo i dati forniti dall’Onu, più di 46.000 profughi.

Presidente Cassazione: "Reato di clandestinità, inutile, inefficace e perfino dannoso"

La Repubblica
Cerimonia d'inaugurazione con il capo dello Stato. Il presidente della Cassazione chiede sanzioni amministrative fino all'espulsione per combattere l'immigrazione clandestina e interviene sul tema della prescrizione
Roma - Contro l'immigrazione clandestina, "la risposta sul terreno del procedimento penale si è rivelata inutile, inefficace e per alcuni profili dannosa, mentre la sostituzione del reato con un illecito e con sanzioni di tipo amministrativo, fino al più rigoroso provvedimento di espulsione, darebbe risultati concreti". Lo sottolinea il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, nella sua relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016, ricordando che sulla questione è "in atto una riflessione del Parlamento e del Governo".

[...]

Canzio ha parlato anche di terrorismo, sottolineando che "ogni forma di criminalità organizzata o terroristica, anche quella internazionale di matrice jihadista", deve essere condotta "nel rispetto delle regole stabilite dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato". "Diversamente tradiremmo la memoria" dei magistrati "caduti in difesa dei più alti valori democratici" e "non faremmo onore al giuramento di fedeltà che abbiamo prestato". 

[...]

mercoledì 27 gennaio 2016

Russia: il castigo dopo il delitto, la vita nell'Aquila Nera carcere per detenuti che erano nel braccio della morte

rbth.com
La colonia penale N.56, chiamata anche Aquila Nera, è uno dei carceri di massima sicurezza per i condannati all'ergastolo. Per un quarto di secolo i detenuti non hanno mai messo piede fuori da questo luogo. E alcuni di loro si preparano a uscire nei prossimi anni.


Qui scontano la propria pena 260 assassini. Durante il periodo sovietico, era l'unica colonia penale per i prigionieri condannati all'ergastolo.

Nel 1993 venne introdotta una moratoria sulla pena di morte. Attualmente i detenuti della colonia penale Aquila Nera sono divisi in due gruppi: quelli cui la pena di morte è stata convertita a 25 anni di carcere e coloro che trascorreranno lì dentro il resto della propria vita. I primi detenuti che godranno dell'indulto saranno liberati nel 2017. Negli ultimi 25 anni non hanno mai messo piede fuori dal carcere. E le uniche informazioni che in questo quarto di secolo hanno ricevuto dal mondo esterno, le hanno ottenute dalla televisione o dai giornali. Cosa faranno? Cosa pensano?

"Certamente è interessante! La vita è cambiata radicalmente - confessa Viktor Lushov, classe 1952 -. Qui guardo molto la televisione. Ho una buona famiglia che non mi lascerà mai solo. Cercherò di vivere come un uomo normale e di fare qualcosa di buono alla fine della mia vita. Educherò i miei nipoti".

"Ho trascorso cinque anni nel corridoio della morte. Quando la mia pena è stata ridotta a 25 anni, ho capito che avrei dovuto fare ritorno a casa - dice Aleksej Pechuhin, classe 1971. Vengo da un piccolo villaggio, lavoravo il legno: potrei realizzare mobili, fare qualsiasi cosa legata al mio vecchio lavoro".

"Qui impariamo a fare diverse cose - racconta Aleksej Isupov, classe 1973. Sono in grado di utilizzare i macchinari per la lavorazione del legno. Ho degli amici che si occupano di queste cose e credo che inizierò a lavorare nella loro impresa".

"C'è gente che finisce in carcere a 20 anni. Io, invece, quando sono arrivato avevo 41 anni. Ciò fa molta differenza. Senza dubbio viviamo in un mondo terribile. Ora ci sono gli smartphone... dovrò imparare a usarne uno. Purtroppo qui non organizzano corsi di informatica", dice Viktor Zaporozhkij, classe 1954.

La colonia penale si trova negli Urali, a 615 chilometri da Ekaterinburg, nel villaggio di Lozvinskij, un luogo sperduto nella taiga. In Russia sono quattro le colonie penali per i condannati all'ergastolo. Questa è considerata la migliore per le condizioni in cui vengono detenuti i prigionieri.

I condannati vivono in celle doppie o singole di sei metri per quattro. Trascorrono lì dentro 23 ore al giorno, e hanno diritto a trascorrere un'ora fuori dalla propria cella, all'interno di una sala scoperta, senza tetto. Dormono con la luce accesa e durante il giorno è proibito restare a letto. Possono leggere o scrivere. La doccia è consentita una volta alla settimana
Ogni mattina le guardie leggono a voce alta il crimine per il quale sono stati condannati. La sentenza è appesa alle porte delle celle. Il capo della colonia penale, Subshan Dadashov, ricopre quest'incarico da 30 anni. Parla con franchezza e dice di conoscere uno a uno i detenuti, i quali possono comunicare con la propria famiglia, ricevere pacchi e lavorare nella fattoria del carcere.

di Fiodor Telkov e Denis Tarasov

La Danimarca approva la legge per la confisca dei beni ai migranti. Inquietante che avvenga nella Giornota della Memoria

La Stampa
Al via le controverse norme sui richiedenti asilo, compresa la proposta di privarli di denaro e oggetti di valore oltre 1.300 euro «per contribuire alle spese di mantenimento e alloggio»


Il Parlamento della Danimarca ha approvato il contestato progetto di legge che mira a scoraggiare i rifugiati dal chiedere asilo e prevede, fra le varie misure, la confisca ai migranti di denaro e oggetti di valore per pagare le spese per il loro mantenimento nel Paese. Il pacchetto di misure è stato approvato con 81 voti a favore e 27 contrari.

La proposta del governo liberale di minoranza aveva l’appoggio dei tre alleati di centro-destra, nonché del Partito socialdemocratico, prima forza dell’opposizione, il che consentiva di arrivare a quasi i tre quarti dell’aula. Una trentina le misure contenute nel pacchetto, che fin dalla sua presentazione a novembre è stato travolto dalle polemiche sia a livello nazionale che internazionale.

Per questo il governo ha cambiato due volte la parte del testo relativa alle confische, pratica che è già impiegata in Svizzera e negli Laender tedeschi di Baviera e Baden-Württenberg. Nella versione finale del testo, sono esclusi dalla possibilità di confisca gli oggetti “di valore affettivo speciale” ed è stato triplicato a 10mila corone danesi (pari a circa 1.340 euro) il valore minimo di denaro e beni a partire dal quale è possibile sequestrare (inizialmente il tetto minimo era stato fissato a 3mila corone).

A livello nazionale il progetto è stato criticato da formazioni di sinistra, ma anche all’interno del partito liberale (che ha perso l’appoggio di un eurodeputato) e di quello socialdemocratico (di cui tre parlamentari avevano annunciato che avrebbero votato contro).

A livello internazionale si è unita alle critiche l’organizzazione Amnesty International, che si è anche scagliata contro le misure per rendere più difficili i ricongiungimenti familiari, che a suo parere potrebbero violare le convenzioni europee. Questo “rischio” è stato ammesso anche dalla ministra danese dell’Integrazione, Inger Støjberg, che ha difeso la scelta di cambiare le regole per i ricongiungimenti sottolineando che è una modalità per ridurre il flusso migratorio a cui hanno già fatto ricorso altri Paesi.

La Commissione europea ha fatto sapere che la confisca dei beni ai richiedenti asilo ha l’obbligo di rispettare le normative europee anche se mantiene il suo opt-out rispetto all’Ue per il settore di Giustizia e Affari interni.

La Danimarca, che a inizio anno ha introdotto controlli provvisori alle frontiere, nel 2015 ha ricevuto 21mila richiedenti asilo, un terzo in più del 2014, e meno rispetto al resto dei Paesi scandinavi, soprattutto la Svezia, che ha accolto 163mila richiedenti asilo.

Giornata della Memoria nel ricordo del 27 gennaio 1945 giorno della liberazione di Auschwitz

Blog Diritti Umani - Human Rights


La data del 27 gennaio non è certo casuale, e il Giorno della Memoria si celebra da 16 anni in Italia il 27 gennaio, perchè nel 1945 proprio in quel giorno le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. 
Da quel giorno per la prima volta, varcata la scritta d'ingresso "Arbeit macht frei" (il lavoro rende liberi) si venne a conoscenza di quanto era accaduto e del dramma di quello sterminio.


martedì 26 gennaio 2016

Yemen. ‘Catastrofe umanitaria per i bombardamenti sauditi’. Armi vendute dall’Italia

Notizie Geopolitiche
“Catastrofe umanitaria” causata da “attacchi sproporzionati di zone densamente popolate” da parte delle forze aeree della coalizione saudita. Sono queste le parole con cui le Nazioni Unite hanno parlato dei bombardamenti della coalizione saudita sullo Yemen. 


Lo stesso Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha esplicitamente condannato i bombardamenti aerei sauditi su diversi ospedali e strutture sanitarie e l’Alto rappresentante per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha inviato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un rapporto che documenta “fondate accuse di violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani”. 

Anche Amnesty International ha chiesto alle Nazioni Unite di aprire un’inchiesta sui possibili “crimini di guerra” attuati da tutte le parti in conflitto.
Secondo Rete italiana per il disarmo, un’organizzazione che, tra l’altro, analizza i dati relativi alle esportazioni di armi e armamenti dall’Italia, per questi bombardamenti sarebbero state utilizzate bombe che vendute all’Arabia Saudita dall’Italia. Dopo il “caso” delle armi prodotte in Italia e finite in dotazione a navi da guerra della Birmania nonostante l’embargo dell’Unione europea e il divieto di vendere armi a paesi in guerra e dopo quello della vendita di armi all’India, impegnata in un conflitto decennale con il Pakistan, anche questa vicenda non poteva non finire in Parlamento: a chiedere chiarimenti in proposito è stato il deputato Mauro Pili che ha pubblicato sul web immagini del carico partito dall’aeroporto di Cagliari Elmas diretto alla base della Royal Saudi Air Force di Taif. Secondo Pili, si tratta di bombe prodotte dalla Rwm Italia. Il carico è stato imbarcato su un cargo Boeing 747 della compagnia azera Silk Way.
In Italia, la legge 185/90 sulle esportazioni di materiali militari, vieta espressamente di esportare armi a paesi in guerra. Nonostante da mesi l’Arabia Saudita continui a bombardare lo Yemen, causando migliaia di vittime anche tra i civili, ad oggi non esiste alcun mandato internazionale che autorizzi queste “missioni di pace”, ammesso che bombardare da un aereo possa essere considerata tale. Né è mai stata ufficialmente dichiarata guerra. Semplicemente l’Arabia Saudita, insieme con gli altri paesi che hanno aderito alla sua “mission” (Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar ed Egitto), continuano a bombardare un paese straniero. E, cosa che rende tutto ben più grave, lo fa utilizzando le bombe prodotte in un paese, l’Italia, che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11 della Costituzione).
Bombardamenti, quelli effettuati dall’Arabia Saudita, che hanno causato gravi danni: secondo i dati riportati dall’Onu sarebbero oltre seimila i morti. E di questi circa la metà sarebbero civili. Numeri che uniti agli oltre 20mila feriti, ai milioni di sfollati, e alla popolazione ridotta alla fame giustificano gli inviti a sospendere questa guerra non dichiarata. Inviti però fino ad ora non ascoltati: l’Arabia Saudita continua a bombardare lo Yemen. L’ultima spiegazione fornita dal ministro Pinotti che, in realtà, “le bombe non sono italiane”, ma solo di passaggio in quanto prodotte in altri paesi non sembra molto credibile. A seguito di una visura camerale, alcuni parlamentari hanno scoperto che a produrre queste bombe è una società italiana di proprietà della tedesca Rheinmetall, ma con sede a Ghedi, in provincia di Brescia, e a Domusnovas, in Sardegna.
Evasive, finora, le risposte fornite da altri membri dell’esecutivo.

di C. Alessandro Mauceri

«Io sono arrivato in barca»: una campagna australiana per i rifugiati

Left
«Io sono arrivato su una barca». Un messaggio chiaro e diretto rivolto agli australiani, che anche dalle loro parti la retorica anti-rifugiato ha fatto molti adepti ed aperto molte ferite. I came by boat è una campagna lanciata lo scorso novembre che cerca di spiegare nel modo più semplice possibile come mai i rifugiati e gli immigrati non sono un pericolo. Specie in un Paese che, aborigeni esclusi, è fatto esclusivamente da persone i cui antenati sono arrivati in barca.


Negli anni appena passati è capitato in più di un’occasione che navi e barche piene di rifugiati venissero respinte in mare dalla marina australiana o venissero spedite in Malesia e Indonesia. Anche nel lungo tratto di mare che separa alcune isole australiane dall’Indonesia sono morti in tanti.

La campagna è semplice, come spiega la promotrice Blanka Dudas, si fotografano persone che sono davvero arrivate in barca, come rifugiati, e che sono arrivati al successo o alla normalità: un chirurgo ortopedico iracheno, una dentista di origine vietnamita e una afghana che lavora nelle associazioni di advocacy per rifugiati. Tre storie diverse, come quella di Blank Dudas, rifugiata bosniaca, e art-director che ha ideato la campagna. Storie eroiche e normali di persone che hanno rischiato la vita per fuggire da guerra o persecuzione politica e che si sono integrate nel migliore dei modi. Il gruppo promotore della campagna, oltre a fare advocacy fa anche formazione a immigrati e rifugiati e in queste settimane ha raccolto i fondi per produrre altri manifesti (una quindicina di persone diverse) e comprare gli spazi pubblicitari dove affiggerli in tutta l’Australia. Una bella idea per un problema serio. In Europa e anche in Australia.

Sequestro dei beni ai rifugiati. La Danimarca vota oggi la vergognosa riforma

Euro News
La confisca dei beni ai rifugiati per pagare le spese di soggiorno, l’allungamento da 1 a 3 anni per il ricongiungimento familiare.
Sono le due misure per così dire faro della riforma del diritto d’asilo che la Danimarca vota oggi, a discapito del coro di critiche da parte del Consiglio dei Diritti dell’Uomo e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Il Parlamento Danese
Il Ministro danese all’Immigrazione Inger Støjberg, un falco del governo di Lars Løkke Rasmussen, ha difeso il testo al Parlamento Europeo:

“Riteniamo giusto e ragionevole che quei richiedenti asilo che portino con sè beni a sufficienza debbano coprire i costi di vitto e alloggio durante il processo per la richiesta d’asilo” ha detto.

Ma come fare la differenza tra i beni di valore puramente economico e quelli carichi di un valore affettivo? Su questo punto focalizzato le sue critiche al progetto l’eurodeputata olandese Sophia in`t Veld, del partito D66, membro dell’Alde, l’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa:

“E come considererete i beni di valore sentimentale? Qualcuno che viaggia per migliaia di chilometri a rischio della propria vita probabilmente soltanto con uno zaino in spalla, non credete che dia un enorme valore sentimentale ad ogni singolo oggetto? Diversamente non lo avrebbero portato con sè” ha detto.

Il voto sulla riforma è assicurato per l’esecutivo del liberale Rasmussen alleato del partito popolare danese anti-immigrazione e sostenuto da un accordo con i social-democratici.

“Sequestrare i gioielli di un rifugiato ha un forte impatto simbolico” dice l’ex-Premier liberale danese Birthe Rønn Hornbech. “Il Primo Ministro dice che c‘è un malinteso. No, non c‘è nessun malinteso. Basta leggere il testo o ascoltare cosa dicono i Ministri. C‘è davvero da pensare ai campi di concentramento nazisti” denuncia.

Il testo prevede che la polizia possa perquisire i richiedenti asilo e confiscare il denaro liquido eccedente le 10.000 corone, equivalenti a circa 1.340 euro. Anche i singoli oggetti il cui valore superi questa cifra saranno oggetto di sequestro, esclusi i cosiddetti oggetti di valore affettivo.

Di Andrea S. Neri

Obama vieta isolamento in carcere per giovani con reati minori. Corte Suprema no ergastolo per i minori

La Repubblica
E la Corte suprema stabilisce la retroattività della legge che proibisce l'ergastolo per i minorenni

Washington - In un intervento apparso sul Washington Post, il presidente Usa Barack Obama ha annunciato una serie di azioni esecutive che vietano nelle prigioni federali di punire con il regime di isolamento i giovani detenuti che hanno commesso reati minori. Le nuove norme mirano anche ad espandere il trattamento per i prigionieri mentalmente malati. Secondo Obama, la prassi dell'isolamento è usata eccessivamente e comporta devastanti conseguenze psicologiche che minano anche il reintegro nella societa'.

La riforma, che dovrebbe interessare circa 10 mila di carcerati, arriva sei mesi dopo che Obama, come parte di una più ampia riforma della giustizia penale, aveva ordinato al ministro della giustizia di studiare come è usato l'isolamento dal sistema penitenziario. "Come possiamo sottoporre i prigionieri ad un isolamento non necessario, conoscendo i suoi effetti, e poi aspettarci che tornino nelle nostre comunità come persone integre?", scrive Obama. "Questo non ci rende più sicuri. E" un affronto alla nostra comune umanita'", aggiunge. L'iniziativa viene vista come un altro tentativo del primo presidente afro-americano di affrontare delicate questioni legate alla razza e alla giustizia criminale prima di concludere il suo secondo mandato. Spero, ha spiegato, che tali riforme a livello federale servano come modello agli Stati per ripensare le loro norme in materia. Un crescente numero di studi dimostra una connessione tra prigionieri che hanno vissuto l'esperienza dell'isolamento e tassi più alti di recidività.

Intanto c'è stata oggi un'importante decisione della Corte costituzionale americana in materia di detenzione dei minori. Può applicarsi retroattivamente la sentenza della corte suprema Usa del 2012 che vieta come anti costituzionale il carcere a vita per un minore: lo ha deciso la stessa corte, accogliendo il ricorso di un detenuto che aveva 17 anni quando uccise un vice sceriffo in Lousiana. La decisione apre una speranza a numerosi prigionieri condannati all'ergastolo prima del 2012 per un crimine commesso quando non avevano ancora la maggiore età

lunedì 25 gennaio 2016

Migranti, il viaggio drammatico tra gelo e neve a meno 20 gradi. Bambini a rischio

QN
Una marcia tra la neve, anche a 20 gradi sotto zero, nella rotta balcanica della disperazione. In Serbia nei giorni scorsi sono entrati dalla Macedonia migliaia di profughi, in gran parte famiglie con bambini provenienti dalla Siria, ma anche da Iraq e Afghanistan. 
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Come ha detto Mirjana Milenkovski, dell'Ufficio Unhcr a Belgrado, solo una cinquantina sono rimasti a riposare nel centro di accoglienza di Presevo, mentre tutti gli altri hanno proseguito il viaggio verso Sid, al confine con la Croazia. 

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I bambini in viaggio lungo la rotta dei rifugiati - lancia l'allarme Save the Children - sono a rischio di ipotermia, polmonite e altre malattie respiratorie potenzialmente mortali. Le foto scattate dalle agenzie internazionali sono straziani. Le madri, esauste, non sanno come tenere i loro bambini al caldo e all'asciutto e scivolano portandoli in braccio sulle strade ghiacciate. I bimbi, avvolti dalle coperte, tengono stretti i loro peluche. Gli adulti portano zaini e buste di plastica, sfidando il vento gelido dell'Est Europa

I circuiti dei migranti. Le frontiere calde ...

LIMES
Carta inedita per Limesonline sulle frontiere calde delle migrazioni

Oltre il 3% della popolazione mondiale si sposta, per un totale di 215 milioni di migranti. La maggior parte dei migranti sceglie come destinazione paesi sviluppati o in cerca di manodopera (Stati Uniti, Russia, Germania e Arabia Saudita). 

Tra i primi paesi sia di arrivo che di partenza figurano Regno Unito e Russia. Ci si sposta soprattutto da un paese a uno confinante. A eccezione della rotta Turchia-Germania e India-Emirati Arabi Uniti, i primi dieci itinerari dei migranti coinvolgono solo Stati limitrofi. 

I rifugiati sono 19,5 milioni, il 9% della popolazione degli emigrati. Considerando anche gli sfollati a causa delle guerre (38,2 milioni), il numero di persone in tutto il mondo costrette nel 2014 a spostarsi per via di eventi bellici arriva a 57,7 milioni. 

Si tratta della crisi umanitaria più consistente dai tempi della seconda guerra mondiale. 

La Siria è l’origine del maggior numero di rifugiati, con 4.086.760 profughi all’estero e circa 6,5 milioni di sfollati entro i

domenica 24 gennaio 2016

Giappone maglia nera accoglienza: 99% richieste asilo respinte. Accolti solo 27 rifugiati nel 2015

Askanews
Roma - Il Giappone ha accolto lo scorso anno solo 27 rifugiati, respingendo più del 99 per cento delle richieste di asilo. L'hanno riferito oggi le organizzazioni per i diritti umani.

Il ministero della Giustizia ha annunciato di aver ricevuto nel 2015 qualcosa come 7.586 richieste s'asilo. Solo 27 sono state accolte. Il dato dello scorso anno rappresenta comunque un record: nel 2014 erano state accolte 11 richieste, nel 2013 solo sei.

L'Associazione giapponese per i rifugiati ha detto che, nonostante i progressi degli ultimi anni, bisognerebbe fare di più. "Io spero che il Giappone discuta con l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e che con le organizzazioni non governative e prenda in considerazione misure per certificare rifugiati in linea con gli standard internazionali", ha detto l'associazione.

L'Unhcr ha annunciato che il Giappone ospita 2.419 rifugiati. Gli Stati uniti ne ospitano 267.222 e la Turchia 1,8 milioni. 

14 milioni di persone a rischio fame in Africa. Il programma DREAM e la lotta alla malnutrizione

DREAM - Comunità di Sant'Egidio
Cresce la preoccupazione per la sicurezza alimentare in Africa australe, dove secondo un allarmante rapporto del WFP si stima che circa 14 milioni di persone siano a rischio fame, a causa della prolungata siccità che ha colpito la regione. 

Sono gli effetti a lungo termine del fenomeno climatico El nino, che provoca un riscaldamento della temperatura superficiale dell’oceano nel Pacifico orientale e centrale ogni 5 anni circa, generando effetti a catena in tutto il mondo. Questa volta gli effetti sono stati particolarmente forti, tanto da causare già dallo scorso anno una riduzione del raccolto. 

Adesso è il periodo della semina, ma le piogge sono state scarsissime. In queste aree, il periodo tra gennaio e marzo è conosciuto come la stagione magra, cioè prima che arrivi il nuovo raccolto di aprile. Le zone più colpite dalla siccità sono il Malawi, dove 2,8 milioni di persone sono a rischio fame, il Madagascar, lo Zimbabwe, il Mozambico e lo Swaziland. I prezzi dei principali prodotti sono saliti a causa della scarsità dell’ultimo raccolto, il prezzo del mais in Malawi è salito del 73% rispetto alla media degli ultimi tre anni. Il WFP chiama all’azione governi, partner internazionali e tutte le organizzazioni coinvolte, al fine di essere preparati ad estendere i programmi di assistenza e a supportare la popolazione in questo momento critico.

Il programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio è attivo da 15 anni nella lotta alla malnutrizione nei dieci paesi africani in cui è presente; negli anni si è creata una rete di supporto in contesti urbani e rurali molto diffusa ed efficace che ha permesso in intervenire rapidamente in momenti di crisi alimentare.

Il più recente è stato il caso del Malawi: a febbraio 2015 la Comunità di Sant’Egidio ha portato aiuti alimentari alle zone colpite da l’alluvione; gli aiuti hanno interessato più di 5000 famiglie nelle zone di Mangochi, Balaka, Zomba, Phalombe, Thyolo e Blantyre.

Il programma DREAM inoltre gestisce tre centri nutrizionali in Africa per il contrasto alla malnutrizione infantile fornendo assistenza nutrizionale quotidiana a circa 3.000 bambini, assicurando il loro sviluppo psicofisico.

Inoltre, la Comunità di Sant’Egidio supporta centri di cura per 130.000 persone con HIV nel continente, di cui circa il 20% necessita di supporto nutrizionale a causa delle condizioni cliniche e di povertà.

Il recente rapporto del WFP è preoccupante poiché disegna uno scenario critico in un contesto come quello africano già molto colpito dall’insicurezza alimentare. I fondi per la lotta alla malnutrizione sono invece andati progressivamente calando nonostante l’obiettivo “Zero Hunger” faccia parte dei 17 obiettivi globali che ci si prefigge di raggiungere entro il 2030.

Italia - Trapani, è arrivata al porto una nave che ha salvato 720 migranti. Un morto a bordo

Sicilia Informazioni

È arrivata questa mattina nel porto a Trapani una nave che ha soccorso oltre 720 migranti. Ci sarebbe anche un cadavere a  bordo.

Siria, nessuno farebbe crescere i figli in un posto simile

Famiglia Cristiana
Il 2016 si è aperto con le immagini di Madaya, città a nord di Damasco, circondata dall’ esercito governativo e dai libanesi di Hezbollah, e dei suoi abitanti costretti a mangiare erba e insetti, gatti e topi. L’ Onu dice da tempo di non essere più in grado di contare i cadaveri. Città arroccate, olio bollente lanciato dalle torri, bambini e famiglie malnutriti, corpi flagellati dalle malattie. Le organizzazioni umanitarie: cessate il fuoco e fine immediata degli assedi.


Sarà studiato sui libri di storia come un conflitto durato più a lungo della Prima guerra mondiale. Mentre i colloqui di pace non sembrano decollare, la guerra in Siria entrerà a marzo nel suo sesto anno. «Basta», dice l’ appello che 120 organizzazioni umanitarie e agenzie umanitarie delle Nazioni Unite (Caritas Internationalis, Oxfam, Unicef) hanno diffuso ieri, rivolgendosi a governi e cittadini di tutto il mondo. Sembra la fotocopia di un appello analogo lanciato tre anni fa. Però, alle porte del sesto anno di guerra, le sofferenze si acuiscono. L’ Onu dice da tempo di non essere più in grado di contare i cadaveri, mentre per l’ Osservatorio siriano per i diritti umani, ong che ha sede a Londra, sono morte solo nel 2015 più di 55mila persone, tra cui 2500 bambini, che porterebbero il bilancio delle vittime a 260mila dall’ inizio del conflitto.

Gli ultimi di cui si ha notizia sono 30 civili, tra cui diversi minori, uccisi ieri dai raid russi compiuti nella provincia orientale di Deir Ezzor. Intanto, varie fonti danno per imminente il rinvio dei colloqui di pace tra il governo di Damasco e l’ opposizione. Fissati per il 25 gennaio, sono il primo passo del piano approvato dal Consiglio di sicurezza dell’ Onu il 18 dicembre per mettere fine al conflitto siriano attraverso la nomina di un governo di transizione entro sei mesi ed elezioni entro diciotto. Il futuro dell’ attuale presidente Bashar Al Assad e chi coinvolgere tra le diverse fazioni rivali che gli si oppongono sono i (principali) nodi del contendere. A causa della guerra 4.600.000 profughi hanno lasciato la Siria (la maggior parte sono in Libano, Turchia, Giordania, Egitto, Iraq, non in Europa), mentre 12 milioni di sfollati sono scappati dalla propria casa, rifugiandosi in altre zone del paese. Una tenda malandata, qualche vestito steso ad asciugare. Intorno fango e gelo, presto arriverà anche la neve. Questa è un’ immagine simbolo del campo di Bab al-Salam, nel nord della Siria, dove le infrastrutture sono quasi inesistenti e le condizioni igieniche disastrose.

Chi vorrebbe far crescere i propri figli in un posto simile? Solo una minaccia ancora peggiore - morire sotto le bombe o vivere sotto una banda di fanatici criminali - può spingere una famiglia ad accettare simili condizioni. Dal giugno 2014 Andrea Riccardi e la Comunità di Sant’ Egidio rilanciano l’ appello per la città di Aleppo, la più popolosa città della Siria, divisa tra quartieri in mano alle diverse milizie e sottoposta al ricatto dell’ acqua. Per l’ Unicef, 13 milioni e mezzo di persone all’ interno della Siria hanno bisogno di assistenza umanitaria. Aggiunge il portavoce Andrea Iacomini: «Vent’ anni fa, cessava a Sarajevo uno dei più lunghi assedi della storia. Non è finito, ha semplicemente cambiato nome: Madaya, Aleppo, Yarmouk, Foah, Deir Ezzor, Kefraya. Assedio nell’ immaginario collettivo fa pensare a qualcosa di medievale. Città arroccate, olio bollente lanciato dalle torri, lance, frecce e spade. L’ assedio contemporaneo di queste città sono mesi senza cibo e quasi senza acqua, bambini con le loro famiglie malnutriti, affamati, con i corpi flagellati dalle malattie, ridotti a cibarsi di carcasse di animali, cani e gatti, oppure foglie».

I siriani sotto assedio muoiono di fame. Il 2016 si è aperto con le immagini degli abitanti di Madaya, città a nord di Damasco circondata dall’ esercito governativo e dai libanesi di Hezbollah, costretti a mangiare erba e insetti. In quei giorni, per Medici senza frontiere, almeno 28 persone sono morte di fame, mentre 42mila civili non hanno di che sopravvivere. Il 9 gennaio, finalmente, un accordo tra le fazioni di guerra ha permesso alle agenzie umanitarie di consegnare scorte di viveri a Madaya e in altre due città della provincia di Idlib (Foah e Kefraya), dove i ribelli, tra cui il Fronte al Nusra legato ad al Qaeda, impedivano a 12.500 persone di ricevere aiuti alimentari. «Ali, un ragazzo di 16 anni gravemente malnutrito, è morto nel centro medico di Madaya di fronte ai nostri occhi», hanno raccontato gli operatori entrati con l’ Unicef.

Per le Nazioni Unite ci sono altre 14 “Madaya” sparse in tutta la Siria, con 400mila siriani assediati. Il 26 dicembre, le forze lealiste di Assad hanno chiuso l’ ultima strada di accesso a Moadamiyah, città a sud di Damasco in mano ai ribelli, che già nel 2013 era stata assediata per un anno con la morte di sedici persone per fame e mancanza di medicine. La morte per inedia si è ripetuta: il 10 gennaio scorso è spirato un bambino di otto mesi, mentre tra posti di blocco e malnutrizione la popolazione vive distrutta e terrorizzata. Sempre a dicembre, il governo di Damasco e i suoi alleati hanno messo sotto assedio più di 181mila persone alla periferia di Damasco e a Zabadani, verso il confine libanese, mentre l’ Isis prova a prendere i 200mila abitanti di Deir Ezzor con la fame. L’ appello lanciato il 21 gennaio ha richieste molto concrete per rispondere alle sofferenze della popolazione civile.

Le 120 organizzazioni chiedono: il libero accesso in Siria a tutte le realtà umanitarie che portano aiuti immediati a chi ne ha bisogno; tregue umanitarie e incondizionate, un cessate il fuoco monitorato per consentire di portare cibo e assistenza ai civili, vaccinazioni e altre campagne sanitarie e di riportare a scuola i bambini; la fine degli attacchi alle infrastrutture civili; libertà di circolazione per tutti i civili e revoca immediata di tutti gli assedi messi in atto da tutte le parti. E, soprattutto, di agire subito.

Stefano Pasta

sabato 23 gennaio 2016

Birmania: rilasciati 52 prigionieri politici

Reuters
Sono oltre 52 i prigionieri politici birmani rilasciati oggi nell'ambito di un'amnistia concessa dalle autorità a 101 prigionieri, di cui molti criminali comuni. Lo specifica l'Associazione per l'assistenza ai prigionieri politici (Aapp), che dalla Tailandia monitora da anni le condizioni dei detenuti di coscienza in Birmania. Dal 2011, quando è iniziato il processo di riforme del governo Thein Sein, sono 1.300 i prigionieri politici rilasciati in Birmania.
Secondo l'Aapp, nelle carceri ci sono ancora un'ottantina di detenuti di coscienza, mentre altri 408 sono in attesa del processo. A fine mese, il nuovo Parlamento birmano si riunirà per iniziare le procedure per l'elezione del prossimo presidente, che entrerà in carica a marzo. Le elezioni dello scorso novembre hanno visto un trionfo per la "Lega nazionale per la democrazia" di Aung San Suu Kyi, che pur non potendo diventare presidente perché glielo vieta la Costituzione, ha i numeri per eleggere a capo dello stato un rappresentante del suo partito.

US: Justice of the Supreme Court Breyer renews call to review constitutionality of death penalty

ABA Journal
Justice Stephen G. Breyer has used an Alabama capital case to renew his call to examine the constitutionality of the death penalty.
The U.S. Supreme Court refused to grant a stay of execution for the inmate, Chistopher Eugene Brooks, drawing a dissent from Breyer, report BuzzFeed News, the Montgomery Advertiser and Al.com.

Brooks was executed Thursday evening.

Breyer said Alabama allows jurors to issue an "advisory verdict" in death penalty cases using a system that is much like the death penalty scheme struck down on Jan. 12 in Hurst v. Florida.

"The unfairness inherent in treating this case differently from others which used similarly unconstitutional procedures only underscores the need to reconsider the validity of capital punishment under the Eighth Amendment," Breyer wrote.

In a concurrence to the cert denial, Justices Sonia Sotomayor and Ruth Bader Ginsburg also pointed to possible problems with Alabama's capital sentencing scheme, but said they believed procedural obstacles would have prevented the court from granting relief.

Breyer dissented a day before the U.S. Supreme Court was scheduled to consider a cert petition raising the Eighth Amendment issue in the case of Shonda Walter, BuzzFeed News reports.

"The death penalty has outlived any conceivable use," Walter's cert petition asserts. "It is imperfect in application, haphazard in result, and of negligible utility."

If the court is considering taking up the case, it probably won't act before its next conference on Feb. 19, BuzzFeed reports.

At that time, a Louisiana case also raising the constitutional issue will likely be before the court.

Sud Sudan, Onu denuncia gravi violazioni diritti umani. Violenze sessuali e bambini soldato

Agenzia Nova
New York - Gravi abusi e violazioni dei diritti umani sono stati commessi in Sud Sudan da tutte le parti in conflitto. E’ quanto emerge da un rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, secondo cui nel paese sono state compiute esecuzioni extra-giudiziali, violenze sessuali, reclutamenti forzati e attacchi indiscriminati contro i civili a partire da dicembre 2013. 


Nel paese, prosegue il rapporto, stilato con la collaborazione della missione Onu in Somalia (Unmiss), vi sono solo pochi posti sicuri, in quanto la parti in conflitto “hanno attaccato di proposito anche ospedali e basi Onu”. 

Dalla metà del 2015, si legge nello studio, gli attacchi ai civili sono aumentati, soprattutto nello Stato di Unità, nel nord del paese, “dove numerosi villaggi sono stati rasi al suolo e interi raccolti rasi al suolo”. 

Secondo fonti citate dal rapporto, gli attacchi sarebbero attribuibili al Movimento di liberazione del popolo del Sudan (Spla), che punta a privare la popolazione locale dei propri mezzi di sostentamento al fine di forzarne l'esodo. Il rapporto documenta inoltre almeno 280 casi di violenze sessuali e un aumento esponenziale del reclutamento di minori nel mese di dicembre 2015

Fmi: i rifugiati in Europa faranno crescere l’economia dei Paesi coinvolti. Opportunità da cogliere

Il Sole 24 Ore
Francoforte – L'ondata di rifugiati dalla Siria e da altri Paesi del Medio oriente e dell'Africa può avere un modesto impatto positivo sull'economia europea, ma nel lungo periodo i suoi effetti dipenderanno dalla rapidità dell'integrazione dei nuovi arrivati nel mercato del lavoro, secondo uno studio del Fondo monetario pubblicato oggi. 

Christine Lagarde
L'Fmi, il cui direttore Christine Lagarde affronta il problema dei rifugiati questa mattina in una discussione al World Economic Forum di Davos, sostiene anche che ai Paesi più direttamente coinvolti nell'accoglienza dei rifugiati vada concessa una certa flessibilità nei vincoli europei di bilancio. Questa flessibilità, che secondo il Fondo esiste già nel Patto di stabilità per i Paesi dell'eurozona, sarà probabilmente temporanea. È anche importante, afferma lo studio, che le spese sostenute per i rifugiati vengano identificate in modo trasparente nei bilanci degli Stati. [...]

Nel breve periodo, secondo lo studio (fra i cui autori ci sono i responsabili delle missioni dell'Fmi in Germania, Enrica Detragiache, e in Turchia, Antonio Spilimbergo), la domanda aggregata riceverà un impulso dall'aumento della spesa pubblica per le abitazioni, il cibo, i servizi sanitari e l'istruzione forniti ai rifugiati. L'aumento della popolazione nell'Europa a 28 dovrebbe collocarsi fra lo 0,15% e lo 0,17% del totale fra il 2015 e il 2017, e ridursi progressivamente negli anni successivi. L'impatto sul prodotto interno lordo, secondo i calcoli dello staff dell'istituzione di Washington, è stato dello 0,05% l'anno scorso e sarà dello 0,09% quest'anno e dello 0,13% l'anno prossimo. Tuttavia, nel medio periodo gli effetti saranno più pronunciati nei Paesi nei quali i rifugiati finiranno per stabilirsi in numero maggiore: nel 2020, l'aumento del pil in Austria, Svezia e Germania arriverà fino all'1,1 percento. Dato che i redditi dei nuovi arrivati saranno comunque inferiori a quelli della popolazione nativa, l'incremento del reddito pro capite sarà molto più contenuto.

Nel medio periodo, l'impatto economico dei rifugiati dipenderà in modo cruciale, secondo l'Fmi, dalla rapidità con cui verranno integrati nel mondo del lavoro: al momento anche le statistiche sul loro grado di istruzione e preparazione professionale, oltre che sulla conoscenza delle lingue europee, sono incomplete. Il Fondo monetario è convinto che questa integrazione dipenderà dall'attuazione di un pacchetto di politiche attive per il mercato del lavoro. Più importante di tutto, è che ai rifugiati venga consentito di cominciare a lavorare il più presto possibile, anche con l'introduzione di sussidi a favore dei datori di lavoro, per evitare che cadano nella “trappola dell'inattività” e che la loro occupazione sia impedita dall'applicazione di salari troppo alti in relazione alla loro produttività. 

Lo studio sfata anche una delle convinzioni diffuse soprattutto dai politici xenofobi o populisti: l'esperienza del passato insegna, sostiene l'Fmi, che l'impatto sull'occupazione e i salari della forza lavoro nativa è molto piccolo. Il Fondo suggerisce anche che insieme alle politiche per il mercato del lavoro, i Paesi europei varino una serie di misure sull'abitazione e l'istruzione.

Alessandro Merli

venerdì 22 gennaio 2016

Libano: Sant’Egidio, Ecumenici e Valdesi a lavoro per portare 100 rifigiati in Italia entro gennaio

ONUItalia
New York – Portare 100 rifugiati altamente vulnerabili, come donne sole con bambini, potenziali vittime della tratta di esseri umani, anziani, disabili o persone affette da malattie gravi, da un campo in Libano in l’Italia entro fine gennaio o i primi di febbraio al massimo. 


E l’obiettivo della Comunità di Sant’Egidio, degli evangelici e dei valdesi, una cui rappresentanza è in Libano questa settimana per chiarire gli ultimi dettagli del progetto firmato con il Ministero degli Affari Esteri italiano a dicembre. Grazie all’accordo, infatti, mille rifugiati nei campi in Libano, Marocco e Etiopia potranno raggiungere l’Italia grazie a dei “visti umanitari”. Questo, composto dai rifugiati “più vulnerabili”, sarà soltanto il primo gruppo a partire.

La selezione avviene con il sostegno di gruppi che operano sul terreno, associazioni come Papa Giovanni XXIII, che lavora nei campi profughi al confine siro-libanese. Una volta scelti, i candidati sono portati al consolato italiano a Beirut: “I controlli saranno scrupolosi e verranno prese anche le impronte digitali”, aveva dichiarato il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, assicurando “massima sicurezza”.

Impagliazzo ha sottolineato come, grazie all’apertura di questi corridoi umanitari,“chi ne ha diritto potrà finalmente entrare nel nostro Paese evitando i cosiddetti viaggi della morte”.

L’agenzia ONU per i rifugiati ha ripetutamente manifestato il proprio sostegno a tali iniziative: “Ne siamo molto, molto felici e ci auguriamo che altri paesi decideranno di seguire questo esempio. Solo questi tipi di programmi possono rappresentare un incentivo a non rivolgersi ai trafficanti di esseri umani”, ha detto Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’UNHCR, a ABC News. (@annaaserafini)