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martedì 22 marzo 2016

L'inferno del pasung: i malati mentali in Indonesia vengono tenuti in catene

Il Messaggero
Sfruttamento, abusi fisici e psicologici, totale assenza dei più elementari diritti: è il quadro terribile che emerge da un rapporto, curato da Human Rights Watch, che illustra lo stato in cui versano migliaia di malati indonesiani, affetti da disabilità mentale e rinchiusi – è il caso di dire – nelle strutture sanitarie preposte alla loro assistenza, trasformatesi in vere e proprie carceri.


Si parla approssimativamente di 57mila persone che subiscono o hanno subito un simile sfruttamento, ma il numero potrebbe essere più alto. In Indonesia viene definito “pasung” e, seppure messo al bando nel 1977, continua ad essere sistematicamente praticato, come documenta la denuncia dell’associazione umanitaria internazionale, da anni in prima fila contro le violazioni dei diritti umani nel mondo. Nel documento si parla di 175 persone recentemente “salvate” dal pasung e di altre 200 recuperate in anni recenti. Ma il rapporto si estende anche alle spaventose condizioni in cui sono costretti a vegetare i pazienti di pseudo strutture sanitarie e di assistenza. Pare che ve ne siano solo 48 in tutto il paese (abitato da 250 milioni di persone), dove per giunta l’infermità mentale è considerata frutto di maledizioni o possessioni da parte di spiriti maligni.

Yeni Rosa Damayanti, a capo dell’associazione di salute mentale “Perhimpunan Jiwa Sehat”, ricorre a un esempio molto efficace – riportato nel documento di Human Rights Watch – per dare un’idea di quanto sia diffusa la pratica del pasung: «Puoi lanciare una pietra ovunque, a Java, e colpirai qualcuno in pasung». Il caso più lungo di detenzione, tra quelli documentati, riguarda una donna, tenuta chiusa in una stanza per quasi 15 anni. Ismaya, invece, ha passato solo tre settimane in un centro di recupero. Racconta: «Mi hanno legato le mani con un guinzaglio e mi hanno incatenato le gambe. Ho provato a liberarmi. Più ci provavo, più mi tenevano legato. Non mi hanno mai lasciato. Non c’erano servizi. Anche se avessi urlato per andare in bagno, non me l’avrebbero permesso».

La maggioranza dei casi di pasung si registrano nelle più remote aree rurali, dove vivono famiglie con uno scarso livello di consapevolezza circa la disabilità mentale o con ridotte possibilità di accesso alle strutture di cura. In tutto il paese, circa il 90 per cento di coloro che necessiterebbero di questo tipo di assistenza non ha modo di ottenerla, vuoi per ignoranza, vuoi per povertà. «L’Indonesia ha un buon sistema sanitario» spiega Shantha Rau Barriga, che cura per Human Rights Watch i diritti dei disabili, «ma sfortunatamente l’assistenza per i malati di mente non è compresa».

Nel rapporto si legge anche della storia di Carika, 29 anni, tenuta rinchiusa quattro anni nella stalla dove la sua famiglia custodiva le capre, nel centro di Java, costretta a mangiare, dormire e defecare insieme alle bestie, pregando invano i suoi familiari di liberarla. Anche quando è riuscita a fuggire, però, ha subìto un periodo di reclusione in uno dei cosiddetti centri di assistenza, dove l’hanno sottoposta all’elettroshock. Queste pratiche sono di routine nelle strutture predisposte all’assistenza dei disabili. Il governo indonesiano ha promosso varie iniziative per combattere la pratica del pasung ma, denuncia Human Rights Watch, permane nel paese una scarsa consapevolezza su quello che dev’essere l’approccio adeguato con cui trattare situazioni così delicate; mancano, soprattutto, i luoghi adatti per prendersi cura di persone indifese e deboli. Le autorità parlano di circa 18mila individui che attualmente si trovano in queste condizioni disumane.
di Antonio Bonanata

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