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martedì 31 maggio 2016

Unhcr, migranti: nel Mediterraneo 880 morti in una settimana. "Rotta Libia-Italia letale"

La Repubblica
Diffusi i dati dell'Alto Commissariato Onu. Dall'inizio dell'anno i morti sono 2510, nello stesso periodo del 2015 erano 1855. La navigazione dal Nord Africa verso le coste italiane costata la vita a 2119 persone. Arrivati in Europa via mare in 203.981: tre quarti in prevalenza profughi siriani e afgani sbarcati in Grecia dalla Turchia prima dell'accordo tra Ankara e Ue, 46.714 migranti dall'Africa sub-sahariana giunti in Italia

Ginevra - L'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) ha diffuso nuovi dati relativi alle vite umane inghiottite dal Mediterraneo la scorsa settimana a seguito dei ripetuti naufragi dei barconi carichi di migranti. Il bilancio, secondo l'agenzia Onu, è più pesante delle circa 700 persone annegate sin qui accertate: sulla base di informazioni tratte dai colloqui con i sopravvissuti, l'Unhcr aggiorna a 880 il numero di quei morti.

Dall'inizio del 2016, le persone decedute nel tentativo di arrivare in Europa via mare dall'Africa o dalla Turchia sono 2510. Cifre che inducono il portavoce dell'Unhcr, William Splinder, a definire l'anno in corso "si stia rivelando particolarmente letale" per le rotta migratorie che passano dal Mediterraneo. Il paragone con il 2015 è immediato: nei primi cinque mesi dello scorso anno, le vittime delle migrazioni via mare erano 1855.

Quest'anno, prosegue il dossier Onu, si sono imbarcate per l'Europa 203.981 persone. Per circa tre quarti in prevalenza profughi siriani e afgani che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alla Grecia prima della fine di marzo, quando è entrato in vigore il controverso accordo Ue-Turchia che ha rallentato il flusso. Mentre 46.714 persone, soprattutto migranti dall'Africa sub-sahariana, costituiscono il flusso dalla Libia all'Italia, quasi lo stesso numero registrato l'anno scorso, come rilevato anche dal premier Matteo Renzi nella sua eNews.

Ma il dato sulla traversata dal Nord Africa all'Italia rivela quanto essa sia la più pericolosa: vi hanno perso la vita 2119 persone sulle 2510 totali. Una spiegazione, osserva l'Unhcr, risiede nel fatto che dalla Libia partono imbarcazioni quasi sempre sovraccariche, vi trovano posto a bordo anche più di 600 persone, situazione non riscontrabile sulla rotta Turchia-Grecia. Più delle condizioni del Mar di Sicilia, sarebbe dunque l'assenza di scrupoli e la volontà di lucrare al massimo dei trafficanti di esseri umani a rendere la navigazione precaria e spesso tragica.

Riguardo i tre naufragi noti da domenica scorsa, l'Unhcr ha appreso "dalle persone che sono arrivate ad Augusta in questo fine settimana, che altre 47 persone risultano disperse dopo che un`imbarcazione gonfiabile, partito dalla Libia con a bordo 125 persone, si è sgonfiata. Altre persone hanno riferito della scomparsa in mare di ulteriori otto persone che si trovavano su un'altra imbarcazione, e sono stati inoltre segnalati quattro morti a causa di un incendio divampato su ancora un'altra barca".

Secondo le informazioni raccolte, l'Unhcr al momento si ritiene che la maggior parte delle imbarcazioni provenienti dalla Libia sia partita dall'area di Sabratah, a ovest di Tripoli. I sopravvissuti hanno raccontato di centri di raccolta e smistamento di migranti attivi in vari luoghi lungo la rotta che dall'Africa occidentale porta alla Libia, in particolare in Niger. Centri dove gli esseri umani rimangono per diversi mesi prima di essere imbarcati per l'Europa.

Dalle testimonianze sono emersi molti racconti dei traumi subiti da donne violentate durante il viaggio o addirittura oggetto di traffico. "Alcune - spiega il portavoce Splinder - ci hanno raccontato di essere state ridotte in schiavitù sessuale in Libia". Si segnala anche un aumento negli arrivi di minori non accompagnati.

Al momento, l'Unhcr non riscontra evidenze di un cambio di rotta significativo da parte di siriani, afgani o iracheni rispetto all'itinerario turco-greco a favore di quello del Mediterraneo centrale. Dove nigeriani e gambiani restano prevalenti, mentre somali ed eritrei, più comunemente associati ai movimenti di rifugiati, costituiscono rispettivamente il 9 e l'8% del flusso.

Il portavoce dell'Unhcr conclude la disamina del fenomeno reiterando l'appello all'Ue perché stabilisca vie attraverso cui i rifugiati possano raggiungere l'Europa in modo legale, ed evidentemente più sicuro, definendo infine "vergognoso" che i Paesi dell'Unione abbiano proceduto al ricollocamento di meno di 2mila persone quando il piano annunciato lo scorso anno ne prevedeva 160mila.

Intanto l'Unione europea interviene per stigmatizzare i ritardi nella distribuzione dei migranti: "Il ritmo della ricollocazione deve accelerare o la Commissione farà scattare procedure di infrazione", ha detto la portavoce, Mina Andreeva. Per questo, continua, "abbiamo mandato lettere di avvertimento" ai governi e "se necessario, non ci vergogneremo di esercitare i nostri poteri come guardiani dei trattati". All'Italia intanto la Commissione chiede chiarimenti legali ed operativi sugli hotspot.

di Paolo Gallori

Tragedia migranti - Il volontario che culla il neonato annegato

Avvenire
"Se non vogliamo vedere immagini del genere dobbiamo smettere di provocarle": dietro queste parole c'è la ragione della scelta di Sea Watch, organizzazione umanitaria tedesca, di diffondere la foto di un piccolo migrante senza vita stretto tra le braccia di un soccorritore.
Il volontario Martin tiene tra le braccia il piccolo corpo del bambino appena trovato morto in mare
Di questo bambino non si sa ancora nulla. A differenza di Aylan Kurdi, il piccolo siriano ritratto la scorsa estate esanime sulla spiaggia turca di Bodrum, il nuovo possibile emblema della stagione dei viaggi della speranza appena cominciata non ha un nome. In realtà non se ne conosce neanche il sesso e non si è ancora del tutto certi della sorte toccata ai genitori. Di sicuro c'è che, nonostante il suo corpo sia stato recuperato venerdì scorso, l'operatore che lo ha trovato ha deciso di divulgare l'immagine solo oggi.

Nel fermo immagine tratto da un video girato da Christian Buettner per la tv Eikon Nord, c'è Martin - il volontario non ha voluto dare il suo cognome, ma si sa che è padre di tre figli e fa il terapista musicale - che culla un bimbo stringendolo al petto. Dall'immagine è addirittura impossibile stabilire se sia morto o meno. Martin racconta di averlo trovato in acqua "come una bambola con le braccia distese". "Ho preso l'avambraccio del bambino e ho avvicinato subito il corpo in modo protettivo alle mie braccia, come se fosse ancora vivo. Ho cominciato a cantare per confortarmi e per cercare di esprimere in qualche modo questo momento incomprensibile, straziante. Aveva le braccia aperte con le dita minuscole all'aria, il sole illuminava i suoi occhi chiari, amichevoli ma fissi. Solo sei ore fa questo bambino era vivo ".

Secondo i dati diffusi dall'Acnur ieri, sono dai 700 ai 1.000 i migranti morti nel tentativo di attraversare il Canale di Sicilia. Assieme alla foto, l'organizzazione tedesca Sea Watch ha diffuso anche un'invito all'Europa: garantire a queste persone un passaggio sicuro e legale in modo da interrompere il traffico di uomini ed evitare altre tragedie.

Filippine - Il nuovo presidente Duterte sostiene gli squadroni della morte

Internazionale
Il 14 maggio, cinque giorni dopo che Rodrigo Duterte, ex sindaco di Davao, ha vinto le elezioni nelle Filippine, due sicari a volto coperto hanno girato in moto le periferie della città alla ricerca della loro vittima.

Il neo presidente delle Filippine 
Rodrigo Duterte
Gil Gabrillo, commerciante e tossicodipendente di 47 anni, stava tornando da un combattimento di galli quando i due aggressori l’hanno raggiunto. Uno di loro ha sparato quattro pallottole alla testa e al corpo di Gabrillo, uccidendolo sul colpo. Poi la moto si è allontanata.

L’omicidio non ha trovato molto spazio sulla stampa di Davao. In città, per quasi vent’anni, Rodrigo Duterte ha dato il suo appoggio pubblico alle centinaia di esecuzioni sommarie di consumatori di droga e criminali, una posizione che ha contribuito a fargli raggiungere la carica più alta del paese.

I gruppi per la difesa dei diritti umani hanno documentato almeno 1.400 omicidi a Davao, che sarebbero stati commessi dal 1998 a oggi da gruppi paramilitari. La maggior parte delle vittime sono tossicodipendenti, piccoli criminali e bambini di strada.

In un’inchiesta del 2009, Human rights watch (Hrw) ha documentato che la polizia si è regolarmente rifiutata di fare indagini approfondite su questi omicidi. Nel rapporto è scritto che i poliziotti in attività o in pensione hanno “consegnato” le vittime ai sicari degli squadroni della morte, fornendo loro nomi e foto dei bersagli. La polizia di Davao nega quest’accusa.

Un’altra inchiesta su questi omicidi, portata avanti dal National bureau of investigation (Nbi), l’equivalente filippino dell’Fbi, non ha portato ad alcuna incriminazione. Un ufficiale d’alto grado dell’Nbi ha dichiarato alla Reuters che l’indagine verrà probabilmente archiviata, ora che Duterte diventerà presidente.

Una simile impunità, insieme agli inviti di Duterte delle scorse settimane per una maggiore giustizia sommaria, potrebbero dare forza agli squadroni della morte in tutto il paese, denunciano le associazioni religiose e quelle per la difesa dei diritti umani. Si è già verificata un’ondata di omicidi irrisolti nelle città vicine, con altri sindaci che hanno imitato Duterte nel dare il loro sostegno pubblico alle uccisioni.

Colombia - Liberati i tre giornalisti tra cui la corrispondente spagnola Salud Hernández

Rai News
Colombia, liberati 3 giornalisti sequestrati dall’Eln La giornalista spagnola Salud Hernandez-Mora, corrispondente del quotidiano spagnolo El Mundo in Colombia, è stata liberata dalle milizie dell'Esercito di Liberazione Nazionale (Eln), che l'avevano sequestrata una settimana fa. 


Mentre il reporter Diego D'Pablos e il cameraman Carlos Melo, entrambi dipendenti dell'emittente colombiana Rcn, sequestrati all'inizio della settimana scorsa, sono invece stati liberati poche ore dopo. 

I due hanno riferito di esser stati trattati bene. La cronista spagnola Salud Hernandez-Mora, subito dopo essere liberata, ha rilasciato un’intervista al giornale El Tiempo, raccontando i sei giorni vissuti nella giungla amazzonica. "Il mio è stato un sequestro di persona e l'Eln mi ha ingannata: io credevo di essere lì per un'intervista". Prima di questa esperienza "non avevo contatti diretti con i miliziani. 

Qualcuno nei giorni precedenti mi ha avvicinato dicendomi che avrei potuto parlare con i comandanti. A me è parsa subito un'opportunità interessante e ho detto 'va bene!'. E quando sono arrivata, invece, mi hanno informata che sarei rimasta con loro per qualche giorno". 

Vale a dire nel folto della foresta, dove i guerriglieri trovano rifugio. La giornalista tiene a precisare che segue il conflitto della guerriglia in Colombia e a proposito dell'accordo di pace tra governo e guerriglia, non è ottimista: "il problema nella regione del Catatumbo e del comune di El Tarra in particolar modo sono le formazioni combattenti. Qui ce ne sono tre: Epl, Farc e Eln. Spesso c'è confusione sull'appartenenza dei singoli guerriglieri, ma tutte e tre fanno sentire forte la loro presenza sul territorio.

 Anche quando sono arrivata in zona ho spiegato ai militanti che se a noi giornalisti non danno la possibilità di raccontare quanto accade qui, tutto viene ignorato, anche dai media nazionali". Sulle prospettive di pace soprattutto con l'Eln, la giornalista è molto critica: "Sia le Farc che l'Eln sono gruppi molto complessi. 

Tra loro poi sussistono anche vari problemi, perché hanno un modo di pensare molto diverso". Secondo Hernandez quindi, "è molto difficile avviare con loro dei negoziati". Qualche critica dalla giornalista anche alla presenza militare in zona durante i giorni del suo sequestro, a suo avviso troppo poco efficace. 

Al contrario, "mi piace il modo della Chiesa di gestire la consegna di una persona, tutto il resto - ha sottolineato - è uno spettacolo mediatico. Ho capito che mi avrebbero rilasciato solo quando all'ennesimo spostamento mi hanno detto che mi avrebbero portato ad una missione della Chiesa cattolica". 

lunedì 30 maggio 2016

Venezuela, squadroni della morte massacrano 11 persone

In Terris
L'azienda aerea tedesca Lufthansa ha annunciato che dal 18 giugno sospenderà i collegamenti con il paese


Undici persone, tra cui un colombiano e tre minorenni, sono state assassinate da uno squadrone armato a Caracas, capitale del Venezuela. “Le vittime”, ha spiegato la procura generale, “si trovavano a casa loro”, sabato all’alba, “quando hanno visto arrivare un certo numero di uomini armati che le hanno obbligate a uscire in cortile dove hanno sparato loro”.

Intanto la compagnia aerea tedesca Lufthansa ha annunciato che dal 18 giugno sospenderà i collegamenti con il Venezuela a causa delle difficoltà economiche che il Paese sudamericano sta affrontando a causa dell’abbassamento del prezzo del petrolio. Lo riferisce il sito della Bbc. Lufthansa ha anche detto che gli attuali controlli valutari in Venezuela rendono impossibile alle compagnie aeree la conversione dei loro guadagni in dollari e l’invio dei soldi all’estero.

Il Venezuela, il Paese con le più ricche riserve petrolifere accertate, è sull’orlo del fallimento per il basso costo del barile e la gestione dissennata dell’economia da parte del governo “chavista”. Inoltre, la settimana lavorativa per i dipendenti pubblici è stata ridotta a due giorni per problemi di approvvigionamento elettrico. Un quadro complicato dalla dipendenza della Nazione dalle importazioni per favorire i profitti delle grandi imprese private, più interessate alla speculazione finanziaria e al contrabbando che allo sviluppo dell’industria locale. Problemi aumentati anche dagli errori, dalle inefficienze e dalla corruzione dilagante.

Israele: 200 ex generali contro Netanyahu "subito negoziati con i palestinesi"

Il Manifesto
Militari e agenti dei servizi segreti condannano chi, nel governo, ripete che non c'è un partner palestinese con il quale negoziare e chiedono il ritiro dai Territori occupati per far nascere lo Stato di Palestina. Oltre 200 ex generali ed ufficiali delle forze armate ed agenti dei servizi segreti, che si definiscono "Comandanti per la sicurezza di Israele", criticano pubblicamente la mancanza di iniziativa da parte del governo Netanyahu e hanno elaborato un "piano" per sbloccare la situazione di stallo con i palestinesi.

Non si tratta di una proposta particolarmente avanzata e rispettosa di tutti i diritti dei palestinesi. Chiede però un ampio ritiro israeliano dai territori occupati nel 1967 per consentire ai palestinesi di costruire un loro Stato indipendente.
Il presidente del gruppo, Amnon Reshaf, ha condannato i "mercanti di paura" secondo i quali non ci sarebbe un partner palestinese per trattare un accordo. 
Un riferimento evidente agli esponenti della maggioranza di destra che negano l'esistenza di una controparte per eventuali negoziati e descrivono il presidente dell'Anp Abu Mazen come un nemico e un sostenitore del terrorismo. Il piano chiede uno stop della costruzione di insediamenti ebraici nei Territori occupati, l'accettazione dell'iniziativa di pace araba del 2002 e il riconoscimento di Gerusalemme Est, la parte araba della città, come capitale dello Stato palestinese. 

L'iniziativa allarga la spaccatura tra i militari e il governo Netanyahu che si è fatta ancora più profonda nei giorni scorsi dopo l'improvvisa nomina dell'ultranazionalista Avigdor Lieberman a ministro della difesa al posto di Moshe Yaalon, un ex comandante delle forze armate.
Intanto la Francia si prepara ad ospitare, il 3 giugno, un incontro con i ministri degli esteri di diversi Paesi finalizzato alla convocazione, in autunno, di una conferenza internazionale per rilanciare il negoziato israelo-palestinese. 

L'iniziativa francese è stata respinta da Netanyahu che si è detto disposto solo ad incontrare Abu Mazen.

di Michele Giorgio

Ventimiglia, fallisce lo sgombero, un centinaio di profughi ospitati in chiesa

La Repubblica
All'alba l'intervento delle forze dell'ordine, che fermano una ventina di migranti in città, ma la spiaggia era già stata evacuata. Il parroco: "Li terrò qui finché ci sarà bisogno"
La polizia davanti alla spiaggia già sgomberata
Quando le 15 camionette con decine e decine di uomini sono arrivate sulla spiaggia, dove da ieri si era trasferito il campo spontaneo dei migranti, hanno trovato il campo deserto. Migranti e attivisti l'hanno abbandonato nella notte per sfuggire allo sgombero: e ad accoglierli è stata la chiesa di Papa Francesco. Seguendo l'invito arrivato ieri sera dal vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta, padre Francesco Marcoaldi ha aperto le porte del salone sotto la centralissima chiesa si San Nicola. Così stamattina, mentre le forze dell'ordine arrivavano sole tra tende smontate e qualche materasso abbandonato, fuori dalla chiesa gli attivisti mostravano uno striscione in ricordo delle ultime vittime del mare. E con il loro slogan: "open the Borders". Chiedono infatti l'apertura delle frontiere, che qui a Ventimiglia, come al Brennero, sbarrano la strada ai migranti in fuga dall'Italia per continuare il loro viaggio.

Una ventina di migranti che dormivano per strada in varie parti della città sono stati fermati dalle forze dell'ordine e fatti salire su un bus. Le forze dell'ordine - poliia, carabinieri, guardia di Finanza e un'imbarcazione della Capitaneria - stanno operando in rispetto dell'ordinanza di sgombero emessa venerdì scorso dal sindaco Enrico Ioculano per motivi di igiene e sicurezza pubblica, e senza tensioni.
Ma ora cosa può accadere ai profughi ospitati nella chiesa di San Francesco? La vicenda ricorda quella dei cosiddetti "Sans Papiers", altri profughi senza documenti che nei primi anni Duemila occuparono una chiesa nel centro di Parigi per un lungo periodo. Il vescovo Suetta, titolare della diocesi di Sanremo-Ventimiglia, ringrazia padre Francesco e confeema che si sta attivando per
concedere gli spazi del seminario di Bordighera per accogliere una tendopoli destinata ai migranti, come annunciato ieri sera. E padre Francesco, che su affaccia dalla chiesa intorno alle 8, dice di averi accolti senza pensarci troppo . "Li terrò qui finchè ce ne sarà bisogno". Ai pasti penserà la Caritas.

Il vescovo di Ventimiglia: “Una tendopoli in seminario per accogliere i migranti”

La Stampa
«L’imminente sgombero con la forza deve essere scongiurato, i migranti saranno ospitati nei terreni del seminario vescovile di Bordighera». Il colpo di scena è arrivato poco fa, al tramonto, alla vigilia dell’intervento delle forze dell’ordine che i bene informati davano per l’alba di domani.
 

Il vescovo della diocesi Ventimiglia-Sanremo Antonio Suetta è sceso in campo per evitare il blitz, contro la prospettiva dello scenario traumatico di corpi trascinati via a forza. Un’azione congiunta, con in campo anche la Caritas e il rettore del seminario Ferruccio Bortolotto. Contrattazioni febbrili con il Comune di Ventimiglia, mentre i No borders in serata stavano iniziando ad accompagnare i migranti verso Camporosso, sempre sulla spiaggia. La decisione è maturata mentre i primi 19 migranti arrivati da Genova, assegnati al Seminario dalla Prefettura, disfavano le valige. «Tra questi e quelli non c’è differenza, vivono lo stesso incubo, le porte sono aperte» - è stato il commento della Curia che ha confermato un’azione per evitare il blitz.

Il seminario ha messo a disposizione il campo di calcio, in grado di ospitare da 70 a cento persone nelle tende. I servizi igienici esistono, anche se hanno bisogno di una sistemata. Questione di giorni e di quella «divina provvidenza» che in queste occasioni il Ponente non ha mai fatto mancare alla Curia. Le condizioni poste alle Istituzioni sono due: gestione del «campo» delegata alla Caritas e un presidio di sicurezza da parte delle forze dell’ordine (nell’arco delle 24 ore).

«Le porte sono aperte anche ai No borders - dicono dal Seminario - a patto che intervengano come volontari e a titolo personale. Per chi vuol fare del bene non esistono mura o cancelli». Parole che ribadiscono l’impegno concreto sul fronte dell’emergenza migranti e in linea con la posizione di papa Bergoglio.

Certo è che l’azione della Curia è arrivata in un clima incandescente, tra le voci dello sgombero forzato fissato per questa mattina e le polemiche politiche per il fallimento, almeno parziale, del piano-Alfano.

Il vescovo e i suoi collaboratori hanno promosso un gesto, teso una prima mano, che nella giornata di domani potrebbe essere seguito da quello della prefettura che prendendo atto dell’allestimento del campo al seminario di Bordighera potrebbe in via di urgenza «legittimarlo» facendo in modo di mobilitare anche la protezione civile (con tende decorose al posto di quelle squarciate dal vento usate oggi dai migranti). «Ma noi siamo in grado anche di farcela con le nostre forze - hanno detto i seminaristi. La nostra è una scelta di servizio. Siamo qui per pregare, studiare, ma anche e soprattutto servire».

domenica 29 maggio 2016

Migranti: Grecia, Unhcr dopo sgombero Idomeni sistemazione in siti indecenti

AnsaMed
Ginevra - L'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha espresso oggi "seria preoccupazione per le condizioni al di sotto degli standard" di diversi siti nel nord della Grecia, dove i rifugiati e migranti sono stati evacuati questa settimana dal sito di Idomeni.
A Sindos ci sono tre hangar polverosi dove l'aria è irrespirabile, c’è poca luce
e ci sono appena 18 bagni per 600 persone, tra cui moltissimi bambini e diverse donne incinte
Antonio Nicolini, volontario Hopeful Giving
"L'Unhcr esorta le autorità greche, con il supporto finanziario fornito dall'Unione europea, a trovare rapidamente migliori alternative", ha detto a Ginevra la portavoce dell'agenzia dell'Onu per i rifugiati Melissa Fleming.

Se è vero che a Idomeni, un campo di fortuna, i rifugiati erano ospitati in pessime condizioni ed era necessario trasferirli altrove, le condizioni in alcuni dei siti dove sono portati rifugiati e immigrati sono "ben al di sotto gli standard minimi", ha affermato.

Alcuni rifugiati sono stati trasferiti in depositi o fabbriche in stato di abbandono, all'interno dei quali le tende sono state disposte in modo troppo ravvicinato, c'è poca aria e le forniture di cibo, acqua, servizi igienici, docce e elettricità sono insufficienti. L'Unhcr, pur osservando che lo sgombero di Idomeni si è svolto senza ricorso alla forza, ha anche espresso preoccupazione per casi di famiglie che risultano separate dopo il trasferimento.

Migranti. Nuova tragedia. Più di 400 dispersi! Basta. Subito corridoi umanitari!

La Repubblica
La tragedia ha coinvolto due barconi con mille persone a bordo. Uno trainava quello poi affondato. Una donna decapitata dalla cima tagliata dagli scafisti. Uno dei mercanti di uomini fermato dalla polizia a Pozzallo

Quattrocento morti, forse anche di più. Un numero da record quello delle presunte vittime di un altro naufragio, il quarto in una settimana, che si è verificato giovedì nel Canale di Sicilia. 

E uno degli scafisti è stato fermato questa sera dalla polizia. Particolarmente drammatiche le circostanze della tragedia ricostruite dagli investigatori delle squadre mobili di Agrigento e Ragusa che in queste ore stanno interrogando i superstiti. 

Due grandi pescherecci con circa 500 persone a bordo ognuno erano partiti dalle coste libiche, il secondo trainato dal primo con una lunga cima. Dopo poche miglia di navigazione il barcone trainato ha cominciato ad imbarcare acqua. A quel punto, presi dal panico, i migranti che stavano sull'imbarcazione che stava per affondare hanno cominciato, schiacciandosi uno con l'altro, a provare a passare sulla prima barca aggrappandosi alla fune. A decine sono finiti in mare annegando.


di Francesco Viviano E Alessandra Ziniti

sabato 28 maggio 2016

Sud Sudan decine di detenuti rischiano la morte all'interno di container

Corriere della Sera  - Blog
Ricevono cibo solo due volte alla settimana, l’acqua è del tutto insufficiente e manca l’aria.
Decine di persone rischiano la morte per fame, sete o soffocamento all’interno di quattro container per la navigazione situati nel centro di detenzione di Gorom, 20 chilometri a sud della capitale sudsudanese Juba.


Periodicamente, i detenuti vengono fatti uscire dai container ma solo per essere picchiati dai soldati.
Immagine satellitare che dimostra dell'esistenza dei container
Dopo le agghiaccianti testimonianze uscite da Gorom che riferiscono anche di detenuti già morti, Amnesty International ha ottenuto la prova della presenza dei container, portati all’interno del centro di detenzione di Gorom nel novembre 2015, attraverso immagini satellitari fornite da Google Earth / DigitalGlobe.

I detenuti, per la maggior parte civili, sono sospettati di aver simpatizzato con gli ex ribelli del Movimento popolare per la liberazione del Sudan / Esercito all’opposizione (SPLM/A-IO), che ora, dopo una sanguinosa guerra civile, fa parte del governo di unità nazionale.

Gli internati dei container di Gorom non hanno alcun contatto con avvocati e familiari e non sono mai stati portati di fronte a un giudice.

Amnesty International ha contattato il general maggiore Marial Nour, direttore dei servizi di sicurezza, chiedendo di conoscere i nomi delle persone trattenute nei container di Gorom e le imputazioni a loro carico, così come i nomi dei detenuti già deceduti.

L’organizzazione per i diritti umani ha anche scritto al presidente Salva Kiir, comandante in capo delle forze armate del Sud Sudan, chiedendogli di intervenire per porre fine a questa situazione.

Neanche due mesi fa, Amnesty International aveva denunciato la morte, provocata deliberatamente da soffocamento, di oltre 60 uomini e ragazzi in container dello stesso tipo di quelli usati a Gorom, stavolta in un centro di detenzione improvvisato a Leer.


Riccardo Noury

Sondaggio in 27 paesi : discrepanza tra politiche degli stati sui rifugiati e orientamento opinione pubblica

Nigrizia
Un sondaggio condotto in 27 paesi dalla nota agenzia internazionale GlobeScan, reso noto due giorni fa da Amnesty International, rivela una forte discrepanza tra le politiche degli stati in materia di rifugiati e gli orientamenti dell’opinione pubblica.
La ricerca denominata, “Refugee Welcome Index”, ha coinvolto 27.000 persone alle quali è stato chiesto se fossero disposte ad accogliere rifugiati rispettivamente nel loro paese, nella loro città, nel loro quartiere o nella loro casa.

Il risultati, contrariamente a quanto ci si aspetta di questi tempi, dicono che le persone sono estremamente disposte a dare il benvenuto ai migranti e la retorica anti-rifugiati dei governi contrasta con gli orientamenti dell’opinione pubblica.
«I dati parlano da soli. Le persone sono pronte ad accogliere i rifugiati e le risposte inumane dei governi alla crisi dei profughi vanno contro il punto di vista dei loro cittadini» – ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. «Il sondaggio rivela fino a che punto i governi stiano facendo politica sulla pelle di persone che fuggono da guerra e repressione». Troppo spesso, la retorica anti-rifugiati dei politici ha solo l’obiettivo di aumentare il consenso» – ha proseguito Shetty.

Cina, Germania e Regno Unito si sono piazzati ai primi posti di “Refugees Welcome Index”, mentre Russia, Indonesia e Thailandia sono in fondo alla classifica.
Il sondaggio di GlobeScan è stato realizzato per misurare il livello di accettazione dei rifugiati su una scala decrescente (in casa, nel quartiere, nella città e nel paese), fino alla posizione estrema di rifiutare l’ingresso nel proprio stato.

I risultati complessivi mostrano un’inaspettata propensione a dare il benvenuto ai rifugiati:
- una persona su 10 prenderebbe un rifugiato in casa (46% in Cina, 29% nel Regno Unito, 20% in Grecia fino all’1% in Indonesia e Russia);
- il 32% degli intervistati accetterebbe rifugiati nel quartiere, il 47% nella città e l’80% nel paese;
- in 20 dei 27 paesi, oltre il 75% delle persone ha risposto che farebbe entrare i rifugiati nel paese;
- solo il 17% rifiuterebbe l’ingresso nel paese ai rifugiati. In un solo paese, la Russia, si è espresso in questo senso oltre un terzo del campione.

«Non ci aspettavamo un così alto livello di solidarietà verso i rifugiati. I risultati del sondaggio riflettono la compassione umana che le persone provano verso chi fugge dalla guerra» ha commentato Shetty.

Da notare, però, che dai dati emerge una tendenza contraddittoria: la propensione all’accoglienza diminuisce all’aumentare della vicinanza del luogo in cui i rifugiati vengono accolti rispetto alla propria casa.

Altro risultato interessante dello studio, che avvalora l’esistenza di una forte discrepanza tra politiche dei governi e opinione pubblica, è quello relativo all'accesso all'asilo e alle politiche in materia di rifugiati:
- il 73% è d'accordo che le persone in fuga da guerra o persecuzione dovrebbero ottenere rifugio in altri paesi;
- il 66 % ritiene che il rispettivo governo dovrebbe fare di più per aiutare i rifugiati;

Alla luce degli esiti della ricerca, Amnesty International chiede ai governi di reinsediare almeno 1.200.000 rifugiati entro la fine del 2017, dal momento che le istituzioni fin ad ora si sono impegnate solo per 100 mila profughi l’anno. Una cifra irrisoria visto che attualmente nel mondo ci sono 19 milioni e mezzo di rifugiati.

Amnesty International chiede inoltre ai governi che prenderanno parte al Summit umanitario mondiale, in programma a Istanbul il 23 e 24 maggio, di impegnarsi a creare un nuovo sistema permanente per condividere le responsabilità di ospitare e assistere i rifugiati. I governi che prenderanno parte al Summit umanitario mondiale dovrebbero inoltre colmare la mancanza di 15 miliardi di dollari al finanziamento dei programmi umanitari denunciato dalle Nazioni Unite all'inizio del 2016, mettendo a disposizione maggiori fondi per assistere sia i rifugiati che gli stati che ne ospitano grandi numeri.

La piccola Favour, bambina "simbolo" dei migranti è arrivata a Palermo

La Repubblica - Palermo
La piccola nigeriana di nove mesi che ha perso la madre durante il naufragio di un barcone carico di migranti sarà trasferita nel centro "Piccoli passi". La poliziotta che l'ha accompagnata: "E' una bimba meravigliosa"


venerdì 27 maggio 2016

USA: Corte Suprema annulla condanna a morte di un afroamericano in Georgia, la giuria era razzista

Rai News
L'avvocato del condannato ha provato come la giuria di allora fu selezionata con criteri razzisti: lo Stato della Georgia scartò "senza ragione alcuna" quattro candidati afroamericani che si presentarono come volontari


La Corte suprema degli Stati Uniti ha annullato la condanna a morte in Georgia di un afroamericano perché la giuria del tribunale che lo ha condannato era composta di soli bianchi. 

Gli otto giudici hanno deciso, 7 voti a favore e uno contrario, di accogliere la richiesta dei legali di Timothy Tyrone Foster, accusato di aver ucciso una donna bianca di 79 anni durante un furto in casa avvenuto nel 1986. 

Foster fu condannato da 12 giurati bianchi e il suo avvocato ha provato come la giuria di allora fu selezionata con criteri razzisti dal momento che lo Stato della Georgia scartò "senza ragione alcuna" quattro candidati afroamericani che si presentarono come volontari. La Corte suprema ha fatto riferimento a una legge del 1986 che sottolinea l'importanza di giurie miste per evitare discriminazioni razziali. "I giudici sono stati motivati in una parte importante dalla razza quando hanno deciso di escludere afroamericani dalla giuria popolare", ha scritto John Roberts, giudice capo della Corte suprema. Ora gli avvocati di Foster potranno chiedere un nuovo giudizio. -

Iran - Pena di morte: lotta al narcotraffico, diciassette detenuti eseguiti in 48 ore

Ansa
Diciassette detenuti sono stati eseguiti tra il 26 e il 27 maggio in due differenti carceri di Karaj, città a ovest di Teheran. Lo ha denunciato Iran Human Rights (Ihr), un'Ong che si batte contro la pena di morte nella Repubblica islamica, citando fonti locali. 

Secondo l'organizzazione, sei prigionieri sono stati impiccati ieri mattina nella prigione Gehzelhesar.
Erano tutti accusati di narcotraffico. Altri 11 detenuti sono stati eseguiti il 26 maggio nel carcere Rajaishahr. Dieci di loro erano stati condannati per omicidio e uno per stupro. Tra gli 11, secondo Ihr, figurerebbe anche un giovane che era minorenne quando gli è stata inflitta la condanna a morte. "Malgrado il ritmo allarmante delle esecuzioni (in Iran, ndr), la comunità internazionale non ha ancora mostrato alcuna reazione. Invitiamo l'Onu, l'Ue e tutti i Paesi che hanno relazioni diplomatiche con l'Iran a condannare queste esecuzioni e a chiedere un'immediata moratoria sulla pena di morte in Iran", ha commentato il fondatore e portavoce di Ihr, Mahmood Amiry-Moghaddam.

Brasile, rivolte in quattro prigioni: almeno 14 morti

La Repubblica
La rabbia dei detenuti nello Stato di Cearà è esplosa nel fine settimana, quando uno sciopero della polizia penitenziaria ha fatto sì che venissero annullate le visite. Gravi danni alle strutture

San Paolo - Almeno 14 persone hanno perso la vita nelle rivolte scoppiate in quattro prigioni dello Stato brasiliano di Cearà durante il fine settimana, in coincidenza con uno sciopero delle guardie penitenziarie.

L'improvvisa astensione dal lavoro degli addetti alla sorveglianza, che protestavano per la decisione dell'amministrazione di rateizzare il pagamento di spettanze arretrate, ha provocato la cancellazione delle visite e questo ha fatto esplodere la rabbia dei detenuti in almeno quattro penitenziari del piccolo Stato del Nordest. Le autorità hanno riferito di regolamenti di conti tra reclusi e di ingenti danni alle strutture. Le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo dei penitenziari, i vigili del fuoco hanno spento i focolai di incendio appiccati dai detenuti e gli assistenti sociali sono stati chiamati ad aiutare i familiari delle vittime.

La procura ha intanto definito illegittimo lo sciopero e ha annunciato che riterrà responsabile l'amministrazione carceraria dello stato per gli omicidi, i danni e tutti gli altri eventuali reati compiuti durante le rivolte.

Le prigioni di Cearà, come la maggior parte di quelle degli altri Stati brasiliani, sono sovraffollate e il sindacato delle guardie carcerarie (Sindasp) chiede da anni un aumento del personale. Il presidente del Sindasp di Cearà, Valdemiro Barbosa, ha denunciato che nei penintenziari "regna un clima di disordine e instabilità".

Il nipote di Mirò vende le opere all'asta e dona il ricavato ai migranti: "Avrebbe voluto così"

HuffingtonPost
"Mi considero solo un esecutore delle sue volontà e voglio fare ciò che lui stesso avrebbe fatto se fosse ancora vivo". Con queste semplici parole il nipote del pittore spagnolo Joan Miró ha giustificato la decisione di donare l'intero importo di una vendita all'asta di 28 opere del celebre artista ai rifugiati.


La vendita ha fruttato oltre 47 mila e 600 sterline (circa 61 mila e 600 euro), come ha annunciato la casa d'aste Christie's. Questa somma supera le stime, doveva essere donata alla Croce Rossa. "Miró ha affrontato molte prove nella sua vita. Ha sperimentato la fame, l'esilio durante la guerra civile spagnola, la seconda guerra mondiale e conosceva bene la desolazione dei campi profughi".

Esiliato a Parigi durante la guerra civile spagnola tra il 1936 e il 1939, Miró, simpatizzante repubblicano, aveva seguito da vicino il destino dei rifugiati spagnoli in fuga dal regime di Franco. "Ha sempre voluto aiutare poveri, i rifugiati e gli esuli. Se fosse stato ancora vivo, avrebbe preso in considerazione che ciò che sta accadendo in Siria oggi potrebbe accadere domani in Spagna", ha detto ancora Punyet.

Dal momento dell'inizio del conflitto in Siria nel 2011, più di 4,8 milioni di rifugiati hanno lasciato il Paese e contribuito ad alimentare la più grave crisi migratoria dalla seconda guerra mondiale. Secondo l'Onu, circa 60 milioni sono rifugiati e sfollati in tutto il mondo. Miró, che morì nel 1983, all'età di 90 anni, aveva motivi personali per essere grato alla Croce Rossa.

Un medico della organizzazione umanitaria internazionale aveva salvato la gamba di sua figlia, la madre di Joan Miro Punyet, quando era stata gravemente ferito in un incidente d'auto nel 1965. "Mio nonno ha fatto un arazzo per la Croce Rossa come ringraziamento".

giovedì 26 maggio 2016

Eritrea: lo stato prigione da cui sono fuggiti il 10% della popolazione

Corriere della Sera
L'ex colonia italiana celebra un quarto di secolo di vita con parate e fuochi d'artificio. Ma il regime del presidente Afewerki lascia una sola speranza ai suoi giovani. La fuga. Chissà se avrà festeggiato il giorno dell'indipendenza il ragazzo con i tatuaggi sulle braccia, due scritte in inglese dipinte prima di scappare dal suo Paese-prigione: "Stato di diritto" e "Passa tutto". Aveva 24 anni l'estate scorsa, l'ha fotografato alla stazione di Milano la reporter senegalese Ricci Shryock.



Uno dei 40 mila eritrei che nel 2015 hanno raggiunto l'Italia attraversando il Sahara e il Mediterraneo, scappando da un Paese che secondo l'ultimo rapporto Onu è teatro di "gravi e diffuse violazioni dei diritti umani". 

Forse non c'è nazione al mondo che si "svuota" così velocemente: su 4,5 milioni di abitanti, il 9% sono fuggiti all'estero negli ultimi anni. 

Dopo i siriani, gli eritrei sono il gruppo più numeroso in arrivo in Europa. L'anno scorso solo 475 su 40 mila hanno chiesto asilo nel nostro Paese. Gli altri puntavano oltre le Alpi: Svizzera, Germania, Olanda le mete. L'Italia no, forse perché è come se ci fossero cresciuti. Non c'è posto in Africa più italiano di Asmara, la capitale dell'ex colonia che ieri tra parate e fuochi d'artificio ha celebrato i 25 anni di vita.

Le bici e il cinema Impero - Il nome Eritrea (dal greco, rossiccio) uscì nel 1890 dalla penna di Carlo Dossi, scrittore amico del presidente del Consiglio Francesco Crispi. Roma governò quello spicchio d'Africa per mezzo secolo. Asmara sfoggia ancora l'architettura modernista dei nostri anni Venti e Trenta. E poi il Cinema Impero, il Liceo Marconi, il cocktail Negroni, il culto del caffè macchiato, la bici come sport nazionale e unico mezzo di locomozione in un Paese-caserma dove il servizio militare obbligatorio (perenne dai 16 anni in su) viene pagato con 30 euro al mese. 
[...]
L'Eritrea del settantenne Afewerki rimane uno dei Paesi più chiusi e isolati del mondo. Internet è un lusso per l'1% della gente. I ciclisti eritrei corrono il Tour de France con una squadra del Sudafrica, e quando tornano sono accolti con adunate di piazza. Se tornano: l'anno scorso dieci giocatori di calcio in trasferta hanno chiesto asilo politico in Botswana.
La guerra permanente - Il servizio militare permanente, nella famigerata base di Sawa, lo Stato di diritto che è soltanto un tatuaggio (rule of law) sulle braccia di chi scappa oltre i cecchini, al di là delle montagne. 


Chi non ha soldi per i passatori resta sul lato sbagliato del Sahara, bloccato in Sudan o nei campi profughi dell'Etiopia, il grande spauracchio del regime eritreo. Venticinque anni dopo l'indipendenza di quella che fino al 1991 era una provincia di Addis Abeba, i vicini-nemici sono sulla carta ancora in guerra. Per Asmara è un motivo sufficiente per costringere sotto le armi (di fatto ai lavori forzati) due terzi dei giovani che finiscono la scuola. E quei duemila ragazzi e ragazze che scappano ogni mese tutto sommato non dispiacciono al regime. La grande paura di Afewerki è una rivolta interna. Chi scappa non si ribella. E una volta all'estero manda soldi alle famiglie rimaste a casa.

Imprese - Qualcosa sta cambiando, a sentire i diplomatici italiani che sono un po' l'orecchio del mondo in terra eritrea. Si coglie qualche apertura nel monolite del potere, più timida di quanto si vorrebbe. Qualche impresa tricolore, dal tessile al fotovoltaico, porta lavoro (e valuta pregiata allo Stato). In un mondo di crisi umanitarie concorrenti, la fortezza Eritrea con le sue italiche facciate moderniste non fa l'effetto delle macerie dove si combattono le guerre. Ma per commuoverci forse bastano tre parole, rule of law, tatuate sul braccio di un ragazzo che fugge.

di Michele Farina

Naufragio, nuova strage di migranti. Barcone si rovescia a largo Libia, 96 tratti in salvo, stima 20-30 morti

Ansa
Ancora un naufragio di migranti nel Canale di Sicilia, a 35 miglia dalle coste libiche: un barcone con un centinaio di persone a bordo si è rovesciato.
L'allarme è stato dato da un velivolo di Eunavformed, la missione Ue. Sul posto anche motovedette della Guardia costiera.
Secondo le prime stime i morti sarebbero 20-30, mentre sono 96 le persone finora tratte in salvo. I superstiti si trovano a bordo delle motovedette della Guardia Costiera e di una nave di Eunavformed intervenute nella zona del naufragio.




Secondo quanto appreso dall'ANSA, è stato un velivolo lussemburghese che partecipa all'operazione 'Sophia'-Eunavformed a localizzare, a circa 35 miglia da Zuara, il barcone capovolto, con circa un centinaio di migranti in acqua o aggrappati allo scafo.
E' stato dato subito l'allarme e sul posto è intervenuto un secondo velivolo di Eunavformed, questa volta spagnolo, che ha lanciato in mare kit di salvataggio.

Migranti - In salvo a Lampedusa la bimba di 9 mesi che ha perso la mamma nella traversata

Ansa
In una giornata funestata dal naufragio davanti alle coste libiche, un altro cadavere si aggiunge alla lista dei morti, quello di una donna che ha perso la vita durante la traversata nel Canale di Sicilia; ma prima di morire ha consegnato la sua bimba di soli 9 mesi a una compagna di viaggio, che l'ha portata sana e salva a Lampedusa.
La bimba in braccio a  Pietro Bartolo il medico di Lampedusa
Ieri mattina una motovedetta della Capitaneria di porto ha sbarcato una ventina di persone, in prevalenza donne, che avevano necessità di cure: presentavano ustioni da benzina sul corpo. Con loro viaggiava la piccola, in braccio a una ragazza. I migranti sono stati tutti trasportati all'ambulatorio dell'isola, e con loro la bimba, che ha ricevuto le cure di Pietro Bartolo, il medico che presidia l'unico avamposto sanitario di Lampedusa e il cui lavoro più che ventennale è uscito dall'ombra, insieme alla sua umanità, con il film di Gianfranco Rosi "Fuocoammare".

Ecco cosa racconta Bartolo: "L'ho visitata, sta bene. Le abbiamo dato del latte, cambiato i vestiti. Era leggermente disidratata, ma niente di serio. E' rimasta in ambulatorio per alcune ore, poi l'ho accompagnata io stesso nel centro d'accoglienza, consegnandola alla polizia. E' in buone mani". E aggiunge sconsolato: "I migranti sentiti hanno riferito tutti la stessa versione e questo ci fa pensare che le cose siano andate proprio così, che la mamma della bimba sia proprio morta".

A distanza di ore, infatti, è crollata la speranza che la donna potesse trovarsi tra i 120 migranti giunti successivamente al molo con un altro mezzo della Guardia costiera. Lampedusa, che non ha mai fatto il callo alla tragedia dei migranti, cerca di dare un nome alla piccola, probabilmente giunta dal Mali.

Ieri altri bambini, ben 250, ma con i loro genitori, sono arrivati al porto di Palermo sulla nave Dattilo della Guardia costiera che aveva a bordo 1.045 persone soccorse nel Mediterraneo.

Minori scomparsi: Nel mondo ogni anno 8 milioni; Europa, 10.000 i migranti minorenni

La Repubblica
Roma - Diecimila i migranti minorenni non accompagnati scomparsi dopo il loro arrivo in Europa. Almeno 8 milioni di bambini scompaiono ogni anno nel Mondo, 22.000 ogni giorno. Sono queste le cifre della 'strage degli innocentì che, per dirla con le parole di papa Wojtyla, è di "dimensioni enormi. E viene perpetrata ancora oggi sotto lo sguardo indifferente di tutti". 



Papa Francesco si muove sulla stessa linea con un appello rivolto in occasione della Giornata internazionale per i bambini scomparsi: "Soli, sfruttati e allontanati dalle loro famiglie e dal contesto sociale - ha detto il Papa in udienza generale - , questi bambini non possono crescere serenamente e guardare con speranza al futuro. Invito tutti alla preghiera affinché ciascuno di essi sia restituito all'affetto dei propri cari".

Il 25 maggio. Ogni anno, a partire dal 1983, il 25 maggio è la Giornata internazionale in cui si ricordano i bambini che tuttora risultano scomparsi e quelli che sono stati trovati e si sono riuniti alle famiglie; in questo modo si cerca di portare questo fenomeno di rilevanza mondiale all'attenzione dei governi e della società.

L'esercito di bambini invisibili. Scappano da casa, vengono rapiti o sottratti da un genitore. Altri, invece, fuggono da guerre, povertà e catastrofi naturali. Se non accompagnati, rischiano di scomparire vittime dello sfruttamento e della tratta o di subire abusi durante il loro viaggio. È l'esercito dei bambini invisibili: basti pensare che in Europa ogni due minuti arriva la segnalazione di un minore scomparso, secondo gli ultimi dati di Missing Children Europe, il network di 29 organizzazioni non governative attive in 24 Paesi europei, che gestiscono altrettante linee telefoniche per bambini scomparsi. Il numero unico europeo è il 116.000, attivo 24 ore su 24, in Italia gestito da Telefono Azzurro, in convenzione con il ministero dell'Interno, dal 25 maggio 2009.
Otto milioni i bambini scomparsi nel mondo ogni anno. Il fenomeno riguarda tutti i paesi ed esige l'attenzione delle forze dell'ordine e dei rappresentanti di governo. Secondo le stime, almeno 8 milioni di bambini scompaiono ogni anno, vale a dire 22.000 bambini al giorno. Purtroppo, molti paesi non considerano questo fenomeno come una priorità e non dispongono di strutture e meccanismi adeguati nei settori del ritrovamento dei bambini scomparsi che rischiano fortemente di essere sfruttati nei settori del traffico illecito e della prostituzione.

In Italia 163 casi di bambini scomparsi. Secondo i dati di Telefono Azzurro, nazionali e internazionali, in Europa nel 2015 sono state 209.841 le chiamate ricevute dalla rete europea per i bambini scomparsi. Di queste, il 54% ha riguardato segnalazioni per fughe da casa, mentre il 29% casi di sottrazione parentale. Nello stesso anno, in Italia, sono stati 163 i casi di bambini scomparsi, fuggiti da casa o da un istituto o vittime di rapimento, gestiti da Telefono Azzurro attraverso il 116.000, il Centro nazionale di ascolto 19696 e il Servizio 114 Emergenza Infanzia.

Diecimila i migranti minorenni scomparsi. Ma il dato più allarmante riguarda i minori stranieri non accompagnati. In un anno in cui, secondo i dati Europol, sarebbero stati 10.000 i migranti minorenni non accompagnati scomparsi dopo il loro arrivo in Europa, le chiamate alle linee del 116.000 su questi casi risultano ingannevolmente basse: solo il 2% i casi a livello europeo nel 2015, segno di una grande sottostima del fenomeno. Se dal 2009 al 2014 le percentuali italiane si allineano a quelle europee, dal 2015 fino al primo trimestre del 2016, l'esplosione del fenomeno migratorio nel nostro Paese si riflette in un notevole incremento della tendenza: nel 2015 i casi di minori stranieri non accompagnati rappresentano ben il 40% dei casi, e solo nei primi tre mesi del 2016 ci sono state 33 segnalazioni.

I dati di Telefono Azzurro. Dal 25 maggio 2009 al 31 marzo 2016, la linea 116000, affidata a Telefono Azzurro, ha accolto 1425 nuove segnalazioni di scomparsa, ritrovamenti, avvistamenti e aggiornamenti su casi di minorenni scomparsi. Le segnalazioni relative ai nuovi casi di scomparsa, nell'arco temporale considerato, sono state 739. All'interno della categoria 'scomparsa di minorè rientrano diverse tipologie: 'scomparsa non altrimenti specificata', 'sottrazione parentale (nazionale e internazionale)', 'rapimento', 'fuga da casa o da istituto', 'minori stranieri non accompagnati'. Il maggior numero di casi gestiti dal Servizio riguarda casi di 'sottrazione parentalè (38.5 %).

Le statistiche. La maggior parte dei minori coinvolti in situazioni di scomparsa e segnalati al Servizio è di genere maschile (54 %), mentre la fascia d'età più coinvolta riguarda i ragazzi che hanno un'età compresa tra quindici e diciassette anni (45.5%).

mercoledì 25 maggio 2016

Cina - Morto vescovo cinese, quando era sacerdote rimase per 20 anni in cella

Avvenire
Domenica 8 maggio 2016, intorno a mezzogiorno, è deceduto monsignor Luca Tommaso Zhang Huaixin, Vescovo di Jixian (Weíhwei), nella provincia di Henan (Cina). Avrebbe compiuto 91 anni il 23 maggio. Lo rende noto oggi la sala stampa della Santa Sede.

Mons. Luca Tommaso Zhang Huaixin

Quando era sacerdote nel 1958 venne arrestato e condannato ai campi di lavoro forzato a causa della fede. Solo nel 1980 poté ritornare a svolgere il ministero pastorale. 

Il 19 ottobre 1981 fu consacrato segretamente Vescovo di Jixian. Sotto la sua guida, la diocesi di Jixian è cresciuta per numero di sacerdoti, suore e fedeli, oltre che per l`impegno nel campo sanitario e catechistico. Alcuni dei suoi sacerdoti sono stati ordinati da vescovi legittimi, riconosciuti dalle Autorità civili. Lo stesso monsignor Zhang Huaixin accettò il riconoscimento governativo, ma rimanendo fedele ai principi di fedeltà e di comunione con il Papa.

Iraq - Pena di morte - Eseguiti 22 detenuti in un mese

Blog Diritti Umani - Human Rights
L'Iraq ha giustiziato 22 persone condannate per "atti criminali e terroristici" durante il mese scorso, ha annunciato il ministro della giustizia iracheno, Haidar al-Zamili.
Per celebrare l'inizio dell'operazione di riprendere Falluja gruppo jihadista islamico Stato (EI), "si conferma (...) che il reparto continua a infliggere la giusta punizione ai terroristi", ha detto il ministro in una dichiarazione rilasciata lunedi e non ha fornito dettagli sulle esecuzioni.
Secondo Amnesty International, almeno 26 persone sono state eseguiti dalle autorità irachene nel 2015.

Iraq è stata oggetto di ripetute critiche diplomatici, esperti e organizzazioni di difesa dei diritti umani che denunciano un sistema giudiziario carente, e quindi le persone eseguite non è sicuro che siano colpevoli dei crimini per cui sono stati condannati.

ES

Fonte: L'Orient Le Jour

Indonesia: Chiesa e società civile contro nuove esecuzioni capitali

Radio Vaticana
Un appello urgente e una campagna per fermare le nuove esecuzioni capitali pianificate dal governo indonesiano e annunciate come imminenti: è quanto stanno preparando, come riferisce l'agenzia Fides, organizzazioni cattoliche e gruppi della società civile indonesiana. 
 
Le croci preparate per i detenuti che verranno eseguiti
Secondo le informazioni diffuse dalla polizia indonesiana, sono 15 i detenuti nel braccio della morte del carcere sull'isola di Nusakambangan, di fronte alla città di Cilacap (Giava Centrale), pronti a essere giustiziati. Si tratta di persone di diverse nazionalità: quattro cinesi, due dello Zimbabwe, due nigeriani, un senegalese, un pakistano e cinque indonesiani, tutti condannati a morte per reati di detenzione e spaccio di droga.

La Chiesa si mobilita contro le esecuzioni capitali
La Chiesa indonesiana, che più volte ha disapprovato pubblicamente il ricorso alla pena capitale, si è attivata: si terrà giovedì 26 maggio a Giacarta un summit di emergenza cui partecipano la Commissione "Giustizia e pace" della Conferenza episcopale indonesiana, la Comunità di Sant'Egidio-Indonesia e alcune tra le maggiori associazioni indonesiane impegnate in difesa dei diritti umani come Kontras, Imparsial, Elsam, Lbh Masyarakat.

La pena capitale è contraria alla dignità e al diritto alla vita di ogni persona
Mons. Ignazio Suharyo, arcivescovo di Jakarta e presidente dell'episcopato indonesiano, ha partecipato al seminario da titolo "La pena di morte in una nazione democratica", organizzato il 18 maggio dall'università cattolica Atma Jaya a Giacarta. In vista delle nuove esecuzioni, l'arcivescovo ha ribadito a posizione della Chiesa, contraria alla pena di morte in nome della dignità e del diritto alla vita di ogni persona. "Le leggi non sono perfette e i giudici possono commettere errori. Quando si pensa che le leggi sono perfette, è l'inizio di ingiustizia", ha detto mons. Suharyo.

Campagna di coscientizzazione della cittadinanza per fermare le esecuzioni
Come riferisce una nota inviata a Fides, il leader della Comunità di Sant'Egidio-Indonesia, Teguh Budiono, che coordinerà l'incontro del 26 maggio, ha ringraziato l'arcivescovo, confermando in cui la Chiesa e la società civile chiederanno una campagna di coscientizzazione della cittadinanza, per fermare le esecuzioni. 
Giacarta è tra le 15 città indonesiane dove negli anni scorsi si è tenuta la manifestazione "Città per la vita, città contro la pena di morte", organizzata da Sant'Egidio in oltre duemila comuni nei cinque continenti. Nel 2015 il governo indonesiano, nonostante le pressioni internazionali contrarie, ha giustiziato 14 detenuti condannati a morte per reati droga. (P.A.)

In Colombia è scomparsa la giornalista Salud Hernández e altri due giornalisti

Internazionale
Salud Hernández
A Catatumbo, una regione nel nordest della Colombia controllata da diversi gruppi di guerriglieri, sono scomparsi: la corrispondete del quotidiano spagnolo El Mundo, Salud Hernández, e altri due giornalisti della tv locale Rcn che stavano indagando sulla scomparsa della donna. Per il momento nessun gruppo armato ha rivendicato il rapimento dei giornalisti.

martedì 24 maggio 2016

Arabia Saudita: un saudita decapitato per omicidio, 94esima esecuzione del 2016

Blog Diritti Umani - Human Rights
Riyadh - Un saudita condannato per omicidio è stato decapitato con la sciabola a Riyadh, portando a 94 il numero delle esecuzioni in Arabia Saudita quest'anno.

In totale, 94 persone sono state eseguite in Arabia Saudita dall'inizio dell'anno, secondo un conteggio compilato da annunci ufficiali.

Nel 2015, 153 persone sono state eseguite, il numero più alto da 20 anni nel regno governato da una rigida interpretazione della legge islamica.

Le autorità invocano la deterrenza per giustificare la pena di morte applicata in casi di terrorismo, omicidio, stupro, rapina a mano armata e traffico di droga.

Cina, Iran, Pakistan, Arabia Saudita e Stati Uniti sono i cinque paesi dove c'è il maggior numero di esecuzioni di condannati a morte nel 2015, secondo un recente rapporto di Amnesty International .

ES

Fonte: AFP

Parigi - Incontro “Oriente e Occidente, dialoghi di civiltà” - Riccardi: «Serve il dialogo di civiltà plurali»

Avvenire
Pubblichiamo ampi stralci della relazione che Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, svolgerà stamani a Parigi durante l’incontro “Oriente e Occidente, dialoghi di civiltà” cui prenderà parte il grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib.
"La continuazione del dialogo tra Oriente e Occidente, nonostante le difficoltà, si deve a una volontà tenace di non far cadere i ponti, ma anche alla decisione di continuare a costruire simpatia e scambi d’idee. A tempi fissi, vogliamo fare il punto sul confronto tra due civiltà. Il nostro lavoro è stato definito bene, a Firenze, un anno fa, dal gran imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyib: «La piattaforma comune per la complementarietà ». E aggiungeva che tra le due civiltà «non ci sono alternative alla solidarietà». Per questo, passo dopo passo, vogliamo sviluppare una piattaforma allargata della complementarietà. Dialogo vuole dire abbandonare l’arroganza e il sospetto, come al-Tayyib diceva a Firenze. 

Oltre duemila migranti salvati nel canale di Sicilia. Altri 636 soccorsi in acque maltesi

Askanews
Roma - Oltre duemila migranti sono stati soccorsi nel Canale di Sicilia, e altri 636 in acque maltesi. Stipati in gommoni, pescherecci, imbarcazioni da diporto. La centrale operativa della Guardia costiera di Roma ha coordinato tutte le operazioni di soccorso nel canale di Sicilia: 15 operazioni. 


Sono intervenute la nave Dattilo della Guardia costiera, la Bettica e la Durand de la Penne della Marina militare italiana, i mezzi di Medici senza frontiere Dignity one e Bourbon Argos, la nave militare irlandese Le Roisin.

La nave della guardia costiera italiana Peluso, inoltre, ha collaborato con le autorità di Malta, soccorrendo, in acque maltesi, prima 229 migranti ammassati in un peschereccio, poi altri 407 in un'imbarcazione da diporto.

Grecia da' via a sgombero campo Idomeni che ospita migliaia di profughi

ANSA
Il piu' grande del paese, al confine con la Macedonia

Idomeni - Le autorita' greche hanno dato il via all'operazione per sgomberare gradualmente il campo profughi di Idomeni, il piu' grande del paese. Il campo e' situato al confine con la Macedonia e vi ha trova rifugio per mesi una popolazione stimata di oltre 8.400 persone. L'operazione e' cominciata stamane all'alba e ai giornalisti non e' stato permesso l'accesso alla zona.

lunedì 23 maggio 2016

Ricordo di Giovanni Falcone - 24 anni fa la strage di Capaci

Blog Diritti Umani - Human Rights

‘Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.’



Australia: iraniano si dà fuoco, da tre anni rinchiuso nel Centro per rifugiati nell'isola di Nauru

La Repubblica
È accaduto nel luogo di detenzione di Nauru, un'isola sperduta a oltre 2 mila chilometri a nord ovest dell'Australia. Un'attesa infinita che ha portato Omid, un ventenne iraniano, a darsi fuoco per protestare contro le leggi che vietano anche ai richiedenti asilo di entrare in territorio australiano. La moglie denucia: "Cure mediche insufficienti".
Manifestazione dei rifugiati in Australia "reclusi" nelle isole di Papua Nuova Guinea 
Partito alla ricerca di una nuova vita, Omid Masoumali, un rifugiato iraniano di 23 anni è riuscito a varcare il confine australiano per morire coperto di ustioni di terzo grado. Un'ironia della tragica sorte e delle leggi che anche dall'altra parte del mondo costringono migliaia di persone a rinunciare ai propri sogni e alla speranza di una vita migliore lontani da guerre e persecuzioni.

L'ultimo viaggio. A 23 anni Omid Masoumali ha deciso di darsi fuoco. Un gesto dettato dalla disperazione. Partito nel 2012 dall'Iran, il giovane si è imbarcato per raggiungere l'Australia. Ma qui è rimasto vittima delle leggi stringenti del governo di Canberra. Come altre migliaia di persone che provano a raggiungere illegalmente il suolo australiano via mare, Omid è stato rinchiuso nel centro detentivo di Nauru, un'isola del Pacifico che riceve finanziamenti dall'Australia per "ospitare" migranti e rifugiati in attesa che siano trasferiti in paesi terzi o ricondotti nella terra d'origine. Lì Omid è rimasto per tre anni. Tra anni di incertezze, di sogni e rabbia fino al tragico epilogo.

Senza cure. Secondo quanto riportato dai media locali, il giovane si è dato fuoco durante la visita di tre ispettori dell'Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhr) giunti a Nauru da Canberra per verificare lo stato di detenzione dei richiedenti asilo. Inutili i tentativi di spegnere le fiamme che hanno avvolto velocemente il corpo dell'uomo. La moglie di Omid ha denunciato la mancanza di cure tempestive che avrebbero potuto salvare la vita del giovane. 

È lei infatti a raccontare alle testate australiane come il marito sia rimasto per due ore nel centro medico dell'isola senza esser visitato da un dottore e abbia sofferto dolori atroci per otto ore prima che gli venisse somministrata della morfina. Le condizioni di Omid sono apparse subito disperate. Dopo esser stato trasportato nell'ospedale di Brisbane con un'eliambulanza, il ragazzo iraniano è morto a causa delle ustioni presenti sull'80% del corpo.

La legge australiana. Omid è solo l'ultima delle vittime che con gesti disperati cercano di portare alla luce il dramma dei rifugiati. Mentre in Europa si parla di costruire muri e limitare l'accesso di migranti e richiedenti, l'Australia ha escogitato un modo per risolvere il problema dei flussi migratori in costante crescita. Infatti, per fronteggiare l'aumento degli sbarchi di disperati, il governo di Canberra ha adottato una serie di procedure che comportano la detenzione di coloro che tentano di arrivare via mare in due centri costruiti fuori dalla frontiera australiana. 
Il primo, quello dove era recluso Omid è a Nauru, un'isola di 10 mila abitanti che negli anni ha fatto fortuna vendendo alla Gran Bretagna i diritti sulle ricche miniere di fosfati.

L'isola di Nauru. Il campo di detenzione di Nauru è stato spesso al centro di denunce mosse da diverse organizzazioni non governative. "Come Amnesty sottolinea da anni - ha detto Patel Champa, consigliere di ricerca di Amnesty International per il Pacifico - il sistema [australiano] attuale è crudele e inumano. Abbiamo ricevuto segnalazioni di stupri, molestie sessuali e abusi fisici e psicologici avvenuti in questi centri. Quest'ultima vittima è solo l'esempio più recente di come l'Australia sta trattando alcune delle persone più vulnerabili del mondo".

L'altra isola di Manus. Il secondo campo di detenzione per rifugiati si trova nell'Isola di Manus in Papua Nuova Guinea. Lì ad oggi sono presenti circa 850 rifugiati e richiedenti asilo che per anni hanno atteso di conoscere il destino riservato loro dalla burocrazia australiana. Ma le costanti denunce di Ong e sentenze dei tribunali che riconoscevano l'irregolarità del centro di Manus hanno portato il presidente della Papua Nuova Guinea alla decisione annunciata il 27 aprile di chiudere definitivamente la struttura detentiva. "L'Australia - sottolinea Michael Garcia Bochenek di Human Rights Watch - ha rigettato i richiami internazionali e le conclusioni della Commissione per i diritti umani australiana che ha chiesto la fine delle detenzioni offshore di rifugiati e richiedenti asilo. La decisione del primo ministro O Neill di chiudere il centro di Manus dopo la sentenza del tribunale permette alla Papua Nuova Guinea di staccarsi dal famigerato regime di detenzione offshore dell'Australia. Ora, richiedenti asilo e rifugiati detenuti dovrebbero essere trasferiti in altri paesi - tra cui Australia - dove si potranno ricostruire le loro vite".

di Chiara Nardinocchi