La storia - Un bambino siriano affetto da spina bifida, ha potuto raggiungere l'Italia grazie al corridoio umanitario e alla Comunità di Sant'Egidio
Il padre: "Ci stava a cuore la sua salute, ma non avremmo mai potuto rischiare la sua vita a bordo dei barconi..."
Aboudi a Genova preso in cura dall'Ospedale Gaslini |
Aboudi guarda da dietro gli occhiali rotondi che lo fanno assomigliare a Harry Potter, è divertito dalla macchina fotografica, ha imparato a dire "ciao" e "sono stanco" , spiega sorridendo Aziz, l'interprete, «perché questi giorni in effetti, il viaggio, l'accoglienza, le visite mediche sono state un po' impegnative».
«Ci ha colpito molto la disponibilità che abbiamo incontrato, l'accoglienza che abbiamo visto anche per un bambino disabile. Non è così dappertutto purtroppo» sottolinea Rima, che ha occhi solo per il figlio che le siede di fronte e che con qualche sorrisetto e una battuta la fa ridere. Ma cosa si pensa dall'altra sponda del Mediterraneo, tra i profughi che vogliono venire in Europa, degli ostacoli spesso insormontabili posti davanti ai migranti? Khaled sospira. «Non c'è da pensare. Un mio zio, con le barche, è venuto via dalla Siria, ora è in Germania. Noi dovevamo comunque partire, per lui. Poi, quando ci sarà la pace, torneremo in Siria. Cosa mi ha colpito qui? La sensazione di sicurezza. Di poter vivere. Noi e lui».
Aboudi, diminutivo familiare di Abdel, ha dieci anni ed è nato a Homs in Siria, dove i suoi genitori, Khaled e Rima, si sono visti distruggere la casa sotto i bombardamenti.
«La casa è stata colpita e siamo scappati, poco dopo è crollata completamente - racconta Khaled, 34 anni come la moglie - avevamo affittato un altro alloggio in un quartiere diverso ma poi la guerra continuava e siamo scappati in Libano».
«La casa è stata colpita e siamo scappati, poco dopo è crollata completamente - racconta Khaled, 34 anni come la moglie - avevamo affittato un altro alloggio in un quartiere diverso ma poi la guerra continuava e siamo scappati in Libano».
I bombardamenti si allontanano, ma la vita è difficile: «In Siria avevo un'attività da cambiavalute, in Libano ho fatto l'imbianchino ma non importa - sorride Khaled - A noi stava a cuore Aboudi, avevamo deciso di portarlo in Europa, perché aveva bisogno di cure. Ma non avremmo mai potuto rischiare la sua vita a bordo dei barconi...».
Aboudi è nato con la spina bifida, è stato già
operato ad Homs nei primi anni di vita, ma quando è scoppiata la guerra curarsi è diventata un'impresa impossibile. Adesso,
nella saletta del Convento dell'Annunziata dove la famiglia Nasser, in un'ennesima tappa di tre anni di spostamenti attraverso tre paesi, è ospite della Comunità di Sant'Egidio, il futuro ha ripreso colore. Khaled, Rima e Aboudi sono infatti arrivati a Genova attraverso uno dei corridoi umanitari che la Comunità continua a chiedere ai governi internazionali per avviare un vero canale di salvezza per i profughi, in particolare chi ha condizioni più difficili e delicate, verso l'Europa, e dire basta alla strage dei migranti che cercano di fuggire attraverso il mare o le frontiere sempre più chiuse.
Aboudi all'arrivo a Roma con i corridoi umanitari |
«Noi abbiamo fatto arrivare circa 250 famiglie - spiega Andrea Chiappori, presidente della Comunità a Genova - a Genova loro sono i primi, ma siamo disponibili ad accoglierne altri. Non si può attendere ancora, la scelta dei corridoi umanitari, soprattutto per determinati casi, è l'unica possibile». Khaled è entrato in contatto con i volontari di Sant'Egidio in Libano, ha raccontato la storia di Aboudi, l'unica preoccupazione sua e di Rima. Sono stati fatti tutti i passi necessari, contattato a Genova l'ospedale Gaslini, dove Aboudi è già stato visitato nel reparto di neurochirurgia, e dove verrà ricoverato nelle prossime settimane perché i medici genovesi riescano a ridargli, chissà, la possibilità se non di correre come i suoi coetanei almeno di potersi alzare dalla carrozzina blu dov'è seduto ora. Poi, sono volati in Italia, una prima sosta e a Roma e l'arrivo a Genova venerdì scorso, con una festa tutta per loro all'Annunziata.
«Ci ha colpito molto la disponibilità che abbiamo incontrato, l'accoglienza che abbiamo visto anche per un bambino disabile. Non è così dappertutto purtroppo» sottolinea Rima, che ha occhi solo per il figlio che le siede di fronte e che con qualche sorrisetto e una battuta la fa ridere. Ma cosa si pensa dall'altra sponda del Mediterraneo, tra i profughi che vogliono venire in Europa, degli ostacoli spesso insormontabili posti davanti ai migranti? Khaled sospira. «Non c'è da pensare. Un mio zio, con le barche, è venuto via dalla Siria, ora è in Germania. Noi dovevamo comunque partire, per lui. Poi, quando ci sarà la pace, torneremo in Siria. Cosa mi ha colpito qui? La sensazione di sicurezza. Di poter vivere. Noi e lui».
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