La fotografia del Censis: avremmo il 20% di bambini nati in meno nell’ultimo anno, una scuola pubblica con 35mila classi e 68mila insegnati in meno, saremmo senza 693mila lavoratori domestici e 449mila imprese. I numeri del modello di integrazione italiano che funziona
Come sarebbe l’Italia senza gli immigrati? Sarebbe un Paese con 2,6 milioni di giovani under 34 in meno e sull’orlo del crac demografico. Gli immigrati sono mediamente più giovani degli italiani e mostrano una maggiore propensione a fare figli.
Le nascite da almeno un genitore straniero in Italia fanno registrare un costante aumento: +4% dal 2008 al 2015, a fronte di una riduzione del 15,4% delle nascite da entrambi i genitori italiani. Dei 488mila bambini nati in Italia nel 2015, anno in cui si è avuto il minor numero di nati dall’Unità d’Italia, solo 387mila sono nati da entrambi i genitori italiani, mentre 73mila (il 15%) hanno entrambi i genitori stranieri e 28mila (quasi il 6%) hanno un genitore straniero.
È vero che il nostro sistema di gestione dei flussi migratori ha dovuto affrontare crescenti difficoltà. Il numero complessivo degli ospiti nelle strutture di prima e seconda accoglienza è passato dai 22.118 del 2013 ai 123.038 al 6 giugno 2016, con un aumento del 456 per cento. Ma il nostro modello di integrazione degli stranieri che si stabilizzano sul territorio nazionale funziona.
Gli alunni stranieri nella scuola (pubblica e privata) nel 2015 erano 805.800, il 9,1% del totale. Senza gli stranieri a scuola (la maggioranza dei quali sono nati in Italia) si avrebbero 35mila classi in meno negli istituti pubblici e saremmo costretti a rinunciare a 68mila insegnanti, vale a dire il 9,5% del totale.
Gli stranieri mostrano anche una voglia di fare e una vitalità che li porta a sperimentarsi nella piccola impresa, facendo proprio uno dei segni distintivi del nostro essere italiani
Anche sul mercato del lavoro la perdita degli immigranti significherebbe dover rinunciare a 693mila lavoratori domestici (il 77% del totale), che integrano con servizi a basso costo e di buona qualità quanto il sistema di welfare pubblico non è più in grado di garantire.
Gli stranieri mostrano anche una voglia di fare e una vitalità che li porta a sperimentarsi nella piccola impresa, facendo proprio uno dei segni distintivi del nostro essere italiani. Nel primo trimestre del 2016 i titolari d’impresa stranieri sono 449mila, rappresentano il 14% del totale e sono cresciuti del 49% dal 2008 a oggi, mentre nello stesso periodo le imprese guidate da italiani diminuivano dell’11,2 per cento.
Anche i trattamenti previdenziali confermano che il rapporto tra «dare» e «avere» vede ancora i cittadini italiani in una posizione di vantaggio. Gli immigranti che percepiscono una pensione in Italia sono 141mila: nemmeno l’1% degli oltre 16 milioni di pensionati italiani. Quelli che beneficiano di altre prestazioni di sostegno del reddito sono 122mila, vale a dire il 4,2% del totale.
Tutti segnali di quel modello di integrazione dal basso, molecolare, diffuso sul territorio che ha portato oltre 5 milioni di stranieri (che rappresentano l’8,2% della popolazione complessiva), appartenenti a 197 comunità diverse, a vivere e a risiedere stabilmente nel nostro Paese e che, alla prova dei fatti, ha mostrato di funzionare bene e di non aver suscitato i fenomeni di involuzione patologica che si sono verificati altrove in Europa, dove i territori ad altissima concentrazione di immigrati sono esposti a più alto rischio di etnodisagio. Dei 146 comuni italiani che hanno più di 50mila abitanti, solo 74 presentano una incidenza di stranieri sulla popolazione che supera la media nazionale. Tra questi, due si trovano al Sud: Olbia in Sardegna, con il 9,7% di residenti stranieri, e Vittoria in Sicilia, con il 9,1 per cento. Brescia e Milano sono i due comuni italiani con più di 50mila residenti che presentano la maggiore concentrazione di stranieri, che però in entrambi i casi è pari solo al 18,6% della popolazione. Seguono Piacenza, in cui gli stranieri rappresentano il 18,2% dei residenti, e Prato con il 17,9 per cento.
È vero che il nostro sistema di gestione dei flussi migratori ha dovuto affrontare crescenti difficoltà. Il numero complessivo degli ospiti nelle strutture di prima e seconda accoglienza è passato dai 22.118 del 2013 ai 123.038 al 6 giugno 2016, con un aumento del 456 per cento. Ma il nostro modello di integrazione degli stranieri che si stabilizzano sul territorio nazionale funziona.
Gli alunni stranieri nella scuola (pubblica e privata) nel 2015 erano 805.800, il 9,1% del totale. Senza gli stranieri a scuola (la maggioranza dei quali sono nati in Italia) si avrebbero 35mila classi in meno negli istituti pubblici e saremmo costretti a rinunciare a 68mila insegnanti, vale a dire il 9,5% del totale.
Gli stranieri mostrano anche una voglia di fare e una vitalità che li porta a sperimentarsi nella piccola impresa, facendo proprio uno dei segni distintivi del nostro essere italiani
Anche sul mercato del lavoro la perdita degli immigranti significherebbe dover rinunciare a 693mila lavoratori domestici (il 77% del totale), che integrano con servizi a basso costo e di buona qualità quanto il sistema di welfare pubblico non è più in grado di garantire.
Gli stranieri mostrano anche una voglia di fare e una vitalità che li porta a sperimentarsi nella piccola impresa, facendo proprio uno dei segni distintivi del nostro essere italiani. Nel primo trimestre del 2016 i titolari d’impresa stranieri sono 449mila, rappresentano il 14% del totale e sono cresciuti del 49% dal 2008 a oggi, mentre nello stesso periodo le imprese guidate da italiani diminuivano dell’11,2 per cento.
Anche i trattamenti previdenziali confermano che il rapporto tra «dare» e «avere» vede ancora i cittadini italiani in una posizione di vantaggio. Gli immigranti che percepiscono una pensione in Italia sono 141mila: nemmeno l’1% degli oltre 16 milioni di pensionati italiani. Quelli che beneficiano di altre prestazioni di sostegno del reddito sono 122mila, vale a dire il 4,2% del totale.
Tutti segnali di quel modello di integrazione dal basso, molecolare, diffuso sul territorio che ha portato oltre 5 milioni di stranieri (che rappresentano l’8,2% della popolazione complessiva), appartenenti a 197 comunità diverse, a vivere e a risiedere stabilmente nel nostro Paese e che, alla prova dei fatti, ha mostrato di funzionare bene e di non aver suscitato i fenomeni di involuzione patologica che si sono verificati altrove in Europa, dove i territori ad altissima concentrazione di immigrati sono esposti a più alto rischio di etnodisagio. Dei 146 comuni italiani che hanno più di 50mila abitanti, solo 74 presentano una incidenza di stranieri sulla popolazione che supera la media nazionale. Tra questi, due si trovano al Sud: Olbia in Sardegna, con il 9,7% di residenti stranieri, e Vittoria in Sicilia, con il 9,1 per cento. Brescia e Milano sono i due comuni italiani con più di 50mila residenti che presentano la maggiore concentrazione di stranieri, che però in entrambi i casi è pari solo al 18,6% della popolazione. Seguono Piacenza, in cui gli stranieri rappresentano il 18,2% dei residenti, e Prato con il 17,9 per cento.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.