Roma – Sono oltre 300 gli stomaci vuoti nelle prigioni israeliane: un nuovo sciopero della fame di massa è ufficialmente partito, dopo che nelle scorse settimane detenuti si stavano già unendo alla prima forma di protesta lanciata per sostenere Bilal Kayed. Il militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, arrestato nel 2002, aveva scontato la sua pena a 14 anni e mezzo di carcere quando, al momento del rilascio, è stato posto in detenzione amministrativa: sei mesi di carcere senza processo né accuse.
Bilal Kayed in sciopero della fame da 51 giorni, in detenzione amministrativa dopo aver scontato 14 anni di carcere |
Subito ha cominciato a scioperare, seguito poco dopo da altri detenuti. Oggi è al 51esimo giorno senza toccare cibo e le sue condizioni di salute sono deteriorate gravemente. Ieri la Palestinian Prisoners’ Society (Pps) ha annunciato che sono almeno 325 i prigionieri politici in sciopero: 285 legati ad Hamas nelle prigioni di Eshel e Nafha e 40 del Fronte Popolare. Accanto a Kayed altri cinque detenuti avevano lanciato la protesta per la stessa ragione, protestare contro la detenzione amministrativa, misura cautelare che il diritto internazionale autorizza solo in casi di emergenza e per periodi limitati. In Israele è la normalità.
Per questo stomaci vuoti anche per i fratelli Mahmoud e Mohammad al-Balboul, in sciopero dal 4 e dal 7 luglio; Malik al-Qadi e Ayyad Hreimi, dal 15; e Omar Nazzal, noto giornalista palestinese che digiuna da ieri.
Secondo i dati forniti da Addameer, associazione palestinese per i diritti dei prigionieri politici, sono circa 7mila i palestinesi in questo momento detenuti per ragioni politiche in un carcere israeliano, di cui 715 in detenzione amministrativi. Due numeri molto più alti della media della repressione israeliana e che Tel Aviv giustifica con l’ondata di violenze che dal primo ottobre è tornata a investire i Territori Occupati e lo Stato di Israele.
Israele ha già cominciato a reagire alla protesta degli stomaci vuoti: secondo la Pps molti prigionieri detenuti a Eshel sono stati trasferiti ieri nella prigione di Ohalei Kedar, mentre si moltiplicano i raid nelle celle e la confisca dei beni personali dei detenuti. A Ohalei Kedar, raccontano i detenuti, le forze israeliane hanno legato i prigionieri e li hanno spogliati e fotografati.
Tutte forme di pressione psicologica e fisica che le autorità carcerarie israeliane usano da decenni per interrompere gli scioperi della fame. Fin dagli anni ’70 il movimento dei prigionieri politici, tra le colonne portanti il più ampio movimento di resistenza popolare, organizza scioperi della fame di massa per ottenere condizioni migliori nelle carceri o per protestare contro forme di detenzione illegali. E in molti casi i prigionieri sono riusciti a raggiungere accordi con Israele, a volte però violati poco dopo da Tel Aviv.
Per questo la solidarietà da fuori è sempre immediata: in questi giorni si tengono molte manifestazioni e sit-in a sostegno dello sciopero della fame, in Cisgiordania e a Gaza. Tra i presidi anche quello del Sindacato dei Giornalisti Palestinesi, in solidarietà con il giornalista Nazzal, già posto in isolamento come forma punitiva: la famiglia e i colleghi si ritroveranno lunedì di fronte alla sede delle Nazioni Unite a Ramallah e Gaza City, nel giorno dell’udienza di fronte alla Corte Suprema israeliana.
Per questo stomaci vuoti anche per i fratelli Mahmoud e Mohammad al-Balboul, in sciopero dal 4 e dal 7 luglio; Malik al-Qadi e Ayyad Hreimi, dal 15; e Omar Nazzal, noto giornalista palestinese che digiuna da ieri.
Secondo i dati forniti da Addameer, associazione palestinese per i diritti dei prigionieri politici, sono circa 7mila i palestinesi in questo momento detenuti per ragioni politiche in un carcere israeliano, di cui 715 in detenzione amministrativi. Due numeri molto più alti della media della repressione israeliana e che Tel Aviv giustifica con l’ondata di violenze che dal primo ottobre è tornata a investire i Territori Occupati e lo Stato di Israele.
Israele ha già cominciato a reagire alla protesta degli stomaci vuoti: secondo la Pps molti prigionieri detenuti a Eshel sono stati trasferiti ieri nella prigione di Ohalei Kedar, mentre si moltiplicano i raid nelle celle e la confisca dei beni personali dei detenuti. A Ohalei Kedar, raccontano i detenuti, le forze israeliane hanno legato i prigionieri e li hanno spogliati e fotografati.
Tutte forme di pressione psicologica e fisica che le autorità carcerarie israeliane usano da decenni per interrompere gli scioperi della fame. Fin dagli anni ’70 il movimento dei prigionieri politici, tra le colonne portanti il più ampio movimento di resistenza popolare, organizza scioperi della fame di massa per ottenere condizioni migliori nelle carceri o per protestare contro forme di detenzione illegali. E in molti casi i prigionieri sono riusciti a raggiungere accordi con Israele, a volte però violati poco dopo da Tel Aviv.
Per questo la solidarietà da fuori è sempre immediata: in questi giorni si tengono molte manifestazioni e sit-in a sostegno dello sciopero della fame, in Cisgiordania e a Gaza. Tra i presidi anche quello del Sindacato dei Giornalisti Palestinesi, in solidarietà con il giornalista Nazzal, già posto in isolamento come forma punitiva: la famiglia e i colleghi si ritroveranno lunedì di fronte alla sede delle Nazioni Unite a Ramallah e Gaza City, nel giorno dell’udienza di fronte alla Corte Suprema israeliana.
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