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mercoledì 10 agosto 2016

L'estrema povertà non vale lo status di rifugiato

Altalex
Tribunale, Milano, ordinanza 15/04/2016
L’estrema povertà non rientra tra le cause di riconoscimento dello status di rifugiato per la concessione di asilo politico, di protezione sussidiaria, o della così detta protezione umanitaria, istituto di diritto interno. Stante l’infondatezza della domanda è necessario risolvere la seguente questione pregiudiziale da parte della Corte di giustizia dell’EU: se in base alla direttiva 2013/32/UE sia consentito respingere il ricorso giurisdizionale senza dover procedere a un nuovo ascolto del ricorrente nel caso in cui questi sia già stato sentito dalla Commissione territoriale competente.
Il tribunale di Milano – ordinanza 14 giugno 2016 – ha respinto la domanda di riconoscimento di protezione internazionale e in subordine di protezione umanitaria, rimettendo in punto di procedura, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale sulla necessità di rinnovare l’audizione personale del richiedente a seguito del rifiuto dell’autorità amministrativa.

Fatto. L’uomo nato a Mali, di religione mussulmana, aveva lasciato il suo Paese presentando in Italia richiesta di asilo. L’uomo era un contadino nel suo villaggio, che aveva in seguito dovuto abbandonare alla morte del padre, per contrasti con gli altri familiari su questioni ereditarie. Si era recato per un po’ da un parente ma poi era finito a vivere per strada e grazie alle offerte ricevute dai passanti. La grave situazione di povertà lo aveva infine indotto a lasciare il Mali.

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, dopo avere provveduto alla sua audizione, non aveva accolto la domanda di protezione internazionale, per assenza del fumus persecutionis e per l’esistenza di ragioni meramente economiche che hanno determinato la fuga dal suo Paese.

Le Commissioni territoriali, istituite con Legge n. 189/2002, hanno il compito di esaminare le richieste di riconoscimento dello “status di rifugiato” per ottenere l’asilo politico. La domanda può essere presentata dallo straniero che intenda chiedere protezione allo Stato italiano perché fugge da persecuzioni, torture o dalla guerra, anche se ha fatto ingresso in Italia in modo irregolare ed è privo di documenti.
Il richiedente deve chiaramente motivare la richiesta specificando i fatti persecutori o il danno grave, che ha causato la fuga.
La persecuzione o danno grave devono essere attuati dallo Stato, da partiti o organizzazioni che controllano lo Stato o soggetti non statuali qualora lo Stato, o chi lo controlla, non voglia fornire protezione alla vittima di persecuzione o danno grave.

Il diniego della Commissione era stato impugnato allegando la descrizione della difficile situazione del Mali.

Il provvedimento del Tribunale e il rinvio alla Corte UE. Anche il tribunale di Milano, ha ritenuto infondata la richiesta di protezione poiché gli elementi di fatto necessari per la prova dello status di rifugiato non sono stati allegati.

Lo stesso richiedente non ha prospettato un rischio legato all’instabilità politica del suo Paese, avendo ammesso di averlo lasciato per la sua condizione di estrema povertà.

Nemmeno poteva essere accolta – secondo il tribunale – la domanda di protezione sussidiaria, la quale può essere accordata al cittadino di un Paese non appartenente all'Unione europea o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva in precedenza la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno.

L’art. 14, D.Lgs. n. 251/2007, tra le cause di danno grave che subirebbe la persona in fuga dal proprio Paese, elenca la pena di morte, la tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante, o la minaccia grave e individuale alla vita e alla persona derivante da violenza indiscriminata in condizioni di conflitto armato.

La mera condizione di povertà non legittima neppure la concessione della così detta protezione umanitaria (Trib. Milano ordinanza 3 giugno 2016).

La protezione umanitaria si distingue dalla protezione internazionale perché riguarda soggetti con gravi problemi di salute o provenienti da Paesi afflitti da catastrofi naturali, per le quali è impossibile procedere a un rimpatrio, poiché un rinvio nel paese di origine o in un paese terzo comporterebbe la perdita delle opportunità di cura e di presa in carico che, invece, sono garantite in Italia.

In tali casi, rilevando gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale può riconoscere la protezione umanitaria.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari ha la durata di un anno e può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Quanto alle domande rivolte al tribunale, secondo i giudici milanesi, è possibile respingere il ricorso de plano, ossia senza procedere a una nuova audizione del richiedente se già interrogato dall’autorità amministrativa designata dallo Stato Italiano per la procedura di esame.

L’opinione è stata autorevolmente confermata dalla Suprema Corte di Cassazione la quale ha affermato che «in materia di procedimento per la protezione internazionale, non sussiste l’obbligo del giudice di disporre l’audizione del richiedente asilo» (Cass. Civ. 8 giugno 2016, n. 11754).

A livello europeo, la materia della protezione internazionale è regolata da diverse fonti comunitarie.

Primaria importanza assume la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che secondo la Corte di giustizia dell’UE “costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati» e l’intera disciplina, inclusa quella europea, deve essere interpretata alla luce della medesima”.

Quanto alla procedura per il riconoscimento, la fonte da tenere in considerazione è la direttiva 2013/32/UE, recepita in Italia attraverso il D.lgs. 142 del 2015, la quale non spiega se l’ascolto, nella fase giurisdizionale, possa o meno essere omesso in caso di decisione de plano, causata da ragioni di palese infondatezza della domanda.

Per questi motivi, il tribunale di Milano, sospendendo il giudizio, ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’EU la questione pregiudiziale, ossia se in base alle fonti citate sia consentito respingere il ricorso giurisdizionale senza dover procedere ad un nuovo ascolto del ricorrente nel caso in cui questi sia già stato sentito, e la domanda sia chiaramente infondata.

di Giuseppina Vassallo

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