Bernard-Henri Lévy: il dovere della memoria, un passo oltre le tenebre
Il discorso del filosofo francese a Kiev nel 75° anniversario del massacro degli ebrei ucraini
Pubblichiamo il discorso pronunciato dal filosofo francese Bernard-Henri Lévy a Kiev il 29 settembre, a nome del presidente della Repubblica francese, nel 75° anniversario del massacro di Babi Yar, in Ucraina, da parte dei nazisti e di collaborazionisti locali: 33.700 ebrei uccisi soltanto in quel 1941, che diventeranno oltre 100 mila alla fine della guerra.
Un gruppo di ebrei ucraini rastrellati dai nazisti a Babi Yar nel 1941 |
C’è sempre un momento, nel destino dei popoli, in cui le pagine più oscure del grande libro dei vivi e dei morti entrano nella luce della conoscenza e del rimorso. Per l’Ucraina questo momento è arrivato.
Settantacinque anni dopo il massacro, a Babi Yar, di tanti ebrei ucraini, tre quarti di secolo dopo la distruzione, in questo burrone per sempre maledetto e per sempre sacro, di 34 mila uomini, donne e bambini il cui unico crimine era essere nati ebrei, è giunto il tempo della contrizione, del pentimento e dell’iscrizione di questo crimine nel grande memoriale della coscienza universale.
E probabilmente non è un caso che questo momento cada alla vigilia dei giorni molto speciali che gli ebrei di tutto il mondo chiamano «i giorni terribili»; non è fortuito che coincida con la festa di Rosh Hashanah che è, per tutti gli ebrei, la celebrazione del Giudizio - un momento in cui ogni nazione, ogni popolo sono chiamati a comparire davanti al trono di Dio.
Sono consapevole di quanto questo dovere della memoria o, se si preferisce, del riconoscimento, possa essere penoso e spesso doloroso. So cosa può costare, almeno in apparenza, alla storia nazionale e all’orgoglio che ne scaturisce.
La Francia è passata attraverso lo stesso tipo di dovere, sacro ma tragico, della memoria. Perché, in definitiva, questo è ciò che ha fatto il presidente Jacques Chirac quando ha riconosciuto la responsabilità dello Stato nella deportazione degli ebrei francesi, rompendo un silenzio sigillato da decenni di censura istituzionale e politica. Ed è quello che ha fatto il Cancelliere Willy Brandt quando è andato a inginocchiarsi davanti al monumento ai martiri del ghetto di Varsavia. E ancora, è ciò che ha proclamato papa Giovanni Paolo II quando ha preso la storica decisione di andare a pregare da solo ad Auschwitz.
Bene, adesso tocca all’Ucraina, attraverso la voce del suo Presidente, invitare il paese a non cedere, ovviamente, sull’Holodomor; a celebrare, ancora e ancora, la memoria del metropolita Andrei Cheptitsky, Giusto tra le Nazioni; ma, al contempo, a fare dei morti di Babi Yar il simbolo della nostra comune umanità e il baluardo contro il ritorno del peggio - questi ucraini sepolti senza tombe, senza lasciare tracce, e senza nemmeno essere contati.
Ma sappiamo altresì che questo processo di riconoscimento è anche propedeutico alla giustizia e alla verità. Sappiamo che nessun paese al mondo è mai riuscito a costruire nulla di solido senza prima aver dissipato le sue ombre e i suoi fantasmi. E sappiamo che questo lavoro scrupoloso e appassionato sulla memoria, quest’opera di svelamento senza tregua, è stato uno dei principi della nuova Europa - il suo motore, la sua base e la sua costituzione.
Ogni gesto che è stato fatto oggi, in questo giorno speciale, tutte le parole che sono state dette o i nomi che sono stati sussurrati, sono come un velo di dolore, perdono e redenzione che si posa sul terreno contaminato dal sangue di tanti innocenti.
Ma siate pur certi, anche, che il fatto stesso che questa cerimonia abbia avuto luogo, il ritrovarsi su questa terra desolata, di molti ucraini di tutte le origini e fedi (ebrei, cristiani, musulmani, agnostici...), con le più alte autorità della nuova Ucraina e i rappresentanti degli Stati (Israele, Germania) che con l’Ucraina, e ora con il resto del mondo, condividono l’eredità dei morti Babi Yar, è per il vostro paese un ulteriore passo fuori dall’era del totalitarismo e delle tenebre - e un passo in avanti nella direzione del ricongiungimento con l’Europa.
Traduzione di Carla Reschia
Settantacinque anni dopo il massacro, a Babi Yar, di tanti ebrei ucraini, tre quarti di secolo dopo la distruzione, in questo burrone per sempre maledetto e per sempre sacro, di 34 mila uomini, donne e bambini il cui unico crimine era essere nati ebrei, è giunto il tempo della contrizione, del pentimento e dell’iscrizione di questo crimine nel grande memoriale della coscienza universale.
E probabilmente non è un caso che questo momento cada alla vigilia dei giorni molto speciali che gli ebrei di tutto il mondo chiamano «i giorni terribili»; non è fortuito che coincida con la festa di Rosh Hashanah che è, per tutti gli ebrei, la celebrazione del Giudizio - un momento in cui ogni nazione, ogni popolo sono chiamati a comparire davanti al trono di Dio.
Sono consapevole di quanto questo dovere della memoria o, se si preferisce, del riconoscimento, possa essere penoso e spesso doloroso. So cosa può costare, almeno in apparenza, alla storia nazionale e all’orgoglio che ne scaturisce.
La Francia è passata attraverso lo stesso tipo di dovere, sacro ma tragico, della memoria. Perché, in definitiva, questo è ciò che ha fatto il presidente Jacques Chirac quando ha riconosciuto la responsabilità dello Stato nella deportazione degli ebrei francesi, rompendo un silenzio sigillato da decenni di censura istituzionale e politica. Ed è quello che ha fatto il Cancelliere Willy Brandt quando è andato a inginocchiarsi davanti al monumento ai martiri del ghetto di Varsavia. E ancora, è ciò che ha proclamato papa Giovanni Paolo II quando ha preso la storica decisione di andare a pregare da solo ad Auschwitz.
Bene, adesso tocca all’Ucraina, attraverso la voce del suo Presidente, invitare il paese a non cedere, ovviamente, sull’Holodomor; a celebrare, ancora e ancora, la memoria del metropolita Andrei Cheptitsky, Giusto tra le Nazioni; ma, al contempo, a fare dei morti di Babi Yar il simbolo della nostra comune umanità e il baluardo contro il ritorno del peggio - questi ucraini sepolti senza tombe, senza lasciare tracce, e senza nemmeno essere contati.
Ma sappiamo altresì che questo processo di riconoscimento è anche propedeutico alla giustizia e alla verità. Sappiamo che nessun paese al mondo è mai riuscito a costruire nulla di solido senza prima aver dissipato le sue ombre e i suoi fantasmi. E sappiamo che questo lavoro scrupoloso e appassionato sulla memoria, quest’opera di svelamento senza tregua, è stato uno dei principi della nuova Europa - il suo motore, la sua base e la sua costituzione.
Ogni gesto che è stato fatto oggi, in questo giorno speciale, tutte le parole che sono state dette o i nomi che sono stati sussurrati, sono come un velo di dolore, perdono e redenzione che si posa sul terreno contaminato dal sangue di tanti innocenti.
Ma siate pur certi, anche, che il fatto stesso che questa cerimonia abbia avuto luogo, il ritrovarsi su questa terra desolata, di molti ucraini di tutte le origini e fedi (ebrei, cristiani, musulmani, agnostici...), con le più alte autorità della nuova Ucraina e i rappresentanti degli Stati (Israele, Germania) che con l’Ucraina, e ora con il resto del mondo, condividono l’eredità dei morti Babi Yar, è per il vostro paese un ulteriore passo fuori dall’era del totalitarismo e delle tenebre - e un passo in avanti nella direzione del ricongiungimento con l’Europa.
Traduzione di Carla Reschia
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