Anche la Cei, Conferenza episcopale italiana, scende in campo a favore dei corridoi umanitari: l’unica via di accesso sicura e legale verso l’Europa, a oggi, per i profughi in fuga da guerre e persecuzioni.
«Stiamo definendo il protocollo d’intesa generale, poi inizieranno le pratiche per i primi viaggi, di cui saremo anche ente finanziatore», spiega don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana
«Saranno almeno 500 le persone eritree, etiopi o somale che, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e il ministero degli Esteri porteremo prossimamente in Italia», spiega don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana. «Stiamo definendo il protocollo d’intesa generale, poi inizieranno le pratiche per i primi viaggi, di cui saremo anche ente finanziatore».
Dove saranno ospitate queste persone, una volta accolte? «Nelle strutture delle Caritas diocesane già aperte sul territorio, in modo strutturato e con attenzione all’importanza di un inserimento graduale nel tessuto sociale ospitante». Le persone coinvolte nel corridoio, in primo luogo famiglie con situazioni di vulnerabilità come per i canali umanitari già attivati da tempo da Sant’Egidio e Federazione delle chiese evangeliche, verranno selezionate in Etiopia anche grazie alle sedi locali della Caritas internazionale. «Con questa iniziativa entriamo nell’accompagnamento dei profughi in ogni fase, dalla A alla Z, e vogliamo sia uno stimolo per tutte le istituzioni affinché ognuno faccia la sua parte», sottolinea Soddu.
Il riferimento è chiaro, in un’Unione europea che oggi arranca ad accogliere sistematicamente – dei 160mila ricollocamenti previsti in 4 anni, si è arrivati a soli 15mila totali dopo quasi un anno e mezzo dall’impegno messo nero su bianco in sede Ue – e con numeri di arrivi in aumento senza soluzione di continuità, «bisogna fare di più. Noi lo stiamo facendo, perché ci sentiamo parte in causa», conclude il direttore di Caritas italiana, che oggi ha presentato l’esaustivo rapporto “Europa non exit” (in allegato), in collaborazione con Fondazione Migrantes, Anci, rete Sprar, Cittalia e Unhcr, Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati.
«Saranno almeno 500 le persone eritree, etiopi o somale che, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e il ministero degli Esteri porteremo prossimamente in Italia», spiega don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana. «Stiamo definendo il protocollo d’intesa generale, poi inizieranno le pratiche per i primi viaggi, di cui saremo anche ente finanziatore».
Dove saranno ospitate queste persone, una volta accolte? «Nelle strutture delle Caritas diocesane già aperte sul territorio, in modo strutturato e con attenzione all’importanza di un inserimento graduale nel tessuto sociale ospitante». Le persone coinvolte nel corridoio, in primo luogo famiglie con situazioni di vulnerabilità come per i canali umanitari già attivati da tempo da Sant’Egidio e Federazione delle chiese evangeliche, verranno selezionate in Etiopia anche grazie alle sedi locali della Caritas internazionale. «Con questa iniziativa entriamo nell’accompagnamento dei profughi in ogni fase, dalla A alla Z, e vogliamo sia uno stimolo per tutte le istituzioni affinché ognuno faccia la sua parte», sottolinea Soddu.
Il riferimento è chiaro, in un’Unione europea che oggi arranca ad accogliere sistematicamente – dei 160mila ricollocamenti previsti in 4 anni, si è arrivati a soli 15mila totali dopo quasi un anno e mezzo dall’impegno messo nero su bianco in sede Ue – e con numeri di arrivi in aumento senza soluzione di continuità, «bisogna fare di più. Noi lo stiamo facendo, perché ci sentiamo parte in causa», conclude il direttore di Caritas italiana, che oggi ha presentato l’esaustivo rapporto “Europa non exit” (in allegato), in collaborazione con Fondazione Migrantes, Anci, rete Sprar, Cittalia e Unhcr, Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati.
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