Le purghe post-golpe in Turchia non sono mai finite. La campagna lanciata dal presidente Erdogan dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio ha fatto ieri altre vittime, ancora una volta tra la stampa indipendente: all'alba la polizia ha arrestato undici giornalisti del quotidiano Cumhuriyet, tra cui il direttore Murad Sabuncu, e ha poi vietato al resto dei media turchi di parlare dell'operazione.
Il giornale era stato già colpito l'anno scorso quando l'allora direttore Dundar e il caporedattore Gul finirono in prigione per 90 giorni per aver pubblicato reportage sui legami tra servizi segreti turchi e gruppi islamisti in Siria. Gli arresti di ieri, però, sono usciti da un altro cappello: i 15 mandati d'arresto, dice il procuratore capo di Istanbul, sono stati spiccati per "crimini a favore delle organizzazioni terroristiche di Gulen e del Pkk". Due soggetti ben diversi tra loro, radicalmente distanti, ma da mesi ormai usati per fare piazza pulita delle voci critiche. Tra i quattro giornalisti scampati al carcere perché all'estero c'è lo stesso Dundar, la cui casa di Istanbul è stata però perquisita.
"Pubblicheremo domani e continueremo a farlo nonostante i tentativi di metterci sotto silenzio - dice a Middle East Eye uno dei giornalisti di più lungo corso del quotidiano, Ayse Yildirim. Ci sono rimasti solo tre giornali liberi in Turchia e una o due televisioni. Non possiamo avere paura". Il governo, al contrario, definisce gli arresti parte di un'indagine giudiziaria e non un attentato alla libertà di stampa. Difficile crederlo visti i regolari abusi contro i media che fanno della Turchia il secondo paese al mondo dopo la Cina per giornalisti in carcere, ben 99. Sono oltre 160 i canali tv, le stazioni radio, i quotidiani, le riviste e le agenzie stampa chiusi dopo la dichiarazione dello stato di emergenza lo scorso luglio. Solo ieri è toccato ad altri 15 media kurdi. Per questo ieri un gruppo di giornalisti licenziati ha lanciato un nuovo social media per evitare la censura di Stato: #HaberSIZsiniz lavorerà da Ankara via Facebook e Periscope.
di Chiara Cruciati
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