I numeri verdi per la prevenzione dei suicidi registrano picchi di chiamate. I crimini d'odio sono aumentati. E tra le minoranze torna una paura che si credeva ormai archiviata.
Alla National Suicide Prevention Lifeline, organizzazione che si occupa di prevenire i suicidi in America con un servizio di assistenza telefonica 24 ore al giorno, raccontano che un picco di chiamate così non si registrava dall'11 settembre.
Molte delle persone che chiedono aiuto appartengono alla comunità Lgbt, uno dei segmenti più vulnerabili della popolazione americana, con un tasso di suicidi giovanili che va dal 30% per gay, lesbiche e bisessuali fino al 40% per i transgender.
Eppure non sono gli unici: da quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, un sentimento di paura si è diffuso tra gli esponenti delle minoranze che sono state bersaglio della sua campagna elettorale.
Nei centri di assistenza per gli immigrati raccontano di decine di giovani latinos che si recano quotidianamente agli sportelli denunciando la fine del sogno americano. Nel loro caso, non è solo il più classico dei riferimenti: "dreamers", sognatori, è il nome con cui è conosciuta la battaglia di figli di immigrati irregolari per vedersi riconosciuta la cittadinanza americana.
Gli episodi di violenza che si stanno moltiplicando sul territorio nazionale non aiutano certo la situazione: scuole elementari, università, strade e chiese - dalla Pennsylvania alla Florida - sono diventati teatri di bullismo, molestie, svastiche e offese contro neri, messicani, gay, musulmani.
A Brooklyn due musulmane sono state attaccate da una donna che ha provato a strappare loro con violenza il velo dal volto, ferendole.
Il finanziere miliardario, e grande donatore democratico, George Soros ha addirittura predisposto un fondo di 10 milioni di dollari per "combattere quello che sta succedendo negli Stati Uniti". Il denaro sarà destinato alle organizzazioni che si occupano di diritti civili impegnate nel combattere la nuova violenza discriminatoria.
Un terrore profondo. Che si risveglia - "Molte persone che non hanno sangue americano, o che hanno combattuto per sedere al tavolo dei diritti, si sentono in pericolo", spiega al Corriere Alison Howard, psicoterapeuta di Washington D.C. che dall'inizio della campagna elettorale ha visto aumentare "l'ansia da Trump" tra i suoi pazienti. "Il tono di odio e minaccia usato durante la campagna - continua - si è sedimentato nelle menti dei pazienti andando a toccare corde molto profonde".
Per alcuni ci sono radici familiari: "Nei pazienti che hanno avuto esperienze indirette di dittature - spiega - si risveglia quel terrore atavico di essere deportato o punito. Per altri, come gli afroamericani o le comunità Lgbt, c'è la consapevolezza della fragilità delle proprie conquiste che possono dunque essere rimesse in discussione.
E poi ci sono le donne: molte hanno vissuto la sfida tra Clinton e Trump come un esempio degli attacchi sessisti che devono subire nella loro quotidianità. "Per questo la sconfitta della candidata democratica ha un valore simbolico enorme: nella sua vicenda ritrovano le storie di maltrattamenti e umiliazioni che provengono dal capo, dal marito, dagli sconosciuti in strada".
"Non è il momento di stare soli" - Già, ma come si supera "lo stress da Trump"? "Bisogna lavorare sul controllo, mettere in campo tutto ciò che ci fa sentire di avere potere sulla nostra vita - consiglia Alison. Per alcuni può essere partecipare alle manifestazioni, per altri stare a casa con la famiglia, per altri ancora ritrovarsi nella comunità per parlare di problemi e obiettivi comuni". Scendere nelle strade sarebbe dunque un modo per elaborare il lutto di un orizzonte tradito. "Questo non è un momento per stare da soli", spiega al Corriere la filosofa di Berkeley Judith Butler. Il timore per un futuro governato da un miliardario che ha giocato con i bassi istinti dei cittadini riguarda anche uomini e donne che, pur non appartenendo alle minoranze sotto accusa, vedono negate le speranze di progresso democratico e liberale.
Eppure c'è una differenza: "Coloro che hanno un privilegio devono combattere per chi vive nella paura", spiega l'ideologa dei gender studies, secondo cui la solidarietà è la risposta alla paura. "Noi combattiamo non solo per sopravvivere ma per vivere insieme come essere uguali". Sulla natura strumentale della paura la filosofa, autrice di Vite precarie. I poteri del lutto e della violenza, non ha dubbi: "Se non si accompagna alla solidarietà è solo uno mezzo di depoliticizzazione: chi vive nel terrore smette di essere una persona, e diventa così più vulnerabile".
di Serena Danna
di Serena Danna
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