Era ormai a fine pena ma la donna di 37 anni che si trovava in isolamento non aveva più nessuno a cui rivolgersi fuori dal carcere e nemmeno una casa

L’ambulanza è arrivata pochi minuti dopo, e sono stati fatti tutti i tentativi di rianimazione possibili in questi casi, anche se la situazione era drammatica, ma per la giovane donna non c’è stato nulla da fare. Era in carcere da due anni, arrestata per reati contro il patrimonio che le erano costati tre anni di condanna: a luglio sarebbe stata rimessa fuori, tornata in libertà, per quanto senza un punto di riferimento in Italia a cui rivolgersi o una dimora fissa. Cosa l’abbia spinta a prendere quella tragica decisione, rimane un mistero. Non risulta che abbia lascito nulla utile a capire i motivi di quella disperazione, e all’interno della sezione, non era ritenuta una detenuta critica, o in condizione di particolare disagio. Già abituata alla vita del carcere, con davanti una prospettiva di fine pena ormai vicina, che avrebbe dovuto incoraggiarla ad andare avanti.
Eppure gli agenti, e l’intera struttura penitenziaria, sono stati travolti da questo accadimento drammatico. Per quanto gli atti di autolesionismo siano una realtà con cui ogni giorno devono fare i conti tutte le strutture penitenziarie, cono sempre un evento traumatico per tutti, per chi ci lavora e per chi lo vive suo malgrado. Un trauma molto forte anche per gli altri detenuti, che condividono la difficoltà di dover sopravvivere in un ambiente ostile e di privazione. Che fatti di questo genere accadano in sezioni femminili, è però un evento raro: da un lato per la percentuale molto bassa di donne rispetto alla popolazione carceraria maschile. Dall’altro per una diversa capacità di reagire alle avversità, che raramente spinge le donne verso scelte di questo genere. Eppure questa volta è stata proprio una sezione femminile a dover far i conti con questa triste pagina.
c'è solo da piangere
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