Il Manifesto
Luigi Manconi, presidente commissione Diritti umani del Senato. "La quasi totalità dei migranti che arriva in Italia viene registrata. Non stiamo parlando quindi di un esercito di clandestini senza nome e senza volto". "Che senso ha la parola d'ordine "un Cie in ogni regione"? Si sta rilanciando l'equazione sciagurata irregolare uguale terrorista, spingendo così alla clandestinità quanti invece vorrebbero emergere alla legalità della regolarizzazione". Il presidente della commissione Diritti umani del Senato Luigi Manconi non è per niente convinto delle misure contro gli immigrati irregolari annunciate dal ministro degli Interni Marco Minniti.
L'attentato di Berlino ha provocato una svolta repressiva nella gestione dei migranti irregolari.
Credo che la discussione pubblica sia profondamente deformata da tre paradossi. Il primo riguarda la questione dei rimpatri. Anis Amri, l'attentatore di Berlino, ha trascorso quattro anni in un carcere italiano, poi è stato trasferito nel Cie di Caltanissetta per essere rimpatriato ma le autorità consolari tunisine, nonostante vi sia un accordo di riammissione, si rifiutano di riconoscerlo come loro concittadino. Dunque gli viene notificato l'ordine di lasciare l'Italia. La sua storia giudiziaria - comprese le notizie riguardanti una sua possibile radicalizzazione - viene registrata nel database comune a tutti gli stati europei. Parliamo quindi di uno straniero identificato, passato attraverso tutte le procedure della legge, i cui movimenti sono stati monitorati e comunicati tra le forze di polizia dei diversi paesi. Nonostante ciò, non è stato possibile impedire l'attacco di Berlino.
Questo significa che bisogna arrendersi?
No, piuttosto che non esistono soluzioni miracolose.
E il secondo paradosso?
Il secondo paradosso riguarda il reato di clandestinità: norma inutile, meramente simbolica e schiettamente reazionaria che punisce non un atto ma una condizione esistenziale. Per giunta lenta perché, in ragione di quanto previsto dal nostro ordinamento, esige un lungo iter processuale (tre gradi di giudizio). Per questo e per la violazione del fondamentale diritto umano alla libertà di movimento, andava abrogata. Ma così non si è fatto per sudditanza psicologica nei confronti delle destre. Ora, finalmente, si rivela un arnese arruginito. E poi c'è il terzo paradosso che riguarda l'identificazione degli stranieri. Di oltre il 90% delle 180.000 persone sbarcate nel 2016 in Italia conosciamo dati anagrafici e impronte digitali grazie al foto-segnalamento che avviene appena giunti sulle nostre coste. Dunque la quasi totalità dei migranti sbarcati viene registrata e i dati vengono acquisiti all'interno di una banca-dati europea. Perciò non stiamo parlando di un esercito di clandestini senza volto e senza nome.
Resta il problema di una scarsa collaborazione e scambio di informazione tra le varie polizie europee.
La vera questione sicurezza è rappresentata proprio dalla debolezza dell'attività di intelligence, controllo del territorio e cooperazione a livello europeo. Come dimostra in maniera lampante la vicenda di Amri, il problema è rappresentato dalla scarsa efficienza dell'attività di prevenzione nei confronti di coloro che operano a fini terroristici. Si tratta, dunque, di concentrare l'attenzione, focalizzare gli interventi e selezionare con intelligenza gli obiettivi. E, invece, si fa l'esatto contrario: si rilancia l'equazione "irregolare uguale clandestino uguale terrorista". É un'assimilazione sciagurata, che ha l'effetto di criminalizzare chi è irregolare esclusivamente per necessità e di spingere verso la clandestinità criminale quanti, al contrario, vorrebbero emergere alla legalità della regolarizzazione. Nella stragrande maggioranza dei casi chi è chiamato clandestino è, in realtà, uno straniero che non ha un titolo valido per vivere nel nostro paese per una serie di ragioni, prima tra tutte una normativa estremamente rigida ed escludente, con requisiti sempre più discriminatori. E clandestine, va ricordato, sono le migliaia di persone impiegate "in nero" nell'agricoltura e nell'edilizia.
Verso le quali come bisogna agire?
Si tratta di persone da regolarizzare e non da chiudere in un Centro di identificazione ed espulsione. Del resto, la popolazione trattenuta in quei centri ne è la dimostrazione: ex-detenuti, stranieri residenti in Italia da anni ma che hanno perso il lavoro, vittime di tratta, persone apolidi, diciottenni nati e cresciuti in Italia ma privi di cittadinanza.
E parliamo di strutture dove i diritti fondamentali vengono costantemente violati, i cui costi sono enormi e che presentano un bilancio disastroso: nella migliore delle ipotesi appena la metà dei trattenuti viene rimpatriata. Qual è il senso, dunque di una parola d'ordine come "un Cie in ogni regione"?
di Leo Lancari
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