Il bando imposto da Trump agli immigrati provenienti da sette Paesi islamici è arrivato ieri davanti alla Corte d’Appello di San Francisco, per la prima udienza, ma intanto molti rifugiati stanno già scappando da mesi verso il Canada.
Secondo i dati della Canada Border Services Agency, citati dalla Reuters, nel 2016 oltre 7000 rifugiati sono arrivati legalmente dagli Stati Uniti, facendo registrare un aumento del 63% rispetto all’anno prima, mentre oltre 2000 sono entrati illegalmente. Nel Quebec tra l’aprile del 2016 e il gennaio del 2017 sono giunti 1280 rifugiati illegali, cioè il triplo dell’anno passato; in British Columbia sono stati 652, cioè il doppio. Molti di loro hanno sfidato il freddo, attraversando le praterie gelate in particolare dopo le presidenziali dell’8 novembre, con un atto di auto deportazione compiuto per sfuggire ai provvedimenti di espulsione promessi da Trump.
Un caso emblematico è il Manitoba, dove tra il primo novembre del 2016 e il 25 gennaio del 2017 l’agenzia locale per l’accoglienza dei rifugiati ha aiutato 91 persone, più del totale degli arrivi registrati normalmente nel corso di un anno. Tutti arrivati a piedi, clandestinamente, come Anisa Hussein e Lyaan Mohammed, due somali di 20 e 19 anni. «Eravamo arrivate in agosto a Minneapolis - hanno spiegato alla Reuters - per chiedere asilo. Poi Trump ha detto che avrebbe cacciato i rifugiati, rimandandoci in Somalia. Allora siamo andate in bus nel North Dakota, e poi abbiamo camminato a piedi per ore per arrivare nel Manitoba».
I rapporti fra Usa e Canada in questa materia sono regolati dal Safe Third Country Agreement del 2004, che obbliga i rifugiati in arrivo a chiedere asilo nel luogo dove arrivano prima. Con l’avvento di Trump, però, questa linea non funziona più, perché da una parte lui ha imposto il bando, e dall’altra il premier Trudeau ha promesso di accoglierli. Il risultato è che molti di loro ora scappano dagli Usa verso il Canada da illegali, perché se si presentassero alla frontiera verrebbero rispediti indietro, sulla base del Safe Third Country Agreement. Questo accordo era stato siglato supponendo che gli Usa li avrebbero tenuti, ma ora invece rischiano di essere rispediti nei Paesi d’origine. Quindi molti preferiscono correre il pericolo di entrare a piedi in Canada.
Questa tragedia nella tragedia è legata alla causa in corso davanti alla Corte d’Appello di San Francisco, dove è arrivata la decisione del giudice di Seattle James Robart, nominato da George Bush, che ha bloccato il bando di Trump. Ieri tre magistrati, William Canby nominato da Carter, Michelle Friedland nominata da Obama, e Richard Clifton nominato da Bush, hanno ascoltato via telefono gli argomenti degli avvocati. Da una parte c’era il dipartimento alla Giustizia, che ha sostenuto il diritto del presidente di regolare l’accesso per motivi di sicurezza. Dall’altra gli Stati di Washington e Minnesota, sostenuti dai ministri della Giustizia di altri 15 Stati fra cui California e New York, dal Distric of Columbia, da circa 100 aziende fra cui i colossi digitali Apple, Google e Facebook, e da ex segretari di Stato democratici come Kerry e Albright, che sostenevano il contrario per tre motivi: primo, il bando è illegale; secondo, mette a rischio la sicurezza nazionale; terzo, danneggia l’economia. Qualunque sarà la decisione della Corte d’Appello, il caso finirà davanti alla Corte Suprema, come ha ammesso ieri lo stesso Trump.
Paolo Mastrolilli
Inviato a New York
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