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venerdì 31 marzo 2017

Contro il Decreto Minniti - Appello mondo cultura e spettacolo: Aiutare i poveri non punirli

La Repubblica
Un appello contro il decreto Minniti lanciato da personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo. 
Per aderire, i promotori hanno invitato a scrivere alla mail 
In questi giorni le Camere stanno discutendo due decreti - quello sulla "sicurezza urbana" e quello sul "contrasto all'immigrazione illegale"- che portano il nome del Ministro dell'Interno, Marco Minniti.


Entrambi i decreti hanno la stessa radice: la persecuzione dei poveri, dei senza fissa dimora, degli immigrati e la filosofia della "prevenzione" per via giudiziaria e poliziesca del disagio sociale, del malessere urbano e la limitazione del diritto d'asilo. 

Con il decreto sulla "sicurezza urbana", in nome del "decoro" e della "tranquillità" dei cittadini si dà ai sindaci il potere di sanzionare, multare ed espellere i poveri e i senza fissa dimora dai centri storici. 

Con il decreto sulla immigrazione si ripristinano e si rilanciano i centri di detenzione e si limita gravemente -una previsione incostituzionale- ai richiedenti asilo la possibilità di ricorso.

Questi due decreti trattano i poveri come delinquenti e i richiedenti asilo come truffatori: invece di affrontare la povertà e la fuga dalle guerre con le politiche sociali, la solidarietà, i diritti si sceglie la strada punitiva, securitaria, poliziesca. 

Chiediamo ai deputati e ai senatori - nel prosieguo della discussione parlamentare- di negare l'approvazione a questi due decreti e sosteniamo la mobilitazione delle organizzazioni della società civile che si stanno opponendo a questi due provvedimenti.
Sottoscrivono: Fabrizio Gifuni, Wilma Labate, Giulio Marcon, Valerio Mastandrea, Roberto Saviano, Andrea Segre, Padre Alex Zanotelli

India - carcere. Condizioni di abbandono per 400 mila detenuti in 1382 istituti di pena

L'Osservatore Romano
"Quasi quattrocentomila persone languono senza amore, speranza e aiuto in 1382 case di detenzione in India. Per questo motivo, vi invitiamo a trascorrere un anno come volontari o addetti a tempo pieno nella nostra comunità". È l'appello lanciato da padre Sebastian Vadkumpadan, coordinatore nazionale dell'associazione Prison Ministry India, un'organizzazione cattolica dello stato del Karnataka che da oltre 30 anni porta sollievo ai carcerati rinchiusi nelle prigioni del paese. 



Conta oltre 6000 volontari che mettono entusiasmo, competenze ed energie per dare speranza e migliorare la qualità della vita dei detenuti. "Prison Ministry India offre ai giovani volontari la possibilità - sottolinea il sacerdote - di essere coinvolti in un percorso di riabilitazione".

L'iniziativa parte da un episodio avvenuto lo scorso anno nel periodo pasquale, durante una delle numerose opere di misericordia. Nel giovedì santo, monsignor Kuriakose Bharanikulangara, vescovo di Faridabad, durante la cerimonia della lavanda dei piedi nel carcere di Tihar, a New Delhi, aveva lavato i piedi di dodici prigionieri. Alla fine della liturgia un altro prigioniero si è avvicinato all'altare e ha domandato: "Eccellenza, può lavare anche i miei piedi?". Per il vescovo e i presenti quella richiesta è stata una vera sorpresa. Il presule, quindi, ha accolto con gioia la domanda del tredicesimo carcerato, detenuto con false accuse.

"Dovremmo andare tutti alla ricerca del tredicesimo prigioniero - ha spiegato monsignor Peter Remigius, vescovo di Kottar e presidente di Prison Ministry India - disposto ad accogliere il nostro sostegno e supporto. È possibile che essi non siano disponibili ad accoglierci, ma noi dobbiamo sempre avere uno spazio amorevole per loro". 

Grazie al sostegno di diocesi, congregazioni e istituzioni ecclesiastiche lo scorso anno centinaia di detenuti hanno riguadagnato la libertà. Sulla scia delle opere attuate nell'anno della misericordia, l'organizzazione - riferisce AsiaNews - ha deciso di dare il via in tutta l'India al "reclutamento" di volontari per dare il proprio contributo nel ricercare il "tredicesimo prigioniero".

Venezuela - Esautorato il Parlamento dal Tribunale di Giustizia vicino a Maduro. E' golpe

Il Post
Mercoledì il Tribunale Supremo di Giustizia venezuelano, il massimo organo del sistema giudiziario del Venezuela, si è attribuito il potere legislativo dopo averlo tolto all’Assemblea Nazionale, il Parlamento unicamerale venezuelano. 



La decisione del Tribunale, arrivata dopo mesi di profonda crisi politica, è di enorme importanza per il paese non solo perché rende di fatto nulli i poteri del Parlamento, ma anche perché è un colpo durissimo per i partiti politici che si oppongono al presidente Nicolás Maduro. 

Il Parlamento di Caracas è infatti controllato dalle opposizioni ed è l’unico organo rimasto a contrastare le politiche di Maduro, responsabili di avere alimentato la già grave crisi che aveva colpito il Venezuela qualche anno fa. 

Il Tribunale, che invece è controllato dal governo, ha giustificato la sua decisione sostenendo che il Parlamento ha continuato a porsi in una posizione di «ribellione e oltraggio» alle decisioni del massimo organo giudiziario. 

Quella di ieri è letta e descritta dalla stampa internazionale come l’ultima mossa di Maduro per accentrare ancora di più i suoi poteri e ridurre al minimo quelli dell’opposizione.

Lo scontro tra Tribunale Supremo di Giustizia e Assemblea Nazionale andava avanti da più di un anno: nel gennaio 2016 il Tribunale aveva già dichiarato la situazione di «ribellione e oltraggio» e aveva annunciato che tutti gli atti del Parlamento erano da considerare nulli. 

L’episodio che aveva dato inizio allo scontro era stata una sentenza del mese precedente – non accettata dall’Assemblea Nazionale – che definiva “sospesa temporaneamente” l’elezione di tre deputati dello stato venezuelano di Amazonas, nel sud del paese. Da quel momento, di fatto, il Tribunale ha dato seguito alle richieste del governo che aveva detto di considerare il Parlamento “illegittimo”. Questa interpretazione è stata ribadita nella decisione di ieri, nella quale il Tribunale, interpellato su una questione specifica, ha detto che il presidente è solo tenuto a informare il Parlamento, mentre l’Assemblea «non potrà modificare le condizioni proposte né pretendere di stabilirne di nuove». In altre parole, il Tribunale ha tolto il potere legislativo al Parlamento.

Giovedì Henry Ramon Allup, deputato di Acción Democrática (uno dei partiti che formano la Mesa de la Unidad Democrática, la coalizione che raggruppa le opposizioni venezuelane), ha detto che l’Assemblea Nazionale continuerà a esercitare le sue funzioni, a dispetto della sentenza del Tribunale. Allup ha anche annunciato che i deputati si rivolgeranno a tutti gli organismi internazionali per denunciare le irregolarità compiute dal governo venezuelano e dal Tribunale Supremo di Giustizia, che secondo le opposizioni e diverse ONG venezuelane è a sua volta “illegittimo” perché emette sentenze contrarie alla Costituzione. Per esempio viene contestata la parte dell’ultima sentenza che prevede che il Tribunale Supremo di Giustizia trasferirà il potere legislativo a un organo terzo, che significherebbe in pratica creare un altro organo con le funzioni dell’attuale Assemblea Nazionale; secondo le opposizioni, questo ulteriore trasferimento di poteri non è previsto dalla Costituzione.

In Venezuela intanto continuano a mancare cibo e medicinali, con milioni di famiglie in difficoltà e con i costi dei consumi sempre più alti: il governo non è più in grado di fornire i servizi basilari e l’inflazione è fuori controllo (nel 2016 è stata di circa l’800 per cento, secondo alcuni documenti della Banca centrale). 

[...]

Siria: Unhcr, oltrepassata la soglia dei 5 milioni in fuga

AnsaMed
Ginevra - Il numero di uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra in Siria ha passato la soglia di 5 milioni, ma un anno dopo la Conferenza internazionale per aumentare i posti di reinsediamento e offrire canali alternativi per l'ammissione dei rifugiati siriani, dei 500.000 posti richiesti è stata raggiunta la metà, ha affermato oggi l'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). La comunità internazionale deve fare di più, ha esortato il capo dell'Unhcr Filippo Grandi.


"Abbiamo ancora una lunga strada da percorrere per accrescere il reinsediamento e i canali complementari per i rifugiati: sono necessari posti aggiuntivi" e serve accelerare "l'attuazione degli impegni esistenti", ha detto l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. 

Grandi si è espresso in una dichiarazione resa nota a un anno dalla Conferenza di alto livello per la condivisione della responsabilità per i rifugiati siriani del 30 marzo 2016.
La Conferenza del 2016 intendeva promuovere il reinsediamento e l'ammissione del 10% di tutti i rifugiati siriani entro il 2018, per un totale di 500mila rifugiati. Ma ad oggi 250.000 posti sono stati resi disponibili. "Se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo, dobbiamo accelerare tali sforzi", ha detto l'Alto Commissario Grandi. 

L'Unhcr ricorda che il reinsediamento è uno strumento di fondamentale importanza per la protezione dei rifugiati e che è destinato agli individui più vulnerabili.

giovedì 30 marzo 2017

Siria, infuria la battaglia a Hama e i ribelli cedono Homs. 40.000 civili in fuga dai combattimenti

L'Indro
Una nuova ondata di rifugiati è in movimento in Siria. L’epicentro del caos è la città – e provincia – di Hama, nelle mani delle forze del regime di Bashar al Assad ma teatro di una serie di battaglie che vedono i ribelli continuare ad assaltare i villaggi della zona. 

Dal novembre scorso, probabilmente per distrarre le forze governative dalla battaglia di Aleppo, le forze ribelli stanno tentando di riconquistare le aree circostanti il centro abitato.

Il risultato è tragico: 40.000 persone – per la maggior parte donne e bambini -, stando alle stime delle Nazioni Unite, sono costrette alla fuga dai combattimenti nel nord ovest della città. 

Sotto la supervisione dei russi, centinaia di combattenti ribelli hanno lasciato la vicina città di Homs, ultima roccaforte dell’opposizione al regime nella regione. L’accordo prevede la resa del territorio della terza città più grande di Siria, e l’evacuazione in cambio di cibo e acqua. 

«Abbiamo perso la nostra terra, la nostra nazione.. tutto quello che otteniamo da questo accordo è la salvezza delle nostre vite» ha dichiarato un negoziatore delle forze ribelli, «il Regime, nel frattempo, potrà affermare di aver liberato Homs quando l’ultimo gruppo di combattenti avrà lasciato la città… i termini dell’accordo sono tutti in suo favore».

Roma - Nei quartieri le strade le puliscono volontariamente i rifugiati

Blog Diritti Umani - Human Rights
Aumenta in vari quartieri della Capitale la presenza di ragazzi rifugiati che volontariamente puliscono le strade.

Camminando sul marciapiede di via Trionfale vedo un cartello che mi incuriosisce: "Gentili signore e signori, desidero integrarmi onestamente nella vostra città senza chiedere l'elemosina. Da oggi terrò pulite le vostre strade. Vi chiedo soltanto un contributo di soli 50 centesimi per il mio lavoro. Buste, scope, palette e altro materiale per la pulizia sono ben accetti. Grazie". 

E vicino una scatola di cartone con un bel numero di spicci. Mi guardo intorno è un po più avanti vedo un ragazzo di colore che sta pulendo con accuratezza cento metri di marciapiede davanti ai negozi: tolto l'erba che cresce nelle fessure dell'asfalto, via tutte le cicche, e spazzato con cura tutto il marciapiede. Come d'incanto quel pezzo di strada era diventata una via di una città nordica dove, se finisci una sigaretta, sei in forte disagio e non sai dove buttare la cicca.

Un signore pensionato smette di leggere il giornale, mi ferma e mi dice: "vedi com'è bravo invece di non fare niente tutto il giorno si rende utile, sono bravi questi ragazzi." 

MI avvicino al ragazzo e lo distolgo per un attimo dal suo lavoro, lo saluto e lo ringrazio e mi risponde facendosi capire: "Sono io che vi devo ringraziare, questo paese mi ha accolto e mi ha salvato la vita. A casa mia rischiavo la vita ogni giorno." 
Riprende subito il suo accurato lavoro, con una scopa blu continua a spazzare e sembra quasi accarezzare la terra che lo ha accolto.

Ezio Savasta


Migranti. Via libera alla legge sui minori non accompagnati. Ecco le novità

Avvenire
Vengono garantiti gli stessi diritti dei coetanei della Ue. Sarà istituita una banca dati nazionale e verrà privilegiata la strada dell'affido familiare. Soddisfatte Caritas, Ong e associazioni.

La Camera ha dato il via libera definito alle norme per proteggere i minori stranieri non accompagnati. Il testo, in base al quale i bambini e i ragazzi non ancora maggiorenni che arrivano in Italia senza una famiglia non potranno essere respinti ma avranno gli stessi diritti dei loro coetanei dell'Unione Europea, è stato approvato a Montecitorio con 375 voti a favore, 13 contrari (la Lega) e 41 astenuti (Fi, Cor e Fd9).

Nel 2016 sono stati 25.846 i minori stranieri non accompagnati arrivati sul territorio italiano. Uno su quattro alla fine dell'anno è diventato irreperibile.

Ecco che cosa prevede il provvedimento.
Identificazione e accertamento dell'età
Per la prima volta vengono disciplinate per legge le modalità e le procedure di accertamento dell'età e di identificazione, garantendone l'uniformità a livello nazionale. Prima dell'approvazione del ddl non esisteva infatti un provvedimento di attribuzione dell'età, che d'ora in poi sarà invece notificato sia al minore che al tutore provvisorio, assicurando così anche la possibilità di ricorso. Viene garantita inoltre maggiore assistenza, prevedendo presenza di mediatori culturali durante tutta la procedura.
Una banca dati nazionale
Viene regolato il sistema di accoglienza integrato tra strutture di prima accoglienza dedicate esclusivamente ai minori, all'interno delle quali i minori possono risiedere non più di 30 giorni, e sistema di protezione per richiedenti asilo e minori non accompagnati (Sprar), con strutture diffuse su tutto il territorio nazionale, che la legge estende ai minori stranieri non accompagnati. Viene poi attivata una banca dati nazionale dove confluisce la 'cartella sociale' del minore, che lo accompagnerà durante il suo percorso. Viene prevista per tutti la necessità di svolgere indagini familiari da parte delle autorità competenti nel superiore interesse del minore e vengono disciplinate le modalità di comunicazione degli esiti delle indagini sia al minore che al tutore.
Sul rimpatrio decide il Tribunale dei minorenni
La competenza sul rimpatrio assistito passa inoltre da un organo amministrativo, la Direzione Generale dell'immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al Tribunale per i minorenni, organo costituzionalmente dedicato alla determinazione dell'interesse del minore. Spariscono i permessi di soggiorno utilizzati per consuetudine o mai utilizzati, come ad esempio il permesso di soggiorno per affidamento, attesa affidamento, integrazione del minore, e si fa invece più semplicemente riferimento ai soli permessi di soggiorno per minore età e per motivi familiari, qualora il minore non accompagnato sia sottoposto a tutela o sia in affidamento. Il minore potrà richiedere direttamente il permesso di soggiorno alla questura competente, anche in assenza della nomina del tutore. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ogni Tribunale per i minorenni dovrà istituire un elenco di 'tutori volontari' disponibili ad assumere la tutela anche dei minori stranieri non accompagnati per assicurare a ogni minore una figura adulta di riferimento adeguatamente formata.
Da privilegiare l'affido familiare
La legge promuove poi lo sviluppo dell'affido familiare come strada prioritaria di accoglienza rispetto alle strutture. Sono previste maggiori tutele per il diritto all'istruzione e alla salute, con misure che superano gli impedimenti burocratici che negli anni non hanno consentito ai minori non accompagnati di esercitare in pieno questi diritti, come ad esempio la possibilità di procedere all'iscrizione al servizio sanitario nazionale, anche prima della nomina del tutore e l'attivazione di specifiche convenzioni per l'apprendistato, nonché la possibilità di acquisire i titoli conclusivi dei corsi di studio, anche quando, al compimento della maggiore età, non si possieda un permesso di soggiorno. Viene prevista infine la possibilità, esercitata ad oggi sulla base di un vecchio Regio Decreto, di supportare il neomaggiorenne fino ai 21 anni di età qualora necessiti di un percorso più lungo di integrazione in Italia.
Diritto all'ascolto e all'assistenza legale
Per la prima volta sono sanciti anche per i minori stranieri non accompagnati il 'diritto all'ascolto' nei procedimenti amministrativi e giudiziari che li riguardano, e il diritto all'assistenza legale, avvalendosi, in base alla normativa vigente, del gratuito patrocinio a spese dello Stato. È prevista inoltre la possibilità per le associazioni di tutela di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per annullare atti della Pubblica Amministrazione che si ritengano lesivi dei diritti dei minori non accompagnati e di intervenire nei giudizi che li riguardano.

Una particolare attenzione viene infine dedicata dalla legge ai minori vittime di tratta, mentre sul fronte della cooperazione internazionale l'Italia si impegna a favorire tra i Paesi un approccio integrato per la tutela e la protezione dei minori, nel loro superiore interesse.
Caritas, associazioni e Ong: finalmente una legge per proteggerli

Soddisfazione viene espressa dalla Caritas insieme altre associazioni e organizzazioni (Actionaid, Ai.Bi. Amici dei Bambini, Amnesty International Sezione Italiana, Centro Astalli, Comunità di Sant’ Egidio, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Cnca, Comitato italiano per l’Unicef, Emergency, Medici Senza Frontiere, Oxfam Italia, Save the Children, Terre des Hommes Italia). In un comunicato si fa notare che "si tratta del primo provvedimento organico in Europa dedicato alla protezione dei minori non accompagnati. L’auspicio è che questa legge possa essere di esempio anche per altri Paesi europei".

Nella nota si sottolineano in particolare "le principali novità" introdotte dalla norma: "il divieto assoluto di respingimento dei minori stranieri non accompagnati alla frontiera; il raccordo tra strutture di prima accoglienza e Sprar, esteso ai minori non accompagnati, con strutture su tutto il territorio nazionale; l’adozione di una procedura di accertamento dell’età, anche per evitare accertamenti medici invasivi, quando inutili, e maggiori garanzie, tra cui la presenza di mediatori culturali, anche durante l’accertamento; l’istituzione di elenchi di tutori volontari su tutto il territorio nazionale e la promozione dell’affido familiare; maggiori tutele per il diritto all’istruzione e alla salute, nonché per i diritti del minore durante i procedimenti amministrativi e giudiziari".
Il Forum delle famiglie: più certezze, regole più chiare
"Finalmente l'Italia pone rimedio alla criticità dei minori non accompagnati, finora lato scuro della nostra politica di accoglienza e di umanità. Solo l'anno scorso abbiamo accolto 26mila minori non accompagnati dei quali sfugge la sorte, al punto che di sei-settemila si ignora la fine che possano aver fatto": così in una nota il Forum delle associazioni familiari commenta l'approvazione definitiva della legge sulla protezione dei minori stranieri non accompagnati.

"Con questa legge - si legge - potremo senz'altro dare più certezze, le regole saranno più chiare e le competenze più definite. Soprattutto le associazioni di volontariato, che in questa fase hanno assicurato una collaborazione importante alla formulazione della legge, potranno assicurare un intervento e una presenza sul campo che troppo sono mancati finora".

mercoledì 29 marzo 2017

Nuovi muri: Pakistan costruisce una recinzione al confine con l’Afghanistan

The Submarine
Il confine tra i due paesi è teatro di scontri e rivendicazioni da quasi un secolo. Ma fortificarlo danneggerà più i rifugiati e le persone comuni che i terroristi talebani.


I muri di confine vanno di moda — per essere un governo al passo con i tempi è indispensabile dotarsene. Dal Rio Grande all’Ungheria, passando per la Cisgiordania, sotto forma di muri veri e propri o semplici recinzioni militarizzate, il muro è diventato un tema simbolico forte del 2017.

Il nuovo arrivato nella famiglia correrà lungo un confine poco raccontato ma altamente conflittuale: quello tra Pakistan e Afghanistan. Il governo di Islamabad, infatti, ha annunciato la costruzione di una recinzione presidiata, con l’obiettivo dichiarato di ostacolare i movimenti dei guerriglieri talebani nella regione.

Imposto dalle autorità coloniali britanniche, il confine tra i due paesi (noto come Durand Line) è lungo quasi 2500 chilometri, perlopiù montuoso e storicamente non riconosciuto dall’Afghanistan — sin da prima che il Pakistan esistesse. Teatro di scontri dalla fine degli anni Quaranta, sfruttata da Pakistan e Stati Uniti per l’infiltrazione dei mujahideen oltre confine in funzione anti-sovietica, contestata tanto dai Talebani quanto dal governo di Hamid Karzai, la linea Durand è tuttora un caso geopolitico irrisolto.

Gli scontri armati tra militari afghani (o guerriglieri talebani) e pakistani al confine sono frequenti. Difficilmente presidiabile, il confine è riconosciuto come uno dei più pericolosi al mondo ed è ampiamente sfruttato anche per il contrabbando di qualsiasi cosa.

Una prima recinzione lungo la Durand Line, nell’area del Belochistan, è stata già completata nel 2016, dopo almeno tre anni di lavori, e si estende per oltre mille chilometri. A febbraio scorso, dopo una serie di attentati suicidi che hanno causato più di cento morti nel giro di una settimana, che ha causato almeno 90 morti e centinaia di feriti, il governo pakistano ha deciso di bloccare del tutto il confine, chiudendo i due principali punti di passaggio di Torkham e Chaman. Il confine è stato riaperto pochi giorni fa, il 20 marzo, per ragioni umanitarie.

La Durand Line non è attraversata infatti soltanto da terroristi e contrabbandieri, ma anche e soprattutto da centinaia di migliaia di rifugiati afghani — che spesso in Pakistan vanno incontro a persecuzioni e discriminazioni — oltre ad essere fondamentale per la circolazione di generi alimentari, beni di consumo e lavoratori da una parte all’altra del confine — che, è bene ricordare, taglia artificialmente a metà un territorio abitato da popolazioni pashtun.

La scelta di completare la fortificazione del confine rappresenta un nuovo atto di forza di Islamabad — che però, com’è prevedibile, finirà per danneggiare più i rifugiati e le persone comuni che vivono lungo il confine, che i guerriglieri talebani. Un portavoce del Ministero dell’Interno afghano ha detto ad Associated Press che le autorità del paese non hanno ancora visto nessun segno dell’inizio dei lavori di costruzione, ma che il governo si muoverà per prevenirlo. È difficile, insomma, immaginare come la scelta di fortificare il confine possa contribuire a pacificare una regione martoriata da quasi un secolo di conflitti.

Quasi contemporaneamente, la febbre dei muri ha contagiato anche la vicina India: il Ministro dell’Interno di Nuova Delhi, Rajnath Singh, ha annunciato sabato che il governo si muoverà per sigillare i confini con il Pakistan e il Bangladesh entro il 2018.

Alganesh, l’angelo dei migranti che oggi ha un albero nel Giardino dei Giusti a Tunisi

Corriere.it
Lavorava per un’azienda straniera in Sudan, fu toccata dalla condizione dei bambini profughi d’Eritrea: «Non potevo stare a guardare senza fare nulla. Lasciai il mio lavoro, le mie sicurezze. Da allora, vivo per aiutare queste persone». Dal 2002 si occupa di migranti, soltanto negli ultimi 3 anni nel ha salvati 5.800 da centri-lager libici e galere egiziane



Tunisi — «Cominciò tutto un giorno che stavo in Sudan. Lavoravo per un’azienda internazionale. Era il 2002. Vidi quei bambini. Un gruppo di fratellini dell’Eritrea del Sud. Da soli. Cercavano l’elemosina. M’avvicinai e chiesi chi fossero. Il più grande mi disse che la guerra aveva bombardato la loro casa, la loro famiglia. Non avevano più nessuno. Erano in Sudan da tanto, nessuno se ne occupava. “Io sono il maggiore e faccio da padre e da madre. Chiedo io l’elemosina. Loro, i miei fratellini, devono studiare…”. Eritrei. Come me. Mi domandai: ma a che cos’è ridotto il mio popolo? Non potevo stare a guardare senza far nulla. Lasciai il mio lavoro, le mie sicurezze. Da allora, vivo per aiutare queste persone».


Un passato da medico ayurvedico
Sarà anche vero che fa più rumore un albero che cade d’una foresta che cresce. Ma gli alberi che di questi tempi si piantano a Tunisi, nel Giardino dei Giusti dell’ambasciata italiana, fanno rumore ancor prima di crescere. L’ultimo è in onore dell’italo-eritrea Alganesh Fessaha, 62 anni (nella foto in alto, è la donna con la maglietta nera tra i bambini profughi), una figlia, un passato nella medicina ayurvedica e tutto il tempo che le resta dedicato a salvare i migranti. Cinquemilaottocento persone, solo negli ultimi tre anni: Alganesh è andata a prenderle dove non va nessuno, nei centri-lager della Libia o nelle impossibili carceri egiziane, le ha riscattate, liberate, portate al sicuro dell’unico Paese africano – l’Etiopia – disposto a dare accoglienza a quelli che non accoglie mai nessuno. 



I «figli di nessuno» in fuga da guerra e lavori forzati
Eritrei disertori, sudanesi in fuga, nigeriani sbandati, somali abbandonati, maliani e ciadiani figli di nessuno. Chi scappa scampa alla guerra obbligatoria e ai lavori forzati. Chi s’avventura a piedi nel Sinai e finisce ostaggio dei trafficanti d’uomini. Chi deve vendersi una cornea, se vuole rivedere casa. Chi semplicemente non ha più soldi e fa lo schiavo e telefona alla famiglia piangendo perché qualcuno paghi per la sua libertà. Alganesh non dice come, ma riesce a salvarli. A migliaia: «Nel Sinai devi pagare un riscatto a chi tiene prigioniera questa gente. Io non lo faccio, però: ho altri modi per farmeli consegnare. Nelle carceri egiziane, al Cairo, ad Assuan o ad Alessandria, è diverso: li processano per direttissima e li condannano a restare o a essere deportati. Nessuno però può pagare per andarsene: a quel punto, intervengo io, pago il biglietto aereo, li mando in Etiopia. Ad Addis Abeba hanno accettato di sostenere questo mio corridoio umanitario: nei campi profughi dell’Onu, ospitano 800 mila eritrei, somali, sudanesi. Danno loro asilo. Li tolgono da morte sicura».

L’omaggio dell’albero nell’ambasciata italiana
Oggi, Alganesh è appena sbarcata a Tunisi dal Cairo. Il tempo d’essere salutata nel giardino della rappresentanza italiana. Di ricevere il ringraziamento dell’ambasciatore Raimondo De Cardona e del presidente dell’associazione Gariwo, Gabriele Nissim. Di guardare l’albero che viene piantato nell’unico Giardino dei Giusti fiorito in un Paese arabo, di fianco ai tronchi già dedicati ad altri nomi dell’Islam pacifico: la guida Mohamed Naceur ben Abdesslem che salvò i turisti al Bardo e l’archeologo Khaled al-Asaad che fu ucciso dall’Isis a Palmira; il bengalese Faraaz Hussein che aiutò gl’italiani nell’attentato di Dacca e l’ambulante Mohamed Bouazizi che si diede fuoco e accese le Primavere arabe; l’imprenditore tunisino Khaled Abdul Wahab che protesse molte famiglie d’ebrei ai tempi del nazismo…

I Giusti che lottano contro populisti e islamofobi
«Il mondo deve sapere che i Giusti non sono solo quelli della Shoah o del genocidio armeno – spiega Nissim -. Ci sono anche quelli capaci d’assumersi la responsabilità di salvare il mondo in contesti arabi e musulmani. La lotta ai populismi e agli islamofobi, a chi vuol far credere che nel dna di questa parte di mondo ci siano solo terrorismo e fondamentalismo, si fa con gli esempi positivi. Passiamo i giorni a parlare di come combattere l’Isis e a garantire la nostra sicurezza, ma nessuno si preoccupa del vuoto culturale che ci minaccia». (sotto, nella foto Ansa, l’attivista eritrea Alganesh Fessaha nel campo profughi di Mai Aini, in Etiopia)

Una sfida contro le erbacce dell’intolleranza
«Pianteremo un Giardino dei Giusti anche in Giordania», annuncia Nissim. Una bella sfida a chi, sulle radici sane, lascerebbe crescere solo le erbacce dell’intolleranza: «L’Islam – dice Alganesh - è una parola che contiene la radice di Salaam, pace. Io sono cristiana, ma conosco molto bene il Corano». Sì, è cristiana. «Ma non è che questo conti molto». Anche perché è stato grazie alla collaborazione di un musulmano - uno sceicco salafita che all’inizio non voleva nemmeno parlare con un’ «impura» – se oggi Alganesh gestisce l’ong Gandhi e da Milano scarcera tanta gente. «Più che una collaborazione – scherza lei -, con lo sceicco è stata una lotta. Oggi Awwad Mohamed Ali Hassan mi chiama “mamma” e con me scherza sempre. Mi protegge dalle minacce come fossi sua sorella. Ma all’inizio è stato difficilissimo. Lo sceicco è un musulmano rigido. Gli era vietato salutarmi, guardarmi, parlarmi. Se doveva dirmi una cosa, usava suo fratello».

Lo sceicco che predica: «Non maltrattate i fratelli africani»
E com’è finita a cercare proprio lui? «Nel 2005, sono in Egitto per portare in Etiopia un po’ di eritrei prigionieri. Mi dicono che nel Sinai, vicino al confine di Gaza, c’è questo sceicco che il venerdì parla alla gente. Uno che dice: “Non dovete maltrattare o uccidere i fratelli africani”. Uno che fa sermoni coraggiosi: laggiù, i migranti che salgono dal Corno d’Africa non valgono nulla, sono tenuti come bestie, per fare soldi con le famiglie costrette a pagarne il riscatto». Chi si ribella a quest’economia locale, rischia: secondo il Parlamento europeo, solo nel Sinai, in cinque anni sono morte fino a 30mila persone. Chi è dunque questo salafita che osa parlare contro le mafie beduine, i ladri d’organi, i contrabbandieri di bambini e prostitute?

Il Corano proibisce di speculare sulle persone
«Chiedo d’incontrarlo», racconta la dottoressa Alganesh: «La prima volta, mi manda il fratello a domandarmi che cosa voglio. Quando gli spiegano che intendo collaborare con lui, mi fa rispondere che non se ne parla nemmeno: una donna, che per di più parla in quell’arabo strano… “E’ troppo pericoloso”. Per un po’, insisto. Alla fine, quando sto per arrendermi e per tornare al Cairo, manda il fratello da me: “va bene, puoi fermarti a dormire a casa di mia madre e di mia moglie”. All’inizio, ho paura d’essere diventata anch’io un ostaggio. Invece la mattina dopo, compare per dirmi che il Corano proibisce la violenza sulle persone e il guadagno sulla loro vita…».

«Hanno provato a ucciderci, a bruciarci le auto...»
L’eritrea e lo sceicco s’intendono subito, salvano 750 disperati. E com’era prevedibile, finiscono per dare più fastidio che scandalo: «In tanti anni, han provato di tutto: a ucciderci, a bruciarci le auto, a minacciarci…». Nel Sinai, da due anni non si va più. Il rischio è altissimo. Ma i salvagente nel deserto, Alganesh riesce a lanciarli ugualmente. Lei vive a Milano da quarant’anni ed è una cittadina italiana, ma l’angoscia è per il suo Paese natale perseguitato, impoverito, ucciso: «L’Eritrea non interessa a nessuno. E’ in una posizione strategica, non ha Islam estremista che bussi alle porte, c’è un dittatore che garantisce il controllo del Mar Rosso. Perché bisognerebbe parlarne? Una volta, me l’ha detto anche un sottosegretario italiano: l’Eritrea dobbiamo tenercela buona così com’è…».


Francesco Battistini

Denuncia Amnesty: centinaia di civili uccisi dai raid aerei a Mosul

TPI
In un bombardamento della coalizione a guida statunitense sarebbero stati uccisi oltre 150 persone nella parte occidentale della città, ma il premier iracheno nega
L'organizzazione afferma che in un solo bombardamento sono state ucciso “fino a 150 persone” nel quartiere di al-Jadida, nell'ovest della città.


Secondo le Nazioni Unite dall'inizio dell'offensiva a Mosul ovest, a metà febbraio, sono stati uccisi 307 civili e altri 273 sono rimasti feriti.


L'alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra'ad al-Hussein, ha chiesto alle forze irachene, martedì 28 marzo, di “evitare di cadere nella trappola” del sedicente Stato Islamico, che impiega i civili come scudi e si chiude nelle loro case per scappare dai soldati della coalizione.

Le autorità irachene e americane hanno aperto un'inchiesta sugli ultimi episodi, ma il primo ministro di Baghdad Haidar al-Abadi ha affermato che si tratta di “disinformazione”.

Gli ispettori statunitensi sono arrivati martedì 28 marzo a Mosul per ulteriori indagini su quanto avvenuto e sull'uccisione dei civili iracheni durante i raid aerei della coalizione. La maggior parte delle morti sono state provocate dai bombardamenti sulla parte occidentale di Mosul, la più popolosa. Le forze governative irachene hanno fatto partire un'offensiva per strappare la città al sedicente Stato Islamico il 19 febbraio 2017.

I raid della coalizione a guida statunitense hanno distrutto case con all'interno intere famiglie e l'alto numero delle vittime civili suggerisce che le forze della coalizione hanno mancato di prendere adeguate precauzioni per prevenire le morti dei civili, in violazione della legge umanitaria internazionale”, ha affermato Donatella Rovera, consigliera per la risposta alle crisi di Amnesty International che ha condotto l'inchiesta sul campo.

Il 23 marzo la televisione curdo-irachena Rudaw aveva dato notizia di un bombardamento nel quale almeno 200 persone sono state uccise nella zona ovest di Mosul nel quartiere di al-Jadida. In riferimento a questa notizia, il premier iracheno Abadi ha affermato che i risultati preliminari di un'inchiesta aperta dal governo di Baghdad “differiscono da quanto è stato finora diffuso”. Abadi ha denunciato quelli che ha definito “i tentativi di disinformazione”.

Il 25 marzo gli Stati Uniti hanno detto di aver avviato delle indagini sul raid aereo che avrebbe ucciso centinaia di civili a Mosul ovest.

Gli Stati Uniti hanno annunciato lunedì 27 marzo che circa 240 soldati verranno inviati in Iraq per supportare le operazioni per la riconquista di Mosul ovest dallo Stato Islamico.

martedì 28 marzo 2017

Trump minaccia le città ospitali con i migranti di tagliare i fondi federali

Il Tirreno
New York. Donald Trump dichiara guerra alle 'citta santuario', le grandi metropoli come New York e Los Angeles che accolgono e proteggono gli immigrati illegali e i rifugiati: o collaborano con gli agenti federali e seguono le indicazioni dell'amministrazione, o perderanno i fondi federali", è il monito lanciato dal ministro della giustizia Jeff Sessions, che minaccia anche di recuperare le somme già versate.

Si tratta di miliardi di dollari a rischio, che potrebbero compromettere il funzionamento di molte aree metropolitane non solo nel settore dei servizi sociali. Il presidente americano, che ha fatto della stretta sull'immigrazione uno dei punti centrali della sua agenda, fin dalla campagna elettorale aveva messo nel mirino Stati e comunità locali che riconoscono la residenza agli immigrati irregolari, evitando loro il rimpatrio forzato nel Paese d'origine.

Con la residenza viene riconosciuto anche l'accesso ai servizi sanitari, sociali e all'istruzione per i minori. Fumo negli occhi per Trump, che in attesa del muro col Messico ha già ordinato un'ondata di raid che ha portato all'arresto e alla 'deportazione' (come viene chiamata in America) di un numero senza precedenti di irregolari. Un'azione che molte città come New York hanno deciso di ostacolare.

Il dipartimento per la giustizia - ha spiegato il 'superfalco' Sessions - si prepara dunque a "punire" i sindaci e i governatori contrari alla linea dura sull'immigrazione dell'amministrazione Trump. Sul piatto ci sono 4 miliardi di dollari per il 2017, ma nemmeno un centesimo arriverà a chi continua a sostenere i programmi nel mirino della Casa Bianca, che ancora una volta giustifica la sua posizione con motivi di sicurezza nazionale e di sicurezza pubblica.

"Tantissimi americani sarebbero ancora vivi se fosse stata posta fine alla politica delle città santuario", ha detto Sessions riferendosi alle vittime di alcuni episodi di criminalità. E citando città come Chicago e Atlanta tra gli esempi più negativi. In particolare - ha spiegato il ministro della giustizia - verranno sbaragliate tutte quelle norme che erano state introdotte dall'amministrazione Obama e che riconoscono alcuni programmi di aiuto agli immigrati nelle grandi metropoli.

"Queste politiche non possono continuare". Ma le città prese di mira sono già da tempo sul piede di guerra. Soprattutto New York, con Bill de Blasio che aspira a una leadership che magari lo lanci verso la candidatura alla Casa Bianca nel 2020.

Solo pochi giorni fa il sindaco di origine italiana ha denunciato come i tagli previsti nel bilancio presentato dalla Casa Bianca penalizzino la Grande Mela fino a ridurre anche i fondi per la sicurezza e la lotta al terrorismo "E' una legge di bilancio pericolosa, incosciente e sprezzante. verso i valori americani", gli aveva fatto eco il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo.

Migranti - Sindacato di polizia contro il sindaco di Ventimiglia: Nemmeno agli zoo vengono sanzionate le persone che danno da mangiare agli animali

Blog Diritti Umani - Human Rights
Il sindacato di polizia Siap si è espresso duramente contro le scelte del sindaco Ioculano: “In questi giorni dei poliziotti colleghi– attacca Roberto Traverso, segretario provinciale del sindacato di polizia Siap di Genova – hanno dovuto ottemperare ad un’ordinanza che prevede il divieto di dare da mangiare ai migranti che si trovano nella città frontaliera. 

A prescindere dalle postume giustificazioni politiche, si tratta di una situazione a dir poco imbarazzante ed inaccettabile per la nostra categoria che, ancora una volta, viene gratuitamente esposta a causa della scelta di un sindaco che invece di cercare di stemperare gli animi sta alimentando una situazione d’intolleranza dovuta all’incapacità dell’Europa di gestire il delicatissimo fenomeno dei flussi migratori in pieno allarme terroristico. 

I poliziotti che, ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, hanno denunciato a piede libero coloro che danno da mangiare ai migranti hanno dovuto applicare la legge, ma l’aspetto preoccupante di questa paradossale vicenda sta nella pericolosità delle ricadute delle scelte del sindaco sull’immagine della Polizia di Stato

Nemmeno agli zoo vengono sanzionate le persone che danno da mangiare agli animali ed è inaccettabile che lavoratrici e lavoratori, che adempiono alle funzioni di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria, possano essere distolti da servizi molto delicati per attività mediatiche di di questo tipo”.

Fonte: Redattore Sociale

Yemen: Unicef, 1546 bimbi uccisi in conflitto, 2450 mutilati. Mezzo mln con malnutrizione grave, 1.572 reclutati nella guerra

ANSAmed
Quasi mezzo milione di bambini che soffre di malnutrizione acuta grave, 1.546 i bambini uccisi, 2.450 mutilati, 1.572 minorenni reclutati nei combattimenti, oltre due milioni di bambini che non frequentano le scuole. E' il bilancio del brutale conflitto in Yemen, secondo l'ultimo rapporto dell'Unicef.


Le famiglie in Yemen devono ricorrere sempre più a misure estreme per sostenere i loro bambini, sostiene l'Agenzia nel rapporto pubblicato oggi, quando la guerra nel Paese più povero del Medio Oriente entra nel suo terzo anno. Il numero di persone estremamente povere e vulnerabili è altissimo: circa l'80% delle famiglie ha debiti e metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.

I meccanismi di adattamento sono stati gravemente erosi dalla violenza, che ha trasformato lo Yemen in una delle più grandi emergenze al mondo per quanto concerne la sicurezza alimentare e la malnutrizione. Le famiglie mangiano molto meno, scelgono cibo meno nutriente o saltano i pasti. Quasi mezzo milione di bambini soffre di malnutrizione acuta grave - in aumento del 200% dal 2014 - e aumenta il rischio di carestia.

Visto che le risorse delle famiglie diminuiscono, sempre più bambini vengono reclutati dalle parti in guerra e spinti a matrimoni precoci. Oltre due terzi delle ragazze si sposano prima dei 18 anni (prima dello scoppio della crisi la percentuale era del 50%). E i bambini sono sempre più utilizzati dalle parti in conflitto come combattimenti.

Il sistema sanitario dello Yemen è sull'orlo del collasso: quasi 15 milioni di persone non hanno accesso alle cure sanitarie; un'epidemia di colera e diarrea acuta legata all'acqua nell'ottobre 2016 continua a diffondersi, con oltre 22.500 casi sospetti e 106 morti. 

Circa 1.600 scuole non possono più essere utilizzate, perché sono state distrutte, danneggiate, o perché ospitano famiglie sfollate o perché occupate dalle parti in conflitto; almeno 350.000 bambini non vanno a scuola a causa delle dirette conseguenze del conflitto; complessivamente oltre 2 milioni di bambini sono fuori dalla scuola.

lunedì 27 marzo 2017

Londra: catena umana delle donne musulmane per condannare l'orrendo attentato

Blog Diritti umani - Human Rigths
Centinaia di donne hanno formato una catena umana lungo Westminster Bridge, ieri sera, per ricordare le vittime dell'attentato del 22 marzo.

Quattro giorni dopo l'attacco che ha scosso Londra, le donne di diversa provenienza si sono riunite in solidarietà per condannare il crimine orribile e mostrare l'unità di fronte al terrore.

Molte delle presenti erano musulmane, vestite di blu come simbolo di speranza e di pace.

Ayesha Malik, una madre di 34 anni con due figli ha detto: "Come musulmana, penso che sia importante mostrare solidarietà con i principi che stanno a cuore a tutti noi, i principi di pluralismo, diversità ..."

Ruanda: oppositrice Illuminée Iragena scoparsa da un anno. Governo tace.

Corriere della Sera
Illuminée Iragena amici, colleghi e parenti l’hanno vista viva per l’ultima volta esattamente un anno fa, il 26 marzo 2016, mentre come ogni giorno si stava recando al lavoro: all’ospedale re Faisal di Kigali, la capitale del Ruanda.

Illuminée Iragena
Un anno fa, i suoi familiari hanno denunciato la sua scomparsa alla polizia ma da allora non hanno ricevuto alcuna risposta ufficiale. Stesso silenzio nei confronti delle organizzazioni per i diritti umani che hanno chiesto sue notizie.

Era un’infermiera, Illuminée, ma non solo. Nel 2008 si era candidata al parlamento per il Partito socialdemocratico, un gruppo di opposizione. Poi era entrata in un altro movimento, non riconosciuto dal governo, le Forze democratiche unite-Inkingi, di cui suo marito Martin Ntavuka è stato il rappresentante a Kigali. In passato entrambi erano stati arrestati per ragioni politiche.
Ma non c’è solo questo.
Un’altra esponente dell’Fdu-Inkingi, Léonille Gasengayire, è stata arrestata lo stesso giorno della sparizione di Illuminée. Rilasciata dopo tre giorni, è stata nuovamente fermata ad agosto e accusata di insurrezione. Pochi giorni fa, il 23 marzo, è stata prosciolta ed è tornata in libertà.

Sia Illuminée che Léonille andavano regolarmente in carcere a trovare la leader dell’Fdu-Inkingi, Victoire Ingabire, che sta scontando una condanna a 15 anni di carcere per terrorismo e minimizzazione del genocidio del 1994.

Per finire, quello di Illuminée non è l’unico caso di sparizione.
John Ndabarasa, giornalista radiofonico, è “riappaerso” il 6 marzo dopo che se ne erano perse le tracce il 7 agosto scorso.

A febbraio Violette Uwamahoro, moglie di un attivista di un partito fuorilegge, il Congresso nazionale ruandese, è scomparsa per due settimane.

Di Illuminée invece, non abbiamo notizie. Circolano voci che sia stata torturata e assassinata. Il governo tace.

Riccardo Noury

Proteste e tensione a Mosca: arrestato il blogger oppositore Navalny, 500 fermi

Global List
Nel paese 80 manifestazioni contro la corruzione: fermi della polizia anche a Vladivostok
Momenti la tensione e la paura che gli incidenti diventassero qualcosa di ancora più grande. Ma forse tutto è solo rimandato: la polizia russa ha fermato il leader dell'opposizione Alexei Navalny durante una manifestazione indetta dallo stesso Navalny nel centro di Mosca per protestare contro la corruzione. 

L'arresto di Alexei Navalny
L'oppositore politico è stato bloccato in Tverskaya Street e caricarlo su un pulmino. Centinaia di manifestanti sono corsi dietro il mezzo urlando contro la polizia.
Nello stesso tempo centinaia di persone hanno continuato a protestare in piazza Pushkin stanno continuando a gridare slogan: 'Russia libera', 'La corruzione ruba il nostro futuro'.

Il tutto mentre la polizia interveniva: così sono state decine le persone arrestate durante le proteste indette in tutta la Russia, dopo che l'opposizione ha esortato la popolazione a scendere in strada contro la corruzione e per chiedere le dimissioni del premier Dmitry Medvedev.
Alexei Navalni incriminato per violazione della legge sulle proteste
Alexei Navalni è stato incriminato per aver violato l'articolo 20.2 del codice amministrativo russo che regola le procedure per organizzare manifestazioni e cortei.
Lo ha detto un portavoce della polizia di Mosca alla Tass. In base alla suddetta violazione, precisa la Tass, Navalni rischia "una multa, lavori obbligatori o l'arresto", ma sempre per violazione amministrativa.
Oltre 500 persone fermate a Mosca
"Più di 500 persone" sono state fermate durante la manifestazione non autorizzata organizzata da Alexei Navalni a Mosca. Lo ha detto una fonte della polizia alla Tass. "Molte persone si trovano sugli autobus che si stanno dirigendo verso le stazioni di polizia", ha detto la fonte secondo cui la maggior parte "verrà liberata" dopo la contestazione "di violazione amministrativa".
La situazione nel centro di Mosca è calma. Le persone stanno camminando liberamente lungo la via Tverskaya su entrambi i marciapiedi.
Proteste in tutta la Russia
Prima del suo arresto Navalny aveva scritto sul proprio sito che i cortei organizzati erano oltre 80 in tutto il Paese.
Venerdì il Cremlino aveva fatto sapere che le manifestazioni nel centro di Mosca sarebbero state viste come una provocazione illegale. E a Vladivostok almeno 30 manifestanti sono stati fermati in una protesta non autorizzata ma organizzata da centinaia di giovani nella piazza davanti alla stazione centrale.
Centinaia di persone si sono riunite anche nella città di Yekaterinburg nella regione industriali degli Urali.

Migranti: Consiglio Europa, nuova legge: rischio abusi minori in Ungheria

ANSAmed
Strasburgo - La legge ungherese sulla gestione dei confini, entrata in vigore il 24 marzo, "aumenterà le condizioni di già grande vulnerabilità dei minori migranti, aggravando in particolare il rischio per i maggiori di 14 anni di cadere vittime di abusi e sfruttamento sessuale". 


La critica è contenuta in una lettera inviata al primo ministro Victor Orban dal presidente del comitato di Lanzarote, l'organismo del Consiglio d'Europa incaricato di vegliare sulla protezione dei minori dagli abusi e lo sfruttamento sessuale da parte degli Stati. 

Nella lettera il comitato esprime "preoccupazione" nei confronti della legge perché contiene misure contrarie agli obblighi assunti dall'Ungheria con la ratifica della convenzione di Lanzarote. 

In particolare è criticato il fatto che durante le crisi d'emergenza i minori tra i 14 e 18 anni saranno considerati adulti e non potranno beneficiare delle misure di protezione, inclusa la nomina di un tutore legale. Inoltre, osserva il comitato questi minori saranno messi nelle zone di transito "con un rischio aggiunto di divenire vittime di abusi e sfruttamento sessuale". 

Il comitato domanda quindi alle autorità ungheresi di fornire entro un mese una serie di informazioni sulle azioni prese per garantire che tutti i minori non accompagnati godano delle misure di protezione, delle azioni per proteggerli dagli abusi, e sulla situazione dei minori che non richiedono asilo. 

Sulla base delle risposte "il comitato deciderà ulteriori azioni". La lettera del comitato segue alle critiche già rivolte alla legge dal commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa e alla condanna dell'Ungheria da parte della Corte di Strasburgo per la detenzione e l'espulsione in Serbia di 2 richiedenti asilo del Bangladesh.

domenica 26 marzo 2017

Roma: emergenza carcere, da inizio anno secondo suicidio a Regina Coeli

La Repubblica
Ha aspettato che i suoi compagni di cella si addormentassero e poi, nel silenzio della notte, si è tolto la vita. Appeso a una corda attaccata alla grata del bagno. Sono gli agenti penitenziari a scoprire il detenuto che si è suicidato ieri a Regina Coeli. L'uomo, 30 anni, rom di origine bosniaca, era in carcere da agosto. Era in attesa di giudizio per tentato omicidio. 


Quindici giorni fa il detenuto aveva ricevuto una terribile notizia, quella della morte della figlia di un anno. Un duro colpo. Tanto che la direzione dell'istituto penitenziario aveva disposto il trasferimento nel reparto della "grande sorveglianza", un settore all'interno del quale i detenuti dovrebbero essere sottoposti a controlli più rigidi con ispezioni ogni 15 minuti.

Lo spostamento era stato ordinato dalla direzione del carcere, sebbene i medici che l'avevano visitato, in seguito alla morte della figlia, non avevano notato segni di squilibrio. Ieri notte, però, intorno alle 2 e 30, dietro quella porta uno dei quattro letti era vuoto. Il detenuto si era alzato ed era andato in bagno per impiccarsi. Si tratta del secondo suicidio avvenuto a Regina Coeli dall'inizio dell'anno: il 23 febbraio un ragazzo di 22 anni con disturbi psichiatrici si è ucciso nello stesso modo. 

Il giovane era finito dentro per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, dopo essere fuggito dalla Rems nella quale era ricoverato.
"È una nuova tragedia che si ripete nel giro di poche settimane - ha commentato il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia - non conosco nel dettaglio quest'ultimo caso ma forse bisognerebbe fare più attenzione alla misura cautelare del carcere". I due suicidi sono avvenuti nello stesso reparto: "Si tratta della seconda sezione - rende noto il sindacato della polizia penitenziaria Fns Cisl Lazio - un'area che contiene 170 detenuti con un solo agente a vigilare".

Il bilancio in tutta Italia, nei primi tre mesi del 2017, parla di 14 suicidi e di 19 morti per malattia. "Quella di quest'anno è una situazione ancora più grave rispetto all'anno scorso - ha detto il presidente dell'associazione Antigone Patrizio Gonnella - il numero dei detenuti cresce, e cresce la sofferenza. Se continuiamo di questo passo raddoppieranno rispetto al 2016".

di Francesco Salvatore

"La Somalia sta morendo". 3 milioni di persone soffrono la fame, 370 mila di bambini malnutriti.

La Stampa
Le cifre spaventose: 3 milioni di persone con carenze alimentari, 370 mila di bambini malnutriti. Contro la carestia servono 800 milioni. La Somalia sta morendo. E non è una metafora. L'allarme lanciato da Save the Children, che lavora nello sfortunato Paese del Corno d'Africa da quasi mezzo secolo 


(savethechildren.it/emergenzafame) è accompagnato da cifre spaventose: 6 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuto, 3 milioni soffrono di gravi carenze alimentari, 370 mila bambini sono in condizione di "malnutrizione acuta e severa", l'intera popolazione sopravvive a fatica al duplice assedio di fame e colera. 

Se non bastasse l'istantanea di una Spoon River annunciata, bisognerebbe ricordare quanto a lungo fu ignorata la Siria (anche e soprattutto sul piano umanitario) prima che l'esodo dei profughi sulle coste grece costringesse il mondo a guardare, a intervenire (tardivamente) e ad affrontare panico, diffidenza, nuovi muri.
"Tutti i dati indicano che una nuova carestia è alle porte della Somalia e che si annuncia assai peggiore di quella del 2011, quando morirono 250 mila persone" ci dice al telefono da Baidoa l'humanitarian director di Save the Children Daniele Timarco. 


Da tre anni piove pochissimo, il livello di siccità è in aumento, le previsioni stagionali sono negative, l'approvvigionamento di acqua potabile risulta sempre più difficile. 

Timarco ci restituisce la foto di un countdown spietato: "Le famiglie, che in buona parte vivono di pastorizia, stanno svendendo il bestiame già decimato e mangiano i semi dei prossimi raccolti, vale a dire che consumano le riserve del presente ma anche del futuro".
In questa cornice è facile immaginare come le epidemie si diffondano in un baleno, il colera morde il freno (13 mila casi dall'inizio dell'anno) ma si muore anche banalmente di polmonite. E i bambini pagano il prezzo più alto: la Somalia è considerata oggi uno dei luoghi peggiori in assoluto per un minore. 

Le Nazioni Unite hanno chiesto 800 milioni di dollari per fronteggiare l'emergenza, finora ne sono stati raccolti meno della metà. Non bisogna tornare troppo indietro con la memoria per stimare il costo dell'indifferenza: la Siria, ignorata per 4 anni, ha presentato il conto nel 2015, l'Iraq si è associato, lo Yemen, ancora invisibile, sta arrivando. 

La Somalia è nel cono d'ombra, ma attenzione: rispetto ai flussi migratori di domani, dal Corno d'Africa senza pace e dai Paesi travolti dal cambiamento climatico, quelli odierni faranno sorridere (amaramente).

Francesca Paci

Sconfitto Trump: abolizione dell'Obamacare bocciato dai Repubblicani

Ansa
I repubblicani, a corto di voti, ritirano il loro disegno di legge per la riforma sanitaria che doveva sostituire l'Obamacare. Secondo fonti della Cnn, sarebbe stato Trump a chiedere tale mossa. Il voto previsto alla Camera e' quindi annullato.


Lo speaker della Camera Paul Ryan ha confermato in una conferenza stampa che i repubblicani non avevano i voti sufficienti per approvare la loro riforma sanitaria, in particolare per il no dei deputati conservatori del freedom caucus. "Vivremo con l'Obamacare per l'immediato futuro".

"Oggi e' un giorno deludente per noi", "abbiamo deluso le aspettative": lo ha ammesso lo speaker della Camera Paul Ryan in una conferenza stampa dopo il ritiro della riforma sanitaria repubblicana, sul quale Trump "ha concordato". Ma Ryan ha promesso che i repubblicani cercheranno di migliorare la loro proposta, dopo essere "arrivati davvero vicino"

"Oggi e' un grande giorno per il nostro Paese...E' una vittoria per il popolo americano": lo ha detto in una conferenza stampa Nancy Pelosi, leader dei democratici alla Camera, commentando il ritiro della riforma sanitaria repubblicana che avrebbe dovuto sostituire l'Obamacare.

sabato 25 marzo 2017

Turchia: Erdogan fa arrestare 80 avvocati difensori degli oppositori

Il Dubbio
Maxi retata a Istanbul: chi difende gli oppositori finisce in galera. È una guerra nella guerra quella combattuta dal sultano Erdogan contro l'avvocatura turca. Colpire le radici della democrazia, spezzare le reni ai custodi dei diritti civili, impedire, anche materialmente, l'esercizio della difesa è un passaggio fondamentale nella cupa transizione della Turchia verso un pieno regime autoritario.

Il cerchio, secondo i calcoli di Erdogan dovrebbe chiudersi con il referendum del 16 aprile: se vincerà il sì alla riforma costituzionale sparirà del tutto la separazione dei poteri e il presidente controllerà tutti gli apparati dello Stato come un despota.
L'ultimo bollettino di questa guerra sporca parla di ottanta avvocati arrestati ieri mattina a Istanbul con la generica accusa di cospirazione contro le istituzioni e con addosso l'etichetta passepartout di simpatizzanti del movimento di Gülen, il predicatore in esilio negli Usa accusato di aver ideato il presunto fallito golpe di luglio. 

È lo schema con cui negli ultimi nove mesi sono state arrestate e/ o licenziate centinaia di migliaia di persone tra cui oltre mille avvocati. Tra i fermati di ieri ci sono i difensori di noti dissidenti politici come il giornalista imprigionato Hidayet Karaca, l'editor-inchief della rete tv Samanyolu, l'uomo d'affari in esilio Akin Ipek e di diversi ufficiali di polizia accusati di tradimento.
"Negli ultimi mesi hanno cacciato o messo in prigione oltre 6mila accademici, hanno rovinato 5mila avvocati, messo i lucchetti a 160 organi di informazione, chiuso centinaia di associazioni, messo in prigione giornalisti, funzionari, militari, amministratori pubblici, insegnanti, militanti dell'opposizione: è necessario ristabilire la vita democratica secondo le norme del diritto internazionale, e abbiamo disperato bisogno di aiuto dall'estero, la presenza di legali stranieri ai processi è fondamentale, come lo sarà quella di parlamentari europei al referendum del 16 aprile", tuona Pinar Akdemir, legale degli 11 deputati del Hdp (il partito di opposizione democratica) arrestati dal regime lo scorso novembre.
Akdemir è ospite di un incontro organizzato del Consiglio Nazionale forense sui diritti civili in Turchia, con lei Mahmut Sakar storico avvocato di Abdullah Öcalan, il leader del Pkk curdo che da anni si trova in isolamento totale nella prigione dell'isola di Ismarili; il suo caso (dalle condizioni carcerarie al trattamento dei suoi avvocati) è stato una specie di "laboratorio" della repressione poi pienamente messa in atto dal regime. "Noi avvocati non siamo solo difensori dei diritti, ma anche testimoni delle violenze, per questo il regime ci intimidisce continuamente.

Il processo contro Öcalan è stato emblematico di come i diritti della difesa non esistano in Turchia da molto tempo. Dopo il presunto fallito golpe di luglio con lo stato d'emergenza permanente hanno legalizzato l'illegalità", racconta. Anche Sakar si appella ai colleghi stranieri e alla comunità internazionale affinché provino ad arginare la deriva tirannica che sta subendo la Turchia. 

Per fare questo non basta però la buona volontà. In tal senso il Cnf realizzerà un vero e proprio manuale di formazione giuridica per gli osservatori internazionali che andranno a svolgere il loro lavoro nei paesi dove la democrazia è più a rischio. Un'iniziativa dell'avvocatura italiana che va oltre la doverosa solidarietà ai colleghi in pericolo, per offrire ai difensori dei diritti civili degli strumenti più efficaci.

Monza: due detenuti suicidi nell'arco di poche ore

Corriere della Sera
Il primo si è impiccato nei locali dell'infermeria, verso le cinque del mattino. Il secondo, un 29enne in carcere per questioni di droga, è stato trovato alle undici dalle guardie agonizzante dopo avere inalato il gas dal fornelletto in dotazione ai detenuti per cucinare.

Due suicidi a distanza di poche ore, entrambi avvenuti all'interno del carcere di Monza, scatenano le polemiche dei sindacati della polizia penitenziaria, che lamentano problemi di "sovraffollamento", e di "cronica mancanza di personale" all'interno della struttura di via Sanquirico.

Alle prime ore di ieri la prima tragica scoperta da parte del personale della casa circondariale. Vittorio Vincenzi, 56 anni, proprietario di una farmacia in Brianza e titolare di una gelateria in Corso Garibaldi, nel cuore della movida di Brera, probabilmente solo pochi minuti prima che trovassero il suo corpo, aveva annodato un paio di lenzuola e si era impiccato.
Era in carcere dallo scorso novembre, quando i carabinieri lo avevano arrestato con l'accusa di omicidio per aver strangolato la ex compagna, una 29enne peruviana, uccisa nella casa di Seveso dove era rimasta a vivere con i due figli piccoli avuti proprio da Vincenzi. 

Poche ore dopo, viene soccorso il 29enne, un pregiudicato con problemi di tossicodipendenza. Inizialmente, gli operatori intervenuti riescono a rianimarlo, ma le sue condizioni si aggravano successivamente, sino al decesso avvenuto all'ospedale San Gerardo.
[...]

di Federico Berni

Ventimiglia, prima denuncia per aver dato da mangiare ai migranti

Repubblica - Genova
Sul verbale della Polizia di Stato, commissariato di Ventimiglia, si legge: “Indagato per aver somministrato senza autorizzazione cibo ai migranti”. È datato 20 marzo ed è il primo provvedimento di cui si ha notizia, in seguito all’ordinanza dell'11 agosto 2016, con la quale il sindaco della città di confine con la Francia, Enrico Ioculano (Pd), vieta la distribuzione di alimenti ai migranti. 




I denunciati in realtà sarebbero stati tre, tutti di cittadinanza francese. «Siamo di fronte al capovolgimento di ogni logica. Utilizzare il diritto per colpire e punire episodi di solidarietà non può avere e trovare alcuna giustificazione», dice il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. 

Uno dei fermati si è rifiutato di firmare la denuncia perché nessuno era in grado di tradurre il documento e i contenuti in francese. 

Dura condanna anche da parte di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia: “Questa sanzione non è che l’ennesimo segnale dell’avvio, anche in Italia, di un allarmante processo di criminalizzazione della solidarietà. Iniziano a moltiplicarsi i provvedimenti amministrativi e giudiziari, in varie parti d’Italia, ma soprattutto in liguria, che rischiano di avere un effetto raggelante nei confronti di chi intende manifestare solidarietà nel modo più pratico e semplice possibile, con l’effetto paradossale di andare a colpire persone e associazioni che si assumono la responsabilità di colmare le gravi lacune lasciate dalle istituzioni”.
L’ordinanza del primo cittadino di Ventimiglia, Enrico Ioculano, era nata adducendo motivi di ordine igienico-sanitario. Lo stesso sindaco, in seguito, aveva spiegato che in molti volevano “farsi pubblicità” offrendo solidarietà di questo tipo ai migranti e quindi lo scopo del suo provvedimento era fermarne il “protagonismo”, dal momento che associazioni autorizzate svolgevano già il servizio di distribuzione di alimenti.
[...]
Torna attuale il commento del Vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta, che all'entrata in vigore dell'ordinanza che avrebbe impedito la distribuzione diretta da parte di volontari e attivisti di cibo a acqua ai migranti, aveva dichiarato: "L'accanimento su chi aiuta è una forma moderna di martirio, ma non bisogna aver paura e bisogna andare avanti: la storia dell'umanità è fatta di persone che , pagando sulla propria pelle, hanno sfidato delle leggi ingiuste, e se quelle persone non avessero fatto questi passi coraggiosi noi oggi non potremmo godere di certe libertà che hanno reso migliore la nostra società." 

Contattato l’avvocato d’ufficio del foro di Imperia indicato nel verbale, riferisce di non aver ancora ricevuto la notifica dall’autorità giudiziaria."Sono tappe decisive del nostro paese verso la barbarie" commenta in serata il deputato di Sinistra Italiana Giovanni Paglia, che annuncia l'intenzione di depositare un'interrogazione al Ministro dell'Interno Minniti sull'ordinanza di Ventimiglia. "Multare chi dà da mangiare ai migranti è incredibile. Dalla guerra alla povertà alla guerra ai poveri." aggiunge, sempre per Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni.

Pietro Barabino