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giovedì 2 marzo 2017

In un libro il viaggio di Badheea da Homs a Trento con i Corridoi umanitari. Modello italiano anche di integrazione

Ansa
Roma - Badheea a tratti si commuove ma soprattutto sorride, ospite della Camera dei deputati dove si presenta il libro che Mattia Civico le ha dedicato (Edizioni Il Margine) raccontando la drammatica storia che l'ha portata, con la famiglia, dalla sua Homs devastata dalla guerra ad un campo profughi in Libano ed infine a Trento, dove ora vive e i suoi nipotini possono andare a scuola.

Badheea ha sofferto molto, glielo si legge in quel volto rotondo segnato dalle fatiche e dai lutti, ma è tra i 665 fortunati che finora hanno potuto giungere in Italia non rischiando la vita sui barconi, ma con i "corridoi umanitari" promossi da Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle chiese evangeliche in Italia e Tavola Valdese, in accordo con i ministeri degli Esteri e dell'Interno.

Un "modello italiano" per l'Europa quello dei "corridoi umanitari", sottolinea il viceministro Mario Giro, e che l'Italia ha appunto adottato per prima per garantire una strada sicura a chi fugge dalla guerra.

Una sorta di risposta "creativa" all'impotenza cui sembra condannarci la guerra siriana, in un momento in cui - sottolinea Michele Nicoletti, presidente della delegazione italiana al Consiglio d'Europa - i voti degli elettori si spostano proprio con le tragedia dei profughi, e non per cercarvi una soluzione, ma per agitare il problema e di cercare il consenso".

L'accoglienza è però "un'obbligazione morale e giuridica", ricorda il deputato, richiamando non solo la normativa internazionale ma anche il ben più oneroso impegno di cui si sobbarca per esempio il Libano, dove ormai i profughi "sono più dei cittadini".

Ma i corridoi umanitari sono anche un modello di "accoglienza capillare" nelle comunità locali, evidenzia il presidente della commissione Welfare Mario Marazziti, lontano dall'esperienza "fallimentare" dei Cara (Centri accoglienza per richienti asilo, ndr), un "lungo limbo" - li definisce - per chi vi si trova.

Nel conflitto in Siria "noi europei facciamo fatica a scegliere con chi stare", osserva Lia Quartapelle (commissione Esteri) - ma sicuramente dobbiamo stare con i 12 milioni di sfollati e profughi siriani". E se le loro condizioni stanno peggiorando in Libano, Paese in bilico su precari equilibri interreligiosi, "la società italiana deve ripensarsi", aggiunge, "valorizzando percorsi virtuosi per una duratura integrazione".

In un video scorrono le immagini di Badheea che racconta e frammenti della vita che si è ormai lasciata alle spalle, mentre un suo congiunto annuncia di voler tornare appena possibile nel suo Paese, seppur distrutto dalla guerra: "un uomo non è niente senza patria".

Badheea, avvolta nel suo hijab nero, risponde a chi le chiede cosa sia per lei la speranza: "sono i miei figli ed i miei nipoti, che possano avere la pace e la tranquillità". E ringrazia, ringrazia l'Italia e chi l'ha aiutata fin qua: in particolare i volontari dell'operazione Colomba (il corpo civile dell'Associazione Giovanni XXIII), che sono stati sempre con loro quando viveva con la famiglia nel campo di Tel Abbas, resi fragili anche dal fatto che Beirut, pur senza respingere i profughi, non riconosce lroo lo status di rifugiati perchè non aderisce alla Convenzione di Ginevra.

Luciana Borsatti

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