Lo stato nordico, governato dal centro destra, ha adottato una politica dura contro i migranti, nonostante le sue imprese fatichino a trovare manodopera. Nel 2016 il Pil è cresciuto solo dell'1,1%, al di sotto delle possibilità del Paese
Copenhagen – La piena occupazione è il sogno di ogni paese, ma a volte produce effetti collaterali indesiderati: le aziende in crescita non trovano più giovani qualificati da assumere perché tutti hanno già un lavoro ben pagato. E alla fine rischia di rimetterci la crescita del prodotto interno lordo. Paradosso, ma accade nella prospera, postmoderna, civilissima Danimarca, ritenuta dalle Nazioni Unite il paese col più alto tasso di felicità e qualità della vita nel mondo. Infatti secondo i dati ufficiali appena resi noti la crescita del prodotto interno lordo (pil) danese nel 2016 è stata dell’1,1 per cento, sotto la media Ue dell’1,9 e ben sotto dati come quelli svedese islandese o norvegese.
Il New York Times se n’è appena occupato con un reportage, narrando storie pazzesche. Come quella del signor Peter Enevoldsen, che con la sua azienda d’eccellenza Sjorring Maskinfabrik (specializzata in trattori, macchine agricole di qualità e soprattutto in produzione delle parti meccaniche ed elettroniche più sofisticate di simili veicoli) ha dovuto affrontare ritardi nel rispetto di ordinazioni da tutto il mondo, rischiando di perdere mezzo milione di euro, perché gli manca manodopera.
L’economia danese sta troppo bene, per cui i lavoratori qualificati a ogni livello (operai, ingegneri, progettisti) non si trovano, e il signor Enevoldsen ha dovuto ritardare la consegna di tre mesi. Alla fine ce l’ha fatta con corse contro il tempo, straordinari, appelli alle maestranze, caccia a specialisti in Europa centro-orientale, ma il futuro appare incerto, dice lui che in quel comparto produttivo concorre a livello globale con Volvo, Caterpillar o altri temibili global players delle macchine agricole di qualità e delle loro componenti.
La Danimarca governata dal centrodestra del premier Lars Lokke Rasmussen (con a volte l’appoggio esterno dei populisti del Dansk Folkeparti) scoppia di salute, economica e non solo. Chiunque voglia trovare un lavoro lo trova. Eppure la crescita è più lenta rispetto, per esempio, alla vicina Svezia, perché mancano braccia e cervelli. E qualcuno dice: anche perché il governo liberamente eletto (2015) ha scelto una linea dura verso l’ondata di migranti, e i pochi che alla fine sono accolti non sono i più qualificati. Mentre in Svezia o in Germania offrono loro corsi di formazione professionale per integrarli nell’economia e non solo nella società al più presto. Oltre un terzo delle aziende danesi, e parliamo di un paese avanzatissimo che vanta giganti in ogni comparto [...]
“Ci servono più lavoratori qualificati”, dice l’appello lanciato da molte aziende danesi, compresa quella del signor Enevoldsen, “altrimenti la mancanza di forza-lavoro qualificata colpirà duramente la nostra crescita”.
La Danimarca governata dal centrodestra del premier Lars Lokke Rasmussen (con a volte l’appoggio esterno dei populisti del Dansk Folkeparti) scoppia di salute, economica e non solo. Chiunque voglia trovare un lavoro lo trova. Eppure la crescita è più lenta rispetto, per esempio, alla vicina Svezia, perché mancano braccia e cervelli. E qualcuno dice: anche perché il governo liberamente eletto (2015) ha scelto una linea dura verso l’ondata di migranti, e i pochi che alla fine sono accolti non sono i più qualificati. Mentre in Svezia o in Germania offrono loro corsi di formazione professionale per integrarli nell’economia e non solo nella società al più presto. Oltre un terzo delle aziende danesi, e parliamo di un paese avanzatissimo che vanta giganti in ogni comparto [...]
“Ci servono più lavoratori qualificati”, dice l’appello lanciato da molte aziende danesi, compresa quella del signor Enevoldsen, “altrimenti la mancanza di forza-lavoro qualificata colpirà duramente la nostra crescita”.
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