Gli accordi stipulati tra UE e Marocco e i sistemi di controllo garantiscono stabilità in quest’area, ma molte ONG denunciano il mancato rispetto dei diritti umani. La situazione nelle due enclave spagnole
Ceuta e Melilla, due territori spagnoli nel Nord del Marocco, città autonome dal 1995, unico confine terrestre tra Europa e Africa. Quando si parla di flussi migratori verso l’Europa, si fa riferimento alla rotta balcanica o alla rotta del Mediterraneo centrale che collega la Libia alle coste italiane. Ma esistono anche due vie d’ingresso in Spagna. Da una parte, la rotta dell’Africa Occidentale, dalla costa atlantica del Marocco verso le isole Canarie, sempre meno utilizzata. Dall’altra, quella del Mediterraneo Occidentale, che passa per le due enclave di Ceuta e Melilla, circondate da una doppia barriera di filo spinato e fossati.
Negli anni Novanta, i migranti diretti in Spagna erano per lo più cittadini marocchini e algerini. Poi, a causa dei numerosi conflitti, il Marocco si è trasformato in Paese di transito per i migranti africani sub-sahariani, provenienti da Mali, Sudan, Ciad, Camerun, Nigeria, Repubblica Centrafricana. Con un aumento delle persone in movimento lungo questa rotta e diversi episodi di tensione al confine.
Oggi, secondo i dati forniti dall’agenzia europea Frontex e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), il flusso migratorio è contenuto, anche se in progressivo aumento per via della crisi siriana. Nel 2016, 10.231 migranti hanno tentato di oltrepassare illegalmente il confine spagnolo a Ceuta e Melilla. Dal gennaio del 2015 al marzo del 2017, sono stati registrati 18.985 arrivi in Spagna. Un numero comunque limitato, se confrontato con gli oltre 351.000 arrivi in Italia nello stesso periodo.
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