Temo la “donor fatigue”, la stanchezza dei donatori, per questo sono in Ciad: per dare innanzitutto un segnale, oltre che per comprendere meglio come investire il nostro piano di aiuti. Del resto non possiamo permetterci di perdere quest’area, non possiamo permetterci di perdere l’Africa.
Me ne rendo conto: c’è un accumulo di crisi umanitarie che rischiano di mettere il Lago Ciad in secondo piano. Dall’Italia poi, quella del Ciad potrà sembrare una crisi veramente poco decifrabile. L’attenzione mediatica è stata bassissima se non inesistente.
Eppure il Ciad ci deve interessare da vicino, anzi deve rappresentare la scommessa da vincere per l’Europa in Africa e quindi anche per noi! Il bacino del lago Ciad, dove mi trovo, è situato nella parte centro-settentrionale dell’Africa sui confini di Nigeria, Niger, Ciad e Camerun. La zona è abitata attualmente da 21 milioni di persone. Gli abitanti sono quasi triplicati negli ultimi due anni, come se in Italia nel 2019 anni fosse abitata da 180 milioni di persone.
Sono in molti ad essersi rifugiati qui dal nord-est della Nigeria. Hanno dovuto lasciare i loro villaggi, le loro povere case a causa delle continue incursioni e gli attacchi kamikaze dei jihadisti Boko Haram.
Oltre agli aiuti immediati, bisogna pianificare progetti a lungo termine per lo sviluppo dell’aerea e sradicare le cause profonde di questa crisi. Noi, come da me annunciato recentemente ad Oslo, mettiamo 30 milioni di euro sul piatto. È quanto l’Italia si è impegnata a investire nei prossimi tre anni. Ne approfitto per ringraziare, per il lavoro straordinario in questa direzione, l’Ambasciatrice del Camerun con delega al Ciad Samuela Isopi.
Questa crisi va comunicata bene all’opinione pubblica, anche perché oltre al dramma umanitario attualmente in corso, in ballo ci sono questioni ambientali e di sicurezza molto serie e il rischio di nuovi flussi migratori che colpiranno prima di tutto i paesi africani (lo stanno già facendo) e poi l’Europa.
L’Italia c’è, assieme ad altri paesi naturalmente. Ad Oslo il vice segretario di OCHA, Stephen O’Brien, ha sottolineato che per la prima volta l’ONU sta intervenendo in modo preventivo affinché la crisi non si trasformi in un’ecatombe. Speriamo.
Boko Haram, è bene ricordarlo, è ormai spaccato in più milizie e la sua forza militare si è indebolita. Purtroppo, ci sono ancora attacchi kamikaze contro i civili, che vanno protetti ma oggi, rispetto ad un anno fa, gli aiuti possono arrivare a gran parte della popolazione che ne ha bisogno. Oltre al proficuo incontro in Norvegia (per una volta…!), bisogna riconoscere gli sforzi enormi forniti dai governi africani della sotto-regione che hanno svolto una grande parte del lavoro, sia nella lotta contro Boko Haram che sul piano umanitario.
La Nigeria, tanto per fare un esempio, ha speso negli ultimi anni più di un miliardo di euro. Sforzi importanti sono forniti anche dal Camerun, anche se pochi ne parlano. Insomma, la Comunità internazionale non sta intervenendo in un’area dove non si è fatto nulla. Anzi, i paesi africani mantengono la leadership su una crisi che ci deve preoccupare e ci deve interessare di più. Ci vorrà tempo e pazienza, ma soprattutto costanza. No, non ci stanchiamo. Costruiamo e cooperiamo per il bene di tutti, anche il nostro. Non ci sono alternative.
Mario Giro
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